Nel generale e conclamato declino culturale del nostro paese, la condizione dello spettacolo dal vivo si tiene in fragile equilibrio da anni e versa ormai in una precarietà assoluta, che ha minato in modo sempre più profondo le tasche e gli animi dell’intera categoria di lavoratori, artisti e non. In particolare a Roma, dove si concentrano numeri più alti e confusione su larga scala, la situazione è ormai insostenibile da lungo tempo e alcuni recenti avvenimenti costringono oggi a riconoscere lo stato di emergenza del settore.
Negli ultimi mesi sono infatti stati costretti a chiudere, per motivi diversi e con modalità inquietantemente simili, alcuni spazi che per anni o addirittura decenni sono stati parte integrante della realtà culturale cittadina. Al di là della legittimità di tali chiusure forzate, è evidente come questa morsa che finisce per stritolare una situazione già profondamente dissestata sia di fatto un nuovo, pericoloso attentato alla sopravvivenza dell’intero settore.
L’emergenza

La vicenda più emblematica è ovviamente quella del Teatro Valle, chiuso nel 2011 per la soppressione dell’ETI (Ente Teatrale Italiano) che lo gestiva, forzatamente riaperto per un paio d’anni grazie ad un’occupazione organizzata che ha suscitato l’interesse internazionale, e nuovamente chiuso dal 2014. Ufficialmente in mano al Comune di Roma, dovrà passare sotto la giurisdizione del Teatro di Roma dopo indispensabili lavori di restauro, attualmente ancora in fase preliminare di progettazione. Paradossalmente il Comune ha l’onere di reintegrare la lacunosa documentazione catastale e di mettere a norma gli spazi di un edificio vincolato dai Beni Culturali, il che, unito ai tempi di cantiere, potrebbe protrarre la chiusura per altri 3 anni.
Di natura diversa le problematiche che mettono a repentaglio le sorti di alcuni spazi locati in immobili di proprietà comunale (lo Stabile del Giallo, i centri sociali Brancaleone, sgomberato a dicembre, Rialto Sant’Ambrogio, sgomberato, riaperto e in dialogo con le istituzioni, e Angelo Mai, attualmente sotto minaccia di sfratto). Per questi il problema principale sembra essere l’input della Corte dei Conti, che esige attraverso la responsabilizzazione dei funzionari pubblici la messa a reddito degli spazi demaniali a valore di mercato. Questa volontà, estesa a luoghi che hanno finora beneficiato di condizioni di canone vantaggiose (anche in virtù del fatto che svolgono funzioni di aggregazione sociale e culturale supplendo di fatto a lacune della pubblica gestione), implica oggi la richiesta di arretrati e la sottoscrizione di un contratto di affitto evidentemente non sostenibile da questo tipo di attività.
Ancora diverso il caso del Teatro dell’Orologio, storico punto di riferimento del teatro romano e nazionale, a norma sotto tutti gli aspetti legati alla gestione del personale e ai locali, salvo che per la mancanza di un’uscita di sicurezza, la cui apertura si scontra da 37 anni con un veto della Soprintendenza, trattandosi anche in questo caso di edificio storico vincolato. Così un blitz in forze della questura ha posto i sigilli al teatro interrompendo spettacoli e attività laboratoriali lo scorso 16 febbraio.
Roma Theatrum Mundi?
Con queste premesse è più che mai urgente una chiara presa di coscienza della comunità nel suo complesso, quindi sia artisti ed operatori teatrali, sia il pubblico, locale e non solo. Perché se è vero che ad essere messi in discussione sono l’identità e il ruolo, anche simbolico, di Roma in quanto capitale innanzitutto culturale, anche al di fuori dei confini nazionali, è il rapporto con la burocrazia e con il concetto di legittimità/legalità che la città e l’intero Paese sono chiamati necessariamente a rivedere. Il problema culturale è in stretta relazione con le dinamiche di una società stritolata dagli ingranaggi di una macchina kafkiana, fatta di Istituzioni che non si relazionano fra loro e di legislatori che non tengono in considerazione né la realtà degli oggetti che vanno a regolamentare, né le conseguenze di una applicazione cieca delle normative stesse. Tutto ciò impatta oggi tragicamente con il settore teatrale, ma è evidentemente argomento molto più ampio e di interesse molto più generale.

Sulla base di queste considerazioni e dell’impellente bisogno di mettere in atto un percorso costruttivo, quattro critici teatrali di età e visioni diverse hanno indetto un’assemblea con l’obiettivo di allargare il dialogo fra realtà istituzionali e creatività indipendente. L’iniziativa di Attilio Scarpellini, Andrea Porcheddu, Graziano Graziani e Sergio Lo Gatto è stata accolta nei locali del Teatro India, cioè nell’istituzione del Teatro di Roma diretta da Antonio Calbi, trasversalmente aperta al dialogo e alla condivisione, in una giornata dal suggestivo titolo di Roma Theatrum Mundi lo scorso 25 febbraio. E ha trovato fondamento in due importanti fattori: la presenza per l’intera mattinata dell’assessore alla Crescita Culturale di Roma Capitale, nonché vicesindaco di Roma, Luca Bergamo, e l’adesione numerosa di artisti, compagnie e organizzazioni teatrali romane.
