In occasione dell’ultima Festa del Cinema di Roma – la quindicesima, tenutasi dal 15 al 25 ottobre 2020 – è stata inaugurata una statua di Anna Magnani nello slargo posto alla sommità di Via Veneto (proprio a ridosso delle Mura Aureliane) che negli anni Novanta venne intitolato a Federico Fellini, il mitico regista che con il film La Dolce Vita del 1960, rese famosa la strada in tutto il mondo. Per questo motivo – giustamente – il 20 gennaio 1995 (che sarebbe stato il settantacinquesimo compleanno del regista, morto invece il 31 ottobre 1993), il Comune di Roma fece apporre in via Veneto (il cui vero nome è Vittorio Veneto, in ricordo della battaglia finale vinta dall’Italia nella Prima guerra mondiale) la seguente targa a ricordo:
A
FEDERICO FELLINI
CHE FECE DI VIA VENETO
IL TEATRO DELLA
DOLCE VITA
Nello slargo intitolato al regista è stato allestito un vero e proprio “salottino”, sia pure provvisorio, con un tappeto rosso (che ricorda tanto il red carpet delle mostre cinematografiche) e quattro panchine (quelle tipiche dei giardini pubblici romani), di cui quella che ospita la statua di bronzo in grandezza naturale della Magnani è dipinta di rosso, con l’attrice che ha lo sguardo rivolto verso Villa Borghese: la statua, di cui è autore lo scultore Antonio Nigro, rimarrà esposta in Largo Federico Fellini fino alla fine del 2020 (giorno più o giorno meno, perché non è stato ancora deciso quando verrà smontata l’installazione).

Un simile tributo alla Magnani era più che dovuto, poiché l’odierna Roma Città del Cinema non poteva dimenticare quella che, anche se in Italia era vista essenzialmente come un’attrice romana (se non addirittura “romanaccia” per via della sua cadenza dialettale), era in realtà un’attrice di fama e importanza internazionali. Anna, infatti, oltre ad aver lavorato in numerosissimi film italiani (non pochi di rilievo) negli anni Quaranta e primi Cinquanta, aveva anche ricoperto ruoli importanti sotto la direzione di registi stranieri come Jean Renoir, già prima del film statunitense La rosa tatuata(The Rose Tattoo) che la consacrò sulla scena internazionale. Questo film, diretto da Daniel Mann, era stato tratto da un libro di Tennessee Williams che, in qualità di autore del romanzo nonché sceneggiatore del film, aveva imposto la presenza della Magnani, dicendo che solo la grande vitalità e la travolgente passionalità dell’attrice romana potevano rendere bene sullo schermo il personaggio di Serafina Delle Rose, la dolente vedova che dopo varie vicissitudini accettava infine la corte del camionista Alvaro Mangiacavallo (interpretato da un impetuoso e sanguigno Burt Lancaster). Non a caso, proprio per questo film, il 21 marzo 1956 fu assegnato alla Magnani l’Oscar quale migliore attrice protagonista: era la prima attrice italiana a ricevere il prestigioso premio (sarebbe poi seguita Sophia Loren nel 1962 per La ciociara) e la prima italiana cui sia stata intitolata – per il settore cinema – una stella nella Hollywood Walk of Fame (le altre sono state Sophia Loren e, recentemente, Gina Lollobrigida).
Anna non era presente alla cerimonia di assegnazione degli Oscar che per lei fu ritirato da Marisa Pavan (che nel film interpretava Rosa, figlia di Serafina e, a sua volta, aveva ricevuto la nomination per l’Oscar quale migliore attrice non protagonista): Anna era a Roma e fu raggiunta alle cinque e mezza del mattino – ora italiana – dalla telefonata dei giornalisti statunitensi che le dissero del premio e, più che mai emozionata, seppe soltanto dire “Magnani is happy”. Anna ricevette poi numerose congratulazioni ed attestazioni di stima: dall’America, fra i tanti, furono Bette Davis e proprio Tennessee Williams ad inviarle telegrammi di felicitazioni, mentre in Italia si congratularono con lei registi come Mario Camerini e Renato Castellani, l’editore e produttore cinematografico Angelo Rizzoli, ma rimasero in un silenzio sdegnoso – e meschino – attori come Totò, Alberto Sordi, Sophia Loren e Gina Lollobrigida; d’altronde nella sua carriera di attrice indubbiamente di successo, Nannarella (così Anna era affettuosamente chiamata a Roma), a fronte di una indiscussa stima di cui godeva all’estero, in Italia fu amata dal pubblico ma non negli ambienti cinematografici e ciò, con tutta probabilità, fu dovuto a quello che nel mondo del cinema italiano venne definito il suo “brutto carattere”. Ad una giornalista “tosta” come Oriana Fallaci (che dopo la cronaca leggera e dell’ambiente cinematografico degli anni Cinquanta si sarebbe affermata come una delle migliori reporter di guerra nel mondo), nel descrivere i personaggi italiani dello spettacolo Anna dichiarò, con smaliziato candore, “…si adorano tutti, ma poi se potessero si infilerebbero uncortello ner core”.

