Trentenne ma con uno stile già immediatamente identifcabile, iconico, da molti definito minimalista, elegante, classico ma allo stesso tempo moderno, a cavallo tra il vecchio e il nuovo modo di fare fotografia. Jacopo Moschin, milanese, è solo anagraficamente un giovane fotografo di moda, dimostrando talento e maturità oltre che una precisa identità fotografica.

Cresciuto a Milano, Jacopo studia Pubblicità e Comunicazione nel capoluogo meneghino, si trasferisce a Londra per studiare interior design al St. Martins. La East London dieci anni fa, allora laboratorio creativo e sperimentale, diventa per Jacopo il trampolino di lancio per collaborazioni importanti con Amica, Elle, Corriere della Sera, Vogue, Financial Times.
Ha scelto di esprimere la sua visione di fotografia nel campo della moda perchè lo considera il settore più creativo anche se oggi si sta avvicinando sempre di più all’arte. “Con la fotografia ho sempre cercato di veicolare una certa sensibilità estetica, compassione, eleganza. Voglio che le mie immagini siano fruibili da tutti, che non siano elitarie” dice Jacopo.
A chi oggi desidera fare il suo lavoro consiglia di “appassionarsi, sperimentare, non cadere in facili cliché”. Talento, creatività oppure tecnica? “Non sono le conoscenze tecniche a fare la differenza ma la consapevolezza di fare una foto. E’ la testa del fotografo che conta, ripeto, il suo modo di riflettere e pensare”.
(Le fotografie che seguono sono scatti di Jacopo Moschin, ndr.)
Hai scelto la moda come campo in cui specializzarti ed esprimere la tua visione. Una scelta che nasce dalla passione, e da cos’altro?
“La fotografia è stata sempre la mia passione veicolata anche dai miei studi in pubblicità ma a 18 anni è diventata una vera e propria professione. La moda mi affascina perché lo considero un settore dove si può sperimentare molto. E’ indubbiamente il settore piú creativo”.
E’ stata Londra la città dove ti sei affermato come giovane fotografo quando avevi appena 20 anni. Che ruolo ha avuto nella tua formazione?
“La East London dieci anni fa era un laboratorio sperimentale e creativo ed è stato molto importante e formativo per me subire le influenze di un movimento creativo e sociale che era agli albori. Ho iniziato proprio nella East London facendo una serie di ritratti e una mostra in una galleria, che è stata il mio trampolino di lancio, visto che in quell’occasione in molti nell’editoria hanno iniziato a conoscermi e chiedermi di collaborare con loro”.
Ricordi ancora il primo scatto importante che ti ha fatto conoscere come fotografo?
“Il mio primo servizio di moda con l’edizione italiana di Max. Dopo quel servizio ho iniziato la collaborazione con Style per il Corriere della Sera ed Elle”.
Molti definiscono il tuo stile classico, minimalista, sofisticato, moderno ed elegante. In qualche modo l’unicità e l’essere immediatamente identificabili in uno stile è un segno di riconoscimento maturo ed importante per la carriera di un fotografo
“Ogni fotografo si evolve nel tempo e immagino che tra dieci anni le mie foto non saranno come oggi. Penso che il mio stile sia facile da approcciare ma non è banale perchè dietro ci sono sempre molte riflessioni. Uno dei rischi più grandi è quello di scattare senza pensare ed è per questo che andare più lentamente nella fotografia significa anche definire uno stile che ha dietro una riflessione. Ho delle colonne stilistiche portanti che sono diventate le mie fondamenta pur nell’evoluzione”.
Quali sono i tuoi riferimenti stilistici nella fotografia?
“Ho letto e studiato moltissimi fotografi e molti mi hanno ispirato anche se ogni fotografo deve trovare il proprio stile. Apprezzo tantissimo i lavori di Irving Penn, che trovo eccezionale, Taryn Simon, Philip-Lorca di Corcia, Richard Avedon per la moda, Tim Walker. Anche se ho 30 anni, mi trovo a cavallo tra il vecchio modo di fare fotografia e quello nuovo, digitale, più veloce. Mi sono formato con la fotografia classica ma inevitabilmente ho recepito e recepisco elementi della nuova fotografia”.
Come è cambiato il ruolo e la professione del fotografo con l’avvento di Instagram?
“I social hanno reso la fotografia più democratica, accessibile, meno elitaria, rapida, moderna, fruibile. Oggi fare il fotografo non è difficile ma è difficile fare una carriera da fotografo. Quella stessa portata democratica che caratterizza la fotografia ai tempi di Instagram, in realtà fa si che avere una voce, un ruolo unico, distinguibile, sia sempre più difficile.
Personalmente sono nostalgico di un certo modo di fare fotografia che non esiste più, classico, ma inevitabilmente le mie foto riflettono anche una certa modernità, rapidità, senza portare mai avanti una visione commerciale e consumistica”.
La moda però è un settore spesso ritenuto superficiale e consumistico. In che modo la fotografia diventa fattore artistico in questo campo?
“Quando si antepone la riflessione, il pensiero, la calma alla foga di scattare e produrre immagini. Nella moda è facile produrre immagini che possano apparire superficiali, ma questo accade in generale in ogni tipo di fotografia se non interviene il fotografo con la sua testa, il suo pensiero, la sua riflessione su quello che ha davanti e sta per fotografare”.
Tecnica, creatività, composizione. Cosa conta nella fotografia?
“Non sono le conoscenze tecniche a fare la differenza ma la consapevolezza di fare una foto. E’ la testa del fotografo che conta, ripeto, il suo modo di riflettere e pensare”.
Hai lavorato a Milano, Parigi, Londra e oggi vivi a New York anche se viaggi tantissimo per lavoro. Tutte capitali della fotografia. Che ruolo assume ognuna di queste città nella fotografia?
“Milano è un centro importante per la moda ma non ha un’industria fotografica come Parigi. New York, sebbene sia cambiata negli anni, resta la sede per eccellenza dell’industria dell’immagine. Londra è per me la capitale mondiale della fotografia perché ha una tradizione fotografica importante. Oggi però si sta facendo avanti Los Angeles diventando una città di riferimento per il settore fotografico digitale. A Los Angeles, dove vado spesso per lavoro, c’è una bellissima luce, grandi spazi, stanno emergendo molte gallerie”.
L’America però è sempre stata molto presente con le sue immagini nella nostra cultura, soprattutto New York, città sovraesposta a livello fotografico. Come si può fotografare New York senza il rischio di replicare quello che gli altri hanno già fatto?
“Quando sono arrivato negli Stati Uniti mi piaceva fotografare tutto perché l’America è uno di quei posti lontani che ci è sempre sembrato vicino grazie alla potenza delle immagini e all’appeal cinematografico. Oggi non trovo lo stesso interesse di allora ma amo sempre la luce di New York, la sua energia. Mi piacciono i contrasti tra gli edifici eleganti e le zone decadenti, i graffiti. E tutte le città che hanno dei contrasti creano delle cose interessanti e uniche”.
Cosa consigli, quali percorsi suggerisci a chi oggi vuole fare intraprendere la carriera di fotografo?
“Rimanere appassionati, sperimentare sempre, scoprire cosa si ama, non cadere mai in facili cliché. Non credo nella formazione settoriale per chi vuole diventare fotografo. Non ci sono dei percorsi prestabiliti che bisogna seguire a livello formativo. Secondo me, bisogna studiare arte, psicologia, economia, politica, letteratura e non necessariamente e solo fotografia. Dico soprattutto di sperimentare perchè solo attraverso la sperimentazione si scopre la propria identità fotografica”.

C’è uno scatto non tuo che avresti voluto realizzare?
“Mi piacciono molto i lavori di Taryn Simon, questa artista americana che fa un lavoro fotografico molto interessante attraverso i ritratti dei condannati americani che sono innocenti. Le sue foto hanno un impatto molto drammatico, intenso”.
Hai detto che oggi sei molto interessato all’arte e stai lavorando a nuovi progetti. Di cosa ti stai occupando?
“Continuo a seguire i miei clienti ma sto portando avanti un progetto personale legato ai fiori di campo. Nello specifico, mi piace fotografare i fiori che si trovanonello stato di Georgia e portare questo progetto in una galleria”.
Se non fossi diventato fotografo oggi cosa faresti?
“Sono un creativo quindi mi sarei sempre orientato su professioni che hanno a che fare con la creatività come l’architetto di interni, l’artista, il designer. Sono attratto dall’estetica ma non quella definita banalmente da alcuni canoni.
Che messaggio vuoi veicolare con la fotografia?
“Mi piace l’eleganza nascosta nel mondo. Con la fotografia ho sempre cercato di veicolare una certa sensibilità estetica, compassione, eleganza. Voglio che le mie immagini siano fruibili da tutti, che non siano elitarie, che abbiano una composizione gradevole senza disturbare l’occhio e che facciano sempre riflettere”.