Lunedì 29 febbraio torna su Rai1 il commissario più amato e seguito degli ultimi anni. Da quando è iniziato, vent’anni fa, Montalbano ha riunito davanti agli schermi, nel nostro paese, una grossissima fetta di popolazione, riportando così in televisione anche la letteratura che se è vero che era spesso presente con grande fiction, non aveva raggiunto il successo e la devozione che è toccata al personaggio creato da Andrea Camilleri – e magnificamente interpretato da Luca Zingaretti. Dal libro allo schermo, però, il passo non è breve e al lavoro c’è una squadra affiatata di sceneggiatori capeggiati da Francesco Bruni, sceneggiatore anche di molti film di Paolo Virzì e lui stesso regista di successi come Scialla. Accanto a lui Salvatore De Mola, sceneggiatore, scrittore, amante del basket e di New York. Proprio a New York lo abbiamo incontrato qualche tempo fa e ci siamo fatti raccontare del suo rapporto col commissario di Vigata e non solo.
Quando hai iniziato a lavorare per Montalbano e come è stata la prima esperienza?
“Era il 1999, ero arrivato a Roma da poco. Venivo da Bari e avevo 32 anni, due premi Solinas vinti e la folle ambizione di diventare sceneggiatore. Per farlo, avevo lasciato un posto di redattore alla Laterza, la più importante casa editrice del Sud. Avevo frequentato il corso di formazione Rai per sceneggiatori, ma di lavoro ne avevo pochino. D’altra parte non c’era ancora stato il boom della fiction in tv, e quindi la domanda di sceneggiatori era bassa. Stavo meditando di lasciare tutto e di tornare a Bari, sperando che mi prendessero di nuovo alla Laterza. Fortunatamente arrivò Francesco Bruni, uno dei pochi amici che avevo a Roma. Francesco era già uno dei più importanti sceneggiatori italiani, autore dei copioni di Virzì, di Calopresti e di altri grandi registi. Da qualche anno stava lavorando ai film tratti dai romanzi di Camilleri. Erano uscite sei o otto puntate, non ricordo, tutte su Rai2, tutte con ottimi risultati per la rete, ma molto lontani dal successo attuale. Per il passaggio della serie da Rai2 a Rai1 Francesco aveva bisogno di un aiuto, e mi chiese di collaborare con lui. Per me era l’ultima spiaggia e fortunatamente andò bene…. Tanto che quando, dopo i nuovi episodi, che raggiunsero otto, nove milioni di telespettatori, Rai1 mandò in replica le puntate già andate in onda su Rai2, queste ottennero un’audience più alta della prima emissione. Credo che sia l’unico caso del genere, in Italia sicuramente, ma forse nel mondo. Da allora ho fatto sempre parte della squadra e ovviamente non sono più tornato a Bari”.
Come lavorate dal racconto di Camilleri alla sceneggiatura?

“Ci sono modalità diverse. La squadra ora conta anche Leonardo Marini, oltre a me e a Francesco. In genere ci occupiamo di quattro puntate per volta, anche se dall’anno scorso abbiamo iniziato a lavorare su due puntate. Questo ci consentirà di avere ogni anno due episodi nuovi da mandare in onda, evitando le lunghe attese tra una serie e l’altra. Infatti adesso andranno in onda due nuovi episodi, l’anno prossimo altri due – li stiamo finendo di scrivere adesso e li gireranno fra aprile e giugno – e nel 2018 altri due ancora. Prima di iniziare, facciamo lunghe riunioni per capire i problemi dei singoli film. Ad esempio, quando partiamo da un romanzo, facciamo la cosiddetta scaletta desunta, che ricaviamo dal romanzo. La prima necessità è capire dove tagliare: in genere, i romanzi di Camilleri hanno talmente tanto materiale narrativo che si potrebbero fare due film da ogni storia! Ed è sempre molto doloroso sacrificare dei pezzi di romanzo. Poi verifichiamo che il meccanismo del giallo sia perfetto. Quindi iniziamo a scrivere la sceneggiatura. Ovviamente in tutto questo c’è un continuo dialogo con la produzione e con la struttura editoriale della Rai. Un po’ diverso è il lavoro quando partiamo dai racconti. Di solito, sempre tutti e tre insieme, scegliamo i racconti da fondere in un episodio, cercando quelli che possono avere una consonanza tematica. Poi uno di noi si occupa di buttar giù una scaletta dell’episodio, unendo i racconti scelti. Quindi il risultato si sottopone prima di tutto a Camilleri, e solo dopo la sua approvazione e i suoi consigli si procede alla sceneggiatura. Devo dire che questo tipo di lavorazione è quella che mi piace di più, e che abbiamo sperimentato soprattutto nel Giovane Montalbano”.
Visto il grande successo della serie, siete legati a cose che vanno per la maggiore con il pubblico oppure avete carta bianca? C’è una linea che viene dettata dalla produzione?
“No, assolutamente. Ci guida solo la fedeltà al mondo di Camilleri. Solo quest’anno, dopo 26 puntate e quasi vent’anni dal primo episodio, la produzione, d’accordo con il regista, Sironi, e con lo stesso Camilleri, ci ha chiesto uno sforzo d’invenzione in più per rifondare la serie, come se iniziassimo a scriverla ora per la prima volta. In questo, ci è stato d’aiuto l’ingresso della nuova Livia, la grande attrice Sonia Bergamasco. Per lei abbiamo cercato di ripensare Livia, il suo rapporto con Salvo, il modo in cui vive la realtà di Vigata…. Inoltre le storie di Camilleri stanno diventando più cupe, meno inclini alla commedia. Anche questo cambiamento è importante, per noi”.
Camilleri è siciliano, ma nessuno di voi lo è. Come riuscite a dare agli episodi l’intenso sapore di Sicilia?
“Io è dal 2010 che ogni estate vado in Sicilia in vacanza, ormai mi daranno la cittadinanza ragusana ad honorem…. Scherzi a parte, la nostra fortuna è che il mondo di Camilleri è talmente ricco e vivo che non abbiamo bisogno di ricrearlo. Inoltre, quasi tutti gli attori della serie, soprattutto quelli dei casi di puntata, sono scelti direttamente in Sicilia, dove, come sai, c’è una tradizione di teatro, non solo dialettale, incredibilmente ricca. A noi non resta altro che scrivere belle scene che poi il regista, tra l’altro milanese, dirige con l’aiuto di uno dei cast più belli che si siano mai visti in tv, secondo me”.

