“Non importa quello che sapete, è solo la punta dell’iceberg” sono le parole di Dylan Farrow, figlia adottiva dell’attrice Mia Farrow e del regista Woody Allen all’inizio del documentario Allen v. Farrow. Le sue parole si riferiscono all’aggressione sessuale da parte di Allen avvenuta secondo la sua testimonianza nell’agosto del 1992 (allora aveva sette anni). Prodotto da HBO, le quattro puntate sono scritte e dirette da Kirby Dick e Amy Ziering, già noti per The Hunting Ground, incentrato sulla violenza sessuale nei campus universitari, e On the Record, racconto delle denunce di abusi sessuali contro Russell Simmons. Il documentario ricostruisce la storia di Mia Farrow e Woody Allen dalle origini, dando principalmente spazio alle parole di Dylan, rese vane fino ad oggi dalla versione dei fatti del padre dichiaratosi innocente.
L’intera produzione si pone come testimonianza della colpevolezza di Allen riguardo le accuse di abuso su minore, per le quali non verrà mai incriminato. I registi conducono le loro indagini nell’arco di tre anni, accedendo ai materiali abbandonati di un avvocato, rimasti segreti dagli anni ’90. Un deposito di circa 60 scatole contenenti file generati da centinaia di ricerche e cause legali: documenti della polizia, registrazioni, video privati, prove aggiuntive, dichiarazioni, testimonianze giurate. La maggior parte non sono mai stati resi noti finora, o nemmeno dati alla stampa. Dick e Ziering partono da lontano, ma sempre attraverso gli occhi di Mia Farrow e della figlia Dylan. Il documentario è chiaramente schierato, vuole lucidamente colmare il vuoto mediatico di cui ha sofferto la presunta vittima da sempre, oscurata dal successo e dalla fama del padre.

Durante una conferenza stampa del fatidico 1992 al Plaza Hotel di New York, Woody Allen dichiara di essere innamorato della figlia adottiva di Mia Farrow e André Previn (Soon-yi, allora 21enne) e che “le accuse di abuso su minore sono frutto dell’odio e della sete di vendetta dell’ex compagna”. La mini serie, attraverso uno stile drammatico impeccabile, crea una commistione trasparente e a dir poco credibile tra le interviste di oggi e l’insieme dei documenti d’archivio. I registi tornando insieme a Dylan e Mia nella suggestiva casa in Connecticut dove l’intera famiglia Farrow è cresciuta (l’attrice ebbe due gemelli dal precedente compagno, adottò altri bambini ed ebbe un figlio del tutto inaspettato con Woody, Ronan Farrow). Farrow, giornalista, è conosciuto al pubblico soprattutto per il suo lavoro sul New Yorker che ha contribuito a svelare gli scandali sessuali legati ad Harvey Weinstein.

Si parte dalle prime frequentazioni della coppia fino ad oggi. Ogni racconto è supportato da una testimonianza e da una ricostruzione visiva (filmini di famiglia, foto di repertorio, spezzoni dall’autobiografia di Woody Allen o registrazioni telefoniche). Per ogni sospetto, aneddoto o spiegazione, viene chiamato in causa un personaggio legato al caso: una babysitter, l’amica di famiglia Priscilla Gilman, giornalisti del New York Times tra cui Peter Marks e William Grimes, il figlio Ronan Farrow, critici, dottori, e gli stessi responsabili delle indagini. Viene riportato anche il tape girato da Mia Farrow per registrare le parole della figlia dopo l’abuso, al quale molti decisero di non credere.

Dopo l’aggressione, probabilmente avvenuta durante un misterioso lasso temporale di venti minuti nella casa di Mia Farrow in Connecticut nell’agosto del 1992, il medico di Dylan decide di chiamare immediatamente la polizia dando vita ad un’indagine che vedrà luce rispettivamente in due Stati: lo Stato di New York attraverso la NYC Child Welfare Administration e lo Stato del Connecticut sotto la supervisione del procuratore Frank Maco. Non solo i registi riescono a parlare direttamente con Sheryl Harden, responsabile del caso a New York, ma l’intero arco di tempo fino al processo viene supportato dalla testimonianza diretta del procuratore Maco. Si mette in discussione l’innocenza di Allen dichiarata dal team di esperti presso Yale-New Heaven, e viene raccontata la storia dell’investigatore di New York Paul Williams, licenziato per essersi spinto troppo in avanti nelle indagini (Poi reintegrato da un giudice che accolse la causa che Williams fece per l’ingiustizia del licenziamento). E’ chiaro come il documentario non sia la semplice presa di posizione di famiglia, o l’ennesimo spunto per raccontare lo star system americano. Le quattro puntate riportano alla luce scottanti verità in contraddizione con ciò che fu dichiarato vero o inconsistente ormai trent’anni fa in tribunale.

Peter Marks, ex giornalista del New York Times, racconta “Sono cresciuto considerando Woody Allen come un eroe”. Ad oggi Marks non riesce più a guardare un suo film, influenzato dal susseguirsi del processo a da quella che fu una versione assolutamente non credibile dei fatti, né per lui, né per il giudice. L’altra faccia della medaglia è l’assoluta fiducia in Woody Allen da parte dell’establishment mediatico, dei critici e dell’elite newyorchese. Allen è quello che ha portato il cinema a New York, e New York al cinema. La prima puntata comincia in punta di piedi enfatizzando il grande talento del regista a partire dalla voce di Alissa Wilkinson (critico cinematografico, Vox), con altri giornalisti al seguito. La panoramica appassionata su produzioni come Io e Annie, Manhattan, Hannah e le sue sorelle, o Stardust Memories, ci distrae per un attimo dall’obiettivo finale. E allo stesso tempo ci ricorda che esisteva (e sempre esisterà) una fetta di pubblico e critica disposta a separare il Woody Allen accusato di abusi su minore e il Woody Allen premiato con il Golden Globe alla carriera nel 2014.

La testimonianza visiva e verbale di Dylan Farrow arriva puntuale come intermezzo del racconto. La sua voce risulta ancora debole nonostante l’architettura dei registi, apertamente in guerra contro l’innocenza di Allen. Eppure le prove mostrate in queste puntate sembrano non aver bisogno di nessuna giustificazione. Che sia solo l’effetto di un’ottima regia o una bomba a orologeria pronta ad esplodere, le prove sono disturbanti anche per il fan più accanito del grande autore. Il racconto stesso è frutto di un’analisi che va dai copioni mai pubblicati (dall’archivio nella Princeton University), alla passione di Allen per le donne più giovani, alla spessa descrizione del rapporto estremamente morboso con la figlia Dylan sin dall’inizio. Se questa mossa riuscirà a cambiare le carte in tavola del passato, lo sapremo presto. Altrimenti rimarrà comunque l’altra versione dei fatti, stavolta con i riflettori puntati dritti su Dylan e nessun altro.