Dal Pinocchio di Collodi a Fellini: sogni, illusioni e fantasia. Per il festival di teatro italiano In Scena! arriva a New York la nuova produzione di teatro ragazzi della laziale Compagnia Matutateatro, nata in collaborazione con il Teatro della Caduta di Torino. Pinocchio Fellini trasporta la storia del burattino più famoso del mondo dentro un immaginario felliniano. Senza forzature né modernizzazioni, le avventure del burattino sono rivissute in tutti i momenti cruciali della storia e trovano potenza evocativa nello stile di Fellini e in una resa classica, coinvolgendo il pubblico nell’illusione e costringendolo a piegare la fantasia di adulti e bambini a quel bel compromesso che è il teatro come favola. Interpretato da Elena Alfonsi, Alessandro Balestrieri, Julia Borretti, Danilo Sarego, Andrea Zaccheo, su drammaturgia e regia di Titta Ceccano, lo spettacolo si muove tra teatro delle ombre, musica dal vivo, coreografia, cinema e teatro d’attore, riuscendo a rinfrescare, pur restandovi fedele, un classico della letteratura per l’infanzia.
Difficilmente inquadrabile in confini di genere, la compagnia Matutateatro raccoglie l’eredità di un teatro artigianale, in cui prevale la pluralità dei linguaggi della scena e il rapporto con le altre arti (musica e cinema soprattutto), e rielabora la ricerca teatrale all’interno di un linguaggio popolare, in grado di parlare ad un grande pubblico. Ne abbiamo parlato con il regista Titta Ceccano.
Con che obiettivo arrivate a New York?
“Far vedere il nostro lavoro ad un pubblico che ama l’Italia. Siamo convinti che il nostro spettacolo sia di grande impatto per un pubblico straniero, è uno spettacolo visionario e immaginifico che abbatte le barriere della lingua e dell’età. Infatti lo abbiamo pensato per spettatori dai 4 ai 90 anni”.
Che cosa potrà vedere il pubblico attraverso il vostro spettacolo?
“La storia del burattino più famoso del mondo calata in un immaginario felliniano attraverso le musiche di Nino Rota. Come dire un condensato di italianità però mai banale; uno spettacolo che ha le cadenze di un musical, ma non lo è; un teatro popolare che parte dal teatro sperimentale”.
Da dove nasce l’idea di questo spettacolo?
“L’idea di questo spettacolo è nata tanti anni fa in un contesto particolare come quello di un laboratorio teatrale con ragazzi con disabilità psichica, grazie alla loro immaginazione senza limiti nacque uno spettacolo onirico che è il primo germe di Pinocchio Fellini. L’anno passato ho deciso di rimettere le mani su questa storia che ronzava nella mia testa, e l’ho fatto con un gruppo di
giovani attori professionisti”.
Qual è lo stato del teatro italiano? È difficile oggi fare teatro in Italia, perché?
“Il teatro italiano soffre sotto la scure dei tagli in forma di riforma (scusate il gioco di parole). Questo stato di cose avvantaggia i grandi, la punta dell’iceberg, ma sotto la punta c’è un grande movimento fatto da piccoli teatri, piccole compagnie che incessantemente dal basso ridanno vita ad un’arte antica che pone l’uomo al centro e non i numeri che richiede la riforma. Detto questo, non credo che ciò sia un male assoluto, dalle nostre parti si è sempre fatto di necessità virtù e quella del necessario è una legge in teatro. In fondo l’artista artigiano è tra le cose migliori che il nostro paese ha esportato in secoli di storia. E poi chi l’ha detto che fare teatro debba essere facile?”.
Ritieni che il teatro italiano sia esportabile? Quali caratteristiche lo rendono più o meno esportabile?
“L’arte è stata sempre esportabile, se è un teatro d’arte è sicuramente esportabile”.
Che accoglienza vi aspettate dal pubblico americano? Cosa volete lasciare con questo spettacolo alle persone che verranno a seguirlo?
“Ci aspettiamo un’ottima accoglienza, il nostro spettacolo parla al di là della lingua che utilizza. E poi abbiamo due grandi nomi in ditta, Pinocchio e Fellini, spero che un po’ di curiosità la suscitino”.
Dai ai nostri lettori una ragione per venire a vedere il vostro spettacolo.
“Immaginate la fatina di Pinocchio che è un condensato delle donne di Fellini, da Anita a Sandra Milo, passando per la tabaccaia di Amarcord…”.