Dopo La rosa tatuata Anna Magnani, oltre a partecipare a numerosissimi film italiani (taluni poco significativi, ma più spesso di rilievo), interpretò ruoli importanti in alcuni film diretti da registi internazionali del calibro di George Cukor, Sidney Lumet, Claude Autant-Lara e Stanley Kramer, ricevette nuovi e prestigiosi premi cinematografici (BAFTA, Golden Globe, David di Donatello ed altri) e venne ancora candidata all’Oscar (che però non vinse) nel 1958 per il film Selvaggio è il vento (Wild is the Wind) diretto da Cukor, per il quale ricevette in ogni caso l’Orso d’argento al Festival di Berlino del 1958.
Se Anna Magnani era così “vera” e compenetrata nei ruoli di grande tensione emotiva che era chiamata ad interpretare, ciò fu in buona parte dovuto ad una vita che, sul piano dei sentimenti, le fu matrigna, come la Natura lo era stata con il Leopardi. Anna era nata a Roma, figlia di una madre nubile che, disinteressandosi di lei, l’aveva lasciata alle cure della propria madre, a sua volta nubile, per quindi abbandonare Roma e trasferirsi ad Alessandria d’Egitto, dove aveva messo su famiglia con un ricco austriaco, senza chiedere notizie della figlia per lungo tempo. Anna crebbe quindi col solo affetto della nonna e di cinque zie, tentò di ricucire un rapporto affettivo con la propria madre e, a tale scopo, andò da lei in Egitto, ma tra le due donne non scattò alcuna empatia. Poi Anna, divenuta – in Italia – un’attrice di una certa fama, dopo un tormentato matrimonio che non si concluse felicemente con il regista Goffredo Alessandrini (dal quale ebbe a patire numerose infedeltà), intrattenne una relazione – per lei importante – con l’attore Massimo Serato, fascinoso e più giovane di lei di otto anni che, appena seppe che Anna aspettava un figlio da lui, la lasciò immediatamente: era l’anno 1942 e a quei tempi, anche per una donna famosa, non era facile essere una madre single. Tuttavia, Anna Magnani – abituata com’era a sforzi e sacrifici – si rimboccò le maniche e crebbe il figlio Luca da sola, con tanto amore, riuscendo così a supplire alla mancanza della figura paterna, e quando il bambino, a soli tre anni, fu colpito dalla paralisi infantile lottò con tutte le sue forze e per un breve momento si riaccostò anche alla religione, ma la malattia del figlio fu più forte di lei. Anna resistette in ogni caso alla sventura e affrontò il futuro da madre nubile come già era stato per sua nonna e sua madre, ma certamente meglio di quanto avesse fatto quest’ultima: caso sicuramente singolare, in successione matrilineare Anna fu la terza donna Magnani a dare il cognome da nubile al proprio figlio. Nella seconda metà degli anni ’40 Anna sembrò aver trovato una certa stabilità sentimentale in una relazione – peraltro anch’essa tormentata, ma ciò era insito nel suo carattere vigoroso – con Roberto Rossellini, il regista che l’aveva portata al successo in Roma città aperta, ma il rapporto si interruppe burrascosamente allorché Rossellini incontrò Ingrid Bergman, in un’occasione propiziata ad hocdall’attrice svedese, per cui lasciò Anna e per qualche anno fece coppia con Ingrid: fino a quando Rossellini ebbe un nuovo incontro, stavolta con l’indiana Sonali Das Gupta, di cui si innamorò perdutamente. Ma questa è un’altra storia!

Quindi, con tutte le avversità incontrate nella sua esistenza, con il suo incespicare nel tortuoso sentiero della vita per poi sapersi tuttavia riprendere, non è stato fuori luogo che una donna resiliente e combattiva come Anna Magnani nell’ottobre 2020 sia stata scelta – come rivelato dagli ideatori dell’iniziativa – quale “simbolo della lotta contro la violenza sulle donne”: pertanto l’inaugurazione della statua dedicata all’attrice romana è avvenuta in occasione della Festa del Cinema della sua città, in una sorta di ideale collegamento con il movimento Me Too, che prendendo l’avvio da una serie di coraggiose denunce di episodi di molestie avvenute negli anni addietro ai danni di attrici poi divenute acclamate dal pubblico, hanno dato coraggio a tantissime donne nel mondo, che pur non famose erano tuttavia state vittime di molestie e soprusi maschili. Non priva di significato è stata anche la scelta di collocare il “salottino” con la statua di Anna nello slargo intitolato a Federico Fellini, poiché la sua ultima apparizione sullo schermo fu un breve ma significativo cameo nel film Roma diretto proprio da Fellini e la panchina sulla quale è posta la statua è stata dipinta di rosso per porre la massima attenzione sul tema della violenza sulle donne di cui si è attivamente fatto portavoce il movimento Me Too, in un momento storico-sociale in cui il gender pay gap non è stato superato, mentre è al contempo ancora scosceso e irto di difficoltà il cammino dell’altra metà del cielo verso un’effettiva, conclamata e riconosciuta parità!