“Amare è anche soffrire e soffrire è necessario per amare” questo è uno dei pensieri rilevanti della straordinaria Billie Holiday, star influente della musica jazz e blues degli anni trenta/quaranta. Era una donna volubile, complessa e vulnerabile con un passato travagliato influenzato da genitori assenti, episodi di prostituzione, uso di sostanze stupefacenti e problemi con la giustizia.
Si dice che quando non si ha nulla da perdere è più facile rischiare soprattutto in condizioni di precarietà, affitto da pagare, una madre malata e l’ansia del domani; così era scandita la giornata della giovane Billie che una sera come un’altra decise di cimentarsi in uno squallido locale sulla centotreesima strada del quartiere di Harlem a New York. E proprio lì trovò la sua fortuna nella musica, arma vincente che aveva già contraddistinto la sua infanzia grazie all’ascolto dei dischi del padre, suonatore di banjo e della madre ballerina. Un successo iniziato con 57 dollari sviluppato poi su scala internazionale promosso dalla casa discografica Columbia Records con la collaborazione di Benny Goodman e del compositore Abel Meeropol autore della canzone “The Strange Fruit” che fu uno dei suoi maggiori successi.
Una canzone dal testo molto significativo perché è una delle prime denunce contro il razzismo e per la difesa dei diritti civili degli afroamericani. Di conseguenza i brani interpretati dalla Holiday sono la testimonianza di un’epoca di cambiamenti postbellici e di evoluzioni culturali in cui i neri non potevano interagire con i bianchi, l’alcool e le droghe erano spesso una scusa per cristallizzare le minoranze di colore nel ruolo di emarginati sociali e la voglia di far sentire la propria voce era scambiato per un atto di irriverenza.
Lady Day incarnava questo esempio di ribellione con quella maturità vocale che, a soli vent’anni era già così sensuale languida. Quando si ascolta una canzone di Billie Holiday accompagnata dal pianoforte e dal sassofono sembra quasi di essere trasposti in un’altra dimensione un po’ nostalgica e un po’ romantica come un film in bianco e nero. Si raccontano temi sociali, amori mancati, mancanza di figure di riferimento tra dispiaceri e amarezze ponendosi interrogativi esistenziali. Come raggiungere la felicità? Come far restare un uomo accanto? Dove si trova il coraggio quotidiano? La risposta è una meditazione personale che ha trasformato il jazz, musica da ballo nata con una connotazione da intrattenimento, in impegno sociale e di affinità elettive.