“Paradossalmente il problema degli spazi riguarda anche l’India” è l’esordio di Antonio Calbi, che apre l’assemblea in qualità di padrone di casa mettendo l’accento sulla difficoltà di utilizzare in modo innovativo e aperto i locali gestiti dal Teatro di Roma, sia negli edifici vincolati di Argentina e Valle che negli spazi interni ed esterni di recupero industriale dell’India. Un breve confronto con altri eclettici spazi europei, che riescono a sfruttare al massimo il proprio potenziale, mostra che è necessario “essere più ambiziosi e assolvere ad un dovere: questa città deve ripartire dalla cultura”. E dal riesame delle attuali politiche culturali che non tutelano, non sostengono e non riescono a misurare in termini qualitativi l’operato di grandi e piccoli, ad esempio per un’equa distribuzione dei fondi del FUS (l’insoddisfazione in merito alla riforma Franceschini 2015 sembra essere un saldo punto in comune ai più).
La presenza di Luca Bergamo è un segnale positivo, ma non risolutivo. “Sento la necessità di un confronto” afferma l’assessore e vicesindaco, confermando la propria disponibilità ma anche i propri limiti: molte le responsabilità del malgoverno pregresso, tanto il tempo necessario per poter sistemare una situazione burocraticamente ed economicamente disastrosa. In un lungo e trasparente discorso denuncia da un lato l’immobilismo determinato dalle norme anticorruzione, per cui “il processo sta sottraendo alla politica la possibilità di intervenire” e dall’altro “l’assenza di condizioni generali, dovuta anche alla profonda incomprensione della funzione che la cultura svolge all’interno di una città. La crescita culturale, cioè l’emancipazione umana, non è stata considerata un valore”. Manca insomma, a livello politico e dunque governativo, la consapevolezza che la cultura sia, prima che un elemento del ciclo economico, un elemento di costruzione sociale. Da dove partire, dunque?
Pre-occupazione
A fronte di ottime premesse per gettare le basi di un dialogo costruttivo, l’occasione potenzialmente positiva è stata in parte vanificata dal fatto che in questo incontro di “pre-occupazione” “non si è riusciti a mantenere una discussione più programmatica, su un piano alto, finendo per scontrarsi in parte su temi quotidiani”, secondo Porcheddu. Lo Gatto vede nel mantenimento di alcune posizioni estreme e solipsistiche “una piccola sconfitta”, anche se di contro “la lucidità di diversi interventi almeno in parte ha permesso di mantenere il focus sulle necessità”. Soddisfatto dell’esito concreto che vede la costituzione di alcuni tavoli di lavoro su priorità quali lo snellimento delle burocrazia, la nuova gestione dei Teatri in Comune e l’individuazione di nuove risorse accessibili a livello nazionale ed europeo, auspica che la formazione dello spettatore già portata avanti da diversi progetti teatrali operi in primo luogo “per la ricostruzione di un tessuto culturale, per la formazione di coscienze e per la capacità di comprendere i reali problemi, dei quali la comunicazione sui social denuncia invece l’ignoranza”.
Per inciso, noi stampa potremmo e dovremmo contribuire sistematicamente allo scopo, ed è significativo in questo senso anche che di tale preoccupazione si facciano portavoce in primo luogo dei critici e non degli addetti ai lavori.
Chiusasi con la promessa di un nuovo incontro ad un mese, l’assemblea è stata documentata in diretta audio e video su Facebook, dove il dibattito è tutt’ora attivo in forma di gruppo di studio aperto. Se l’incontro è riuscito a gettare basi allargate per un confronto, ne è anche emerso chiaramente quanto la comunità teatrale allargata debba ancora definirsi come tale e trovare nella piena e aperta collaborazione la forza per affermarsi e portare avanti le proprie istanze in modo compatto e fattivo. Una condizione necessaria per essere riconosciuta e compresa anche dal pubblico, al di là di qualunque merito artistico.
La sfida è dunque costituita dai prossimi passi operativi, dall’elaborazione di proposte concrete su cui basare un dialogo costruttivo con le Istituzioni locali e dalla successiva elevazione del confronto a livello nazionale. L’ambizione è quella di creare uno scenario in cui la cultura svolga un ruolo di traino, attraverso la promozione di sinergie e l’investimento sugli artisti del territorio e sulla formazione dello spettatore. Le domande restano aperte: come? Con quali strumenti? Secondo quali logiche? Attraverso quali modelli? Attuando quali strategie?