Per essere bella, è bellissima, Wonder Woman. Per essere brava, è bravissima, Gal Gadot. Si dimostra ardita, forte e indomita, l’Amazzone Diana. Ma è sempre e solo la figlia di un dio, Zeus, il re degli dei olimpici. Il quale avrebbe creato ogni cosa e poi sarebbe morto per mano di Ares, il dio della guerra e del male. Diana sarebbe il frutto d’amore tra Zeus e la regina delle Amazzoni, Ippolita. Diana ha già 30 anni, o almeno li dimostra, ma sua madre non vuole che abbandoni l’isola Paradiso e la città di Temiscira (con le casette di Matera, boh!) dove le Amazzoni vivono lontano dal mondo né vuole cedere lo scettro a 50 anni suonati. Ma Diana si innamora dell’aviatore americano Steve Trevor, precipitato sulla spiaggia (di Italia o Cina?) e fugge con lui su una barchetta a vela, ritrovandosi a Londra, nel mezzo della seconda guerra mondiale. Si renderà conto di avere una forza sovrumana e di essere pressoché immortale, distruggerà il dio malvagio e salverà gli uomini. Il dio malvagio impersona il nazismo tedesco, Diana l’America, di cui veste i colori della bandiera. Messaggio che denigra i tedeschi e capita a fagiolo a Trump, impegnato nel duello per l’Europa contro la Germania (come sostiene l’ultimo numero di Limes, rivista italiana di geopolitica). Ma di una cosa siamo tutti certi: la Merkel non riesce ad infilarsi nel costume di Amazzone e fa ridere, mentre questo fumetto non fa nemmeno sorridere.
A fine maggio Los Angeles era tappezzata di manifesti che annunciavano l’avvento di Wonder Woman il 2 giugno. Il box office in America è al record d’incassi, in Italia in caduta libera. E non solo perché gli italiani preferiscono andare al mare che chiudersi in una sala cinematografica. Questa supereroina è un simbolo femminile potente, ma controverso e contradditorio. Nata da un fumetto del 1941, più volte modificato negli anni, ha certamente valorizzato la figura della donna, affibbiandole però via via i panni dell’epoca in cui veniva riscritto; un bel giorno l’Amazzone diventa perfino una servizievole segretaria che, grazie alle sue doti di impiegata perfetta, riesce a diventare presidente degli Stati Uniti. Messaggio subliminale per far lavorare le donne casalinghe degli anni ’50 con la promessa della Casa Bianca.
Comunque in sintesi l’alto messaggio è: Diana abbandona la propria vita paradisiaca per amore di un uomo mortale e per salvare il mondo. È una dea perché insegna alle donne ad avere assoluta fiducia in se stesse, misericordia e amore per i propri simili. I cattivi non sono simili e quindi vanno annientati o ancor meglio uccisi. Quindi, guerra: Diana si avvale delle stesse armi che hanno usato gli uomini finora. Rimane un prodotto della cultura maschilista: si vive in un mondo dove c’è l’eterna lotta tra il bene e il male. Anzi vince il male, ma arriverà una donna salvifica. Il Messia tanto atteso è una donna e non porge l’altra guancia.
Il problema però è che, secondo la voce fuori campo del film “gli dei possono morire solo per mano di altri dei”. Quindi la dea-donna può morire per mano di qualcuno più forte di lei. Come nella vita. Purtroppo gli uomini si credono dei e gli uomini hanno bisogno di credere in un dio, ma gli dei non esistono. E nemmeno le dee. Gli dei sono i nostri pregi e difetti e non moriranno mai. E’ ovvio che è meglio estrapolare dal mito che studiarlo, ma significa forzare il mondo mitico, portatore dei valori insiti nell’uomo, per scaraventarli fuori dal tempo. La pochezza di questo messaggio cinematografico non salverà la psiche umana, che per riuscire a vivere continuerà ad affidarsi a ogni sorta di psicologici o guru dell’anima.
In breve la storia del popolo delle Amazzoni, tramandataci dagli storici greci del passato è questa: discendevano dal dio Ares e dalla ninfa Armonia, quindi rappresentavano un punto d’incontro nel dialogo tra uomo e donna. Diana era la loro dea e nessuna Amazzone osava portare questo nome divino. Tuttavia le Amazzoni, pur essendo libere e autosufficienti, finivano sempre per incontrare l’amore e talvolta ne erano catturate. A Temiscira, sul Mar Nero, si combatté la lotta più cruenta tra eroi greci e Amazzoni dell’Asia Minore, intorno al duemila avanti Cristo. Ne uscirono entrambi sconfitti. Esse non volevano cedere la cintura di Ares, che impersonava la loro inviolabilità, dignità, esistenza. Non avevano armature né spade e combatterono solo con un piccolo scudo a mezzaluna, arco, frecce e una doppia ascia. Come tutte le donne erano armate solo per la difesa, non per l’offesa. E così, noi donne, abbiamo attraversato i secoli.