Aldo Tambellini, cineasta d’avanguardia newyorkese e pioniere del video-art si è spento giovedì 12 novembre a Cambridge, Massachusetts, all’età di 90 anni.
La morte è stata annunciata dalla Aldo Tambellini Art Foundation, e la compagna, Anna Salamone, ha spiegato che è stata dovuta a complicazioni a seguito di un intervento chirurgico all’ospedale di Spaulding.
Tambellini era noto per essere un artista-attivista nel Lower East Side di Manhattan, e ancor più famoso era il suo interesse per il colore nero (o non colore).

Nato a Syracuse, NY, il 20 aprile 1930, era il secondo genito di padre italo-brasiliano e madre italiana di Lucca immigrata negli Stati Uniti. I suoi genitori si separarono quando era ancora un bambino, e fu mandato a vivere con i parenti in Italia tra i traumi della Seconda Guerra Mondiale. Finita la guerra, Tambellini tornò negli Stati Uniti e studiò arte alla Syracuse University e all’Università di Notre Dame prima di trasferirsi nel Lower East Side nel 1959. Qui è stato associato a numerosi gruppi di artisti, tra cui il Center, da lui fondato. Influenzato dagli scritti teorici di McLuhan, i suoi lavori più famosi li ha dedicati alla Blackness. “‘Black’”, scrisse, “non è l’opposto del bianco; è uno stato dell’essere”.
Nel 1966, Aldo Tambellini e la moglie di allora, Elsa Tambellini, aprirono il Black Gate, un teatro da 200 posti tra Second Avenue e 10th Street nel cuore dell’East Village. Tra i lavori proiettati c’erano i primi film di Brian De Palma, “No President” di Jack Smith e l’assurda commedia di Robert Downey “Chafed Elbows”, che andò in onda per sei mesi – a volte proiettata in doppia Bill con “Scorpio Rising” di Kenneth Anger – che diventa una sorta di blockbuster underground.
Nel 2012, la Tate Modern di Londra gli dedicò una retrospettiva intitolata Retracing Black, e nel 2015 è stato ospite del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia.