Una delle domande forse più cogenti, susseguitesi tra le tante, durante la presentazione della serata scaligera del 7 dicembre, riguardava la cancellazione della preannunciata Lucia di Lammermoor, tra l’altro affidata ad un grande scenografo-regista quale Yannis Kokkos. Per quanti hanno già assistito al primo 7 dicembre solo online della storia, occorre rievocare le risposte del Sovrintendente scaligero Dominique Meyer e di Riccardo Chailly, il Direttore musicale, riguardanti i vari focolai di Covid-19 infiltratisi, tra coro e orchestra, proprio durante le prove della Lucia di Donizetti e impedendone la realizzazione.

Tuttavia dietro il bel titolo evocativo e dantesco “..a riveder le stelle”, si è celata una maratona di canto superbo, recitazione, scene cangianti, costumi firmati dai maggiori stilisti italiani. L’estro pop di Davide Livermore, il regista, ci ha fatto conoscere i luoghi della Scala, il retropalco, le scale, l’atrio, la sartoria. E quando mai una prima scaligera era riuscita a raggiungere le case di tanti (2.608.000 con un picco finale di 3.160.000 spettatori) ma proprio tanti, ricchi e poveri, con una tale veemenza anche sociale ed etica, quasi didattica? Certo, per dovere di cronaca non possiamo tacere che il magnifico Barbiere di Siviglia di Mario Martone, diretto da Daniele Gatti e lanciato il 5 dicembre dal Teatro dell’Opera di Roma, ha ottenuto non solo encomi unanimi, ma anche un alto share di pubblico, anche se non paragonabile a quello della Scala (comunque battuto dalla Tosca in tv sempre diretta da Chailly, il 7 dicembre scaligero 2019). Ma nel Barbiere romano dove era il ballo?

Pur nei venti minuti assegnati dalla miscellanea del Piermarini alla danza, qualcosa si è visto, contro fondali semplici e colorati, sottratti sia alle scenografie di Giò Forma, sia all’invasione iconografica digitale di D-Walk. Soprattutto, si è apprezzato il raffinato Verdi Suite di Manuel Legris. Il neo-direttore del Balletto della Scala merita un elogio per aver messo in mostra – in una sorta di divertissement di schietta tecnica accademica – cinque interpreti della compagnia, tra i più dotati: i Primi Ballerini Martina Arduino, Virna Toppi, Claudio Coviello, con i Solisti Marco Agostino e Nicola Del Freo Sulla musica di Verdi, compositore simbolo universale dell’ “italianità”, Legris ha fatto danzare i suoi cinque eroi su estratti musicali tratti dai Vespri siciliani (il ballo delle Quattro stagioni, scegliendo La primavera), da Jérusalem, rifacimento francese dei Lombardi alla prima Crociata e dai ballabili del Trovatore. La bacchetta di Michele Gamba ha seguito una entrée collettiva, con due coppie e un singolo (Coviello) e un passo a tre, una variazione femminile (Arduino), un passo a due maschile (Agostino, Del Freo), una seconda variazione femminile (Toppi), ancora un assolo ma per Coviello, e un finale speculare alla entrée. Cura nei dettagli, nei manèges, nei tours, negli arabesques, negli jetés, valorizzati dai corpi vestiti nei costumi soffici e delicati di Luisa Spinatelli, scenografa e costumista cara a Legris, ed espunti dal Sogno di una notte di mezza estate di George Balanchine, famoso nell’allestimento scaligero del 2006, fortemente voluto da Frédéric Olivieri, il predecessore di Legris e portato in molte tournée anche con i due protagonisti principali: Alessandra Ferri e Roberto Bolle.

A quest’ultimo è toccato rompere il ghiaccio della sezione danza di questo 7 dicembre online con Waves, in parte già noto agli americani, ma qui forse in versione più completa rispetto a quella presentata all’ONU il 22 ottobre scorso. Il divo dialoga con la coreografia laser-light di Massimiliano Volpini e dapprima, quando sembra non potersi liberare della prigionia dei raggi virtuali ma potenti che si trasformano anche in oppressive piramidi triangolari, sulla musica di Davide “Boosta” Dileo, il tastierista dei Subsonica. Poi, quando la tecnologia si apre in onde che paiono marine, il suo bel corpo statuario si scioglie da ogni vincolo, vola nello spazio sulla ben nota Gymnopedie n.1 di Erik Satie che consente a Bolle persino di catturare il rarissimo raggio verde che si vede sul mare solo al sorgere e al tramonto del sole, se si è molto, molto fortunati. Bolle, che ha deciso di andare “in pensione” lo è, fortunato lo è stato, lo sarà, ma grazie al rigore, all’impegno giornaliero, all’ inflessibile passione per la danza. Alla sua età, o meglio quasi otto anni dopo, un altro grande del balletto – forse il più amato e ricordato di sempre, che di Bolle giovanissimo fu anche talent-scout– e parliamo di Rudolf Nureyev – non andò in pensione, ma lasciò questo mondo per ballare in cielo. Ci si rammenta di lui in occasione del grand pas de deux espunto dal suo intelligente e psicoanalitico Schiaccianoci: Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, due Primi ballerini della compagnia ne hanno interpretato sull’ “Andante maestoso” di Pëtr I’lič Čajkovskij, solo l’Adagio senza le Variazioni e la Coda. E lo hanno celebrato come meglio hanno potuto.

Rudolf Nureyev, va anche menzionato come grande mentore di Manuel Legris, soprattutto in quegli indimenticabili anni Ottanta in cui diresse il Balletto del Théâtre National de l’Opéra di Parigi. Con Rudi e grazie a Rudi, si impose una pletora di eccezionali ballerini come Sylvie Guillem, Laurent Hilaire, Nicolas Le Riche e lo stesso Legris, tuttora attivi (ad esclusione della Guillem) come direttori di compagnie nel mondo. Legris, divenne étoile a soli 22 anni, passando direttamente da sujet, che nella gerarchia francese non è neppure solista, appunto ad étoilespinto da quell’energia e dal quel desiderio di far trionfare il talento giovane sopra ogni diktat burocratico – amministrativo che animava Nureyev. L’ormai nostro Legris possedeva un talento naturale inconfutabile ma il soprannominato “Tartaro volante” gli permise di coltivarlo facendogli ballare di tutto: dal William Forsythe del primissimo In The Middle Somewhat Elevated alla Bella Addormentata con tutti i possibili classici del repertorio; dai difficili balletti di Jerome Robbins alle novità di John Neumeier e Jiří Kylián. Dopo le dimissioni dal ruolo di Direttore, – Nureyev già risentiva, dei sintomi della malattia che lo avrebbe sconfitto -, Legris era ormai una stella di prim’ordine e di una versatilità tale da consentirgli di mettersi al servizio creativo di qualsiasi coreografo. Chiamato in tutto il mondo, internazionalmente noto; premiato con le più alte onorificenze francesi, tutti si attendevano che dopo il suo addio alle scene, nel 2009, sarebbe stato lui, o un compagno della sua stessa cordata, a diventare Direttore della grande “maison” parigina di Palais Garnier. Ma non fu così. Tuttavia, nel 2010 fu chiamato alla testa del Balletto della Staatsoper di Vienna dove stava un Sovrintendente capace e intelligente come Dominique Meyer; continuò a salire in scena, ma si sorprese soprattutto nel constatare quanto gli fosse congeniale trasmettere ad altri interpreti le sue conoscenze e un po’ della sua perfezione tecnica.

Legris trasformò la maggior compagnia accademica austriaca in un ensemble di prim’ordine e fu anche invitato a cimentarsi nella coreografia. Lui adesso ride quando lo si definisce “un coreografo”. Dice: “ho creato solo due balletti di serata, Il Corsaro nel 2016 e Sylvia nel 2018, più un Donizetti Pas de deux alla Volksoper viennese nel 2011 ed ora questo Verdi Suite: sette minuti che ho inteso come omaggio alla vita, alla leggerezza in tempi tanto bui”. Nel mega spettacolo scaligero online del 7 dicembre ben pochi avranno capito, se non edotti dai comunicati stampa, che Legris è il nuovo Direttore del Corpo di Ballo della Scala, chiamato ancora da Meyer. Tuttavia, per il 17 dicembre è in vista un Gala di Balletto, ripreso dalla Rai, ma trasmesso in un futuro non precisato, in cui il neo Direttore scaligero accosterà estratti accademici e moderni, da La Sylphide nella brillante versione di August Bournonville al suo stesso Corsaro, da Excelsior di Filippo Crivelli, Ugo Dell’Ara, Fabrizio Carpi e Guido Coltellacci a Le Spectre de la rose di Michel Fokin, dal Don Chisciotte di Nureyev a Sentieri di Philippe Kratz con il conclusivo Progetto Händel di Mauro Bigonzetti. Naturalmente qualche brano potrà cambiare, e questa galoppata nella storia del balletto che comincia dal 1836 (data della Sylphidedi Bournonville) e termina nel nostro tempo, potrebbe prendere sentieri diversi. Questa volta, però, le pagelle, i confronti, le lodi, i dubbi e i dissensi, già scatenatesi su giornali e social per “…a riveder le stelle” saranno tutti destinati, di sicuro con minor clamore (ma si sa l’Italia è il Paese del melodramma e del bel canto) al ballo.
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