Con il Giovane Montalbano, non essendo creato da Camilleri, sembrerebbe che abbiate molto più spazio per la creatività. Però è una storia che va fatta amare, mentre con Montalbano l’amore è quasi scontato. Come si lavora su una serie nuova che nasce da una più famosa e di successo?
“Il primo romanzo con Montalbano protagonista uscì nel 1994. Era La forma dell’acqua. In quel romanzo, il mondo di Montalbano è già tutto pronto, ed è stato quello uno dei motivi del suo successo: si entrava subito nell’universo vigatese, senza inutili introduzioni, senza lungaggini, senza presentazioni. In gergo, usando una formula latina, si dice in medias res. Ecco, la scommessa del Giovane Montalbano era appunto quella di raccontare come Salvo è diventato Montalbano. Volevamo descrivere la genesi di una leggenda, qualcosa di simile a quello che è stato fatto per Sherlock Holmes e Indiana Jones. Ci è stato di grande aiuto Camilleri, che sa davvero tutto sul suo personaggio, come se fosse una persona vera. Certo, come dici giustamente tu, abbiamo più spazio in questa serie. Intanto, la trattiamo come una serie normale, cioè non una collana di film che possono essere visti anche separatamente – basti vedere il costante successo delle repliche, che la Rai manda in onda senza preoccuparsi della successione cronologica. Il giovane Montalbano ha una linea orizzontale, cioè una storia che si dipana lungo le sei puntate, la struttura è più articolata, gli elementi di commedia non sono attribuiti solo a Catarella, ma a tutta la squadra. Insomma, io personalmente mi diverto di più a scrivere il Giovane. Forse perché mi immedesimo più in questo Salvo che in quello più maturo, anche se Riondino è molto più giovane di me, o forse perché amo il rischio. E come dici giustamente tu, nulla era scontato, in questa serie. Per fortuna però i risultati, anche della seconda stagione, andata in onda nell’autunno scorso, ci hanno dato ragione”.
Avete un protagonista importante, Luca Zingaretti, Conoscendone la grande bravura, che tipo di lavoro vi porta a fare?
“Anche con Luca le cose sono andate sempre meglio, man mano che il lavoro di squadra si è perfezionato. Ora, penso che sarebbe impossibile scrivere una puntata di Montalbano senza il suo contributo, che è sempre creativo e stimolante. Da un po’ abbiamo inaugurato un metodo di lavoro che reputo molto utile: prima della stesura definitiva, facciamo una lettura con Luca, che ci aiuta a registrare meglio non solo le battute di Montalbano, ma anche certe soluzioni visive di cui solo un attore, e un attore della bravura di Luca, può valutare la reale efficacia e fattibilità”.
Tante serie, tante puntate. Come si riesce a rimanere sempre freschi e originali?

“Come dicevo prima, l’importante è pensare ogni volta che sia la prima. Al di là dell’intenzione della produzione di rifondare la serie con queste nuove puntate, noi cerchiamo sempre di porci in modo vergine rispetto alle storie e ai personaggi. Non è facile, ma la routine la teniamo fuori dalla porta”.
Lasciando da parte Montalbano, su cosa altro stai lavorando ora?
“Fortunatamente è un periodo molto fertile. Tra pochi mesi dovrebbero iniziare le riprese di un film che ho scritto per il cinema che racconta i giorni passati in Italia da Fiorello La Guardia, nel 1917, quando il futuro sindaco di New York si arruolò nell’esercito americano come pilota aeronautico, e partecipò, a bordo di aerei italiani, a diversi bombardamenti. È il seguito ideale di un film uscito a ottobre del 2014, Fango e gloria, una docufiction sulla prima guerra mondiale costruita con il 70% di materiale di repertorio e il 30% di scene con attori. Il film ha avuto un’accoglienza molto lusinghiera in Italia. In America è stato visto all’Istituto di Cultura di Los Angeles. Spