“Chiedeva un avvocato”. Così afferma un testimone protetto, in una sua deposizione agli atti dell’indagine appena conclusa dalla Procura della Repubblica di Roma, per l’omicidio di Giulio Regeni.
Immagine struggente, vera, fortissima. Restituisce, in un istante, l’idea fondamentale della Difesa. La sua ragione costituiva, la sua antica essenza, la sua dignità civile. Giulio Regeni, solo, impaurito, forse, a quell’altezza della sua sofferenza, già terrorizzato, lontano da casa, lontano dall’Università per cui lavorava, non sa quanto vicino o lontano dai suoi amici in Egitto, dalla sua dimora locale, stretto fra quattro ignote ombre in borghese che lo sospingono lungo un corridoio, tenta di fissare un punto nel vortice che lo ha preso, cerca una mano che gli si tenda per soccorrerlo: chiede un avvocato.
Ma cos’è, un avvocato? Non è soltanto una persona fisica. È una sintesi di un grado di civiltà o di barbarie che segnano, o marchiano, una comunità politica e sociale. Scusate: mi devo correggere: non è “una” sintesi; è “La” sintesi del grado di civiltà o barbarie che segnano una determinata comunità politica e sociale.

Il Procuratore Prestipino, nel presentare i risultati dell’indagine, ha detto che “lo dovevamo a Giulio, e all’essere magistrati della Repubblica”. Ecco, a partire da questa parola, alta e tormentatissima, “Repubblica”, dobbiamo dire che l’Italia, più o meno tutta, dalle Aule parlamentari fino all’ultimo tinello, dovrebbe solo tacere, su Giulio Regeni. E dovrebbe farlo proprio tenendo bene a mente che il ragazzo per prima, e ultima, cosa, quale segno della sua isolata, abbandonata e tuttavia insopprimibile dignità umana, “ha chiesto un avvocato”.
Cioè, quanto, in un corso storico, politico, culturale, giuridico, giurisprudenziale, e di pubblica e privata chiacchiera stampata, social e televisiva, è stato ridotto alla sua più totale e disperante sterilità. Impotenza, superfluità. Certo, ci sono sempre quelli che sono graziosamente disposti a spiegarvi che, se avete la pazienza di aspettare una ventina d’anni, riuscirete persino ad avere un bel pezzo di carta, che, casomai non ve ne foste accorti, certifichi la vostra lenta consunzione: la vita che se n’è andata; il lavoro e il suo frutto, perduti irrimediabilmente; la reputazione, il vostro posto in società e nel mondo, ferocemente rimossi. Ma questi certificatori del nulla, sono parte del problema, non la soluzione. Teneteli a mente, e metteteli da parte, lontano dal vostro cuore: perché sono i reggimoccolo del sistema. I più insidiosi e più nocivi, perché in panneggio di “amico buono”.
Chi, Covid o non Covid (figurarsi: le misure telematiche o variamente vischiose, sono solo pioggia sul bagnato), ha stabilito con legge, che il processo è una gabbia, solo una gabbia, incessantemente una gabbia, da cui non si deve poter mai uscire (questo, in due parole, significa “prescrizione mai”); chi ha voluto che il dibattimento sia “un lusso per ricchi”, essendo l’avvocato un mestatore che tende a favorire invariabilmente colpevoli che l’hanno fatta franca, o che, per l’appunto, col suo infame ausilio, cercano di farlo; chi ha reso l’appello e il ricorso per cassazione, il “rimedio ad un errore”, virtualmente una chimera, sul presupposto che le condanne in primo grado siano infallibilmente giuste (e, comunque, se insistete, peggio per voi, perché vi aspetta lo stillicidio di cui sopra); insomma, chi ha costruito l’Italia di Bonafede-Ministro-della-Giustizia, dei talk show antimafia, anticorruzione, antiuomo, antitutto, come può, anche solo nominare Giulio Regeni e le sue sofferenze? Come può accostarsi ad un martire che “ha chiesto un avvocato”?

Nel vuoto morale, nel pieno, sazio, “arrivato” e rubicondo di questa “Italia Nuova”, si può, si può. D’altra parte, non si può chiedere che urgenza abbiano avuto, in stretta successione, dal luglio all’agosto 2018, Salvini e Di Maio, allora colleghi in vicepremierato, di recarsi in Egitto, senza nemmeno accennare alla condizione dei migliaia di Giulio Regeni egiziani prigionieri di Al-Sisi; e, con quest’ultimo, attuale Ministro degli Esteri, non si sa se più politicamente stupido o moralmente complice, tutto contento a dichiarare di aver ricevuto “garanzie sull’interesse egiziano ad accertare *la verità*” .
Né si può chiedere, se Giulio Regeni, tanto cittadino italiano quanto ricercatore di una Università britannica (Cambridge), proverbialmente nota per essere bacino di reclutamento per i Servizi Segreti di Sua Maestà, non sia stato messo in mezzo: in un gioco troppo grande per lui, tutto proteso alle sue ricerche di diritti negati e condizione proletaria in Egitto. La Professoressa-referente, di origine egiziana, è rimasta comodamente silenziosa.
E nemmeno si può chiedere se, posto che di un omicidio di stato (solo egiziano?) si è trattato, sia indizio di una maggiore complessità, la circostanza che il cadavere sia stato fatto ritrovare ai margini di una trafficatissima autostrada; quando, se si fosse voluto davvero occultare tutto, a cominciare dalle eloquenti tracce di tortura sul corpo, bastava seppellirlo (in ogni senso) nell’irraggiungibile estensione del Sahara.

Ci sono Servizi di intelligence civili, ma anche militari, questi più in sintonia con Al-Sisi. Chi intende proteggere chi? Chi intende accusare chi? E perché? C’é l’ENI, ci sono preesistenti (a Melheia, Sahara occidentale, verso la Libia: petrolio) e più recenti giacimenti (pozzo sottomarino di Zhor, gas per circa 850 miliardi di metro cubi). Ci sono (c’erano) intensi rapporti economici (circa 130 aziende, fra le maggiori italiane, operano in Egitto: al tempo dell’omicidio, l’Italia era il primo partner commerciale in Europa). Ci sono i rapporti con le “due Libie”, e l’Egitto sostiene, per la sua parte (con Francia e Russia, insieme ai finanziamenti degli Emirati Arabi) il cd Governo di Tobruk (il “generale” Haftar, il suo braccio armato), e l’Italia, invece, risulta a sostegno di Al- Serraj, a Tripoli (ma comanda la Turchia, finanziata dal Qatar, e noi, più o meno a guardare). Ci sarebbero tante cose da sapere. E tutte si riconducono ad un unico interrogativo: l’Egitto, o “un” qualche Egitto, ha ovviamente un ruolo in questa vicenda: ma è l’unico?
Tutti zitti, questi nostri addolorati della venticinquesima ora. Meglio il silenzio: meglio soffocare eternamente quella voce che “chiedeva un avvocato”. Troppe voci rischierebbero di rispondere. In Egitto. In Italia. Ieri, Oggi. Sempre.
Discussion about this post