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August 28, 2019
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Venezia apre il festival con “La verité” così familiare di Kore’eda Hirokazu

La mostra del cinema parte con il film del regista giapponese girato a Parigi con Catherine Deneuve e Juliette Binoche. Polemiche per Roman Polaski

Simone SpoladoribySimone Spoladori
Venezia apre il festival con “La verité” così familiare di Kore’eda Hirokazu

Catherine Deneuve and Juliette Binoche in una scena del film (Foto di L. Champoussin)

Time: 3 mins read
Alessandra Mastronardi (Foto Biennale di Venezia)

Poco fa si è alzato il sipario sulla 76ª edizione della Mostra del cinema di Venezia, con un’impettita cerimonia di inaugurazione condotta dalla bellissima madrina Alessandra Mastronardi. Cosa più importante, subito dopo abbiamo potuto vedere il primo film del sontuoso concorso di quest’anno, “La vérité”, prima opera occidentale dell’acclamato regista giapponese Kore’eda Hirokazu, palma d’oro a Cannes 2018 per “Shoplifters”.

Un film piacevole, con momenti anche molto alti, ma lontano dalla felicità di tocco dei film migliori del regista di “Like Father Like Son”.

Come sempre, oggetto dell’indagine di Kore’eda è la famiglia, o meglio dovremmo dire l’interrogativo su che cosa si debba considerare famiglia. In questo caso tutto ruota intorno a un’anziana attrice francese (ottimamente interpretata da Catherine Deneuve) che, al crepuscolo della sua carriera, pubblica un libro di memorie. Per celebrare l’occasione, da New York, dove fa la sceneggiatrice, viene a farle visita sua figlia Lumir (Juliette Binoche), insieme al marito americano, l’attore Hank (Ethan Hawke) e alla loro piccola Charlotte. A partire da quel testo di ricordi, nei quali, come al cinema, si dissolve la distinzione tra verità e racconto artefatto, emerge la problematicità del rapporto tra madre e figlia e di riflesso finiscono per essere messi in discussione tutti i legami che tengono unito il nucleo familiare. Riecheggia un interrogativo di fondo, già presente in “Shoplifters”: contano  di più i legami di sangue o quelli d’amore, in questo caso rappresentati dalla figura sfumata ed eterea di un’amica di famiglia, Sarah, morta prematuramente e che forse è stata per Lumir la vera figura materna?

Juliette Binoche e Ethan_Hawke (Foto di L. Champoussin)

Kore’eda, in questa trasferta europea, ha mantenuto un tratto fondamentale del suo cinema, la leggerezza, quel tocco unico che anche in questo caso dà l’impressione, nonostante un cast decisamente ingombrante, di un film sussurrato e ricco di piccole sfumature. Tuttavia, al contrario dei film precedenti (si pensi, oltre ai già citati, ad “After the Storm”, del 2016), questo debutto europeo sembra aprire troppi fronti tematici, non tutti raccolti ed esauriti con una soddisfacente chiarezza, in una struttura drammaturgica che non decolla mai davvero.

Nel ricchissimo programma di questa edizione della mostra, alcuni pesi massimi arrivano al Lido già domani. È il caso dell’attesissimo “Ad Astra”, sci-fi filosofico di James Gray con Brad Pitt e Tommy Lee-Jones, di “Marriage Story”, prodotto da Netflix e firmato dall’erede di Woody Allen Noah Baumbach, con parata di star come Adam Driver e Scarlett Johanson, e infine di “The Perfect Candidate”, film saudita scritto e diretto dalla prima regista donna dell’Arabia Saudita, Haifaa al-Mansour, che affronta, attraverso la metafora di una dottoressa candidata sindaca di un piccolo paese di periferia, la condizione femminile nei paesi arabi.

A proposito di condizione femminile, hanno animato la vigilia dell’inaugurazione le dichiarazioni della presidentessa della giuria, Lucrecia Martel, che ha annunciato un certo disagio a dover giudicare “J’Accuse”, il nuovo film di Polanski, ammettendo di non riuscire a separare l’uomo dall’artista e affermando di voler disertare la cena di gala del film. “Non ci sarò al ricevimento di Polanski per non dovermi alzare ed applaudire”: queste le parole, in conferenza stampa, della regista argentina, che non ha nascosto il suo imbarazzo nei confronti della presenza in concorso del discusso regista polacco, la cui controversa vicenda giudiziaria, seguita al rapporto sessuale illecito con l’allora minorenne Samantha Geimer, sarebbe in contraddizione con la battaglia a favore dei diritti delle donne che la Martel da anni conduce in Argentina.

Lucrecia Martel (Foto La Biennale di Venezia)

È toccato al direttore Alberto Barbera difendere Polanski: “Non è facile in questo caso dare risposte univoche. Non riesco a fare una distinzione tra artista e uomo. La storia dell’arte è piena di artisti che hanno commesso crimini. Lui resta uno degli ultimi grandi maestri del cinema e non credo si possa aspettare anni per giudicare un suo film”.

Uno scontro piuttosto deciso, che ha infiammato la conferenza stampa d’apertura della Mostra, solitamente blanda e politically correct, e ha già acceso gli animi e attirato la curiosità di tutti sul già attesissimo nuovo film di Roman Polanski.

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Simone Spoladori

Simone Spoladori

Nato a Milano, laureato in lettere e laureando in psicologia, di segno pesci ma non praticante, soffro di inveterato horror vacui. Autore per radio e TV, critico cinematografico, insegnante, direttore di un'agenzia creativa di Milano. Oltre ai film, amo i libri e credo che la letteratura americana del '900 una delle prime tre cose per cui valga la pena vivere. Meglio omettere le altre due. Drogato di serie TV, vorrei assomigliare a Don Draper, a Walter White o a Jimmy McNulty. Quando trovo il tempo, mi diverte a scalare montagne, fare foto, giocare a tennis, cucinare e soprattutto mangiare ciò che cucino. Sono malato di calcio, tifo Manchester United e Milan, ma la mia vera guida spirituale è Roger Federer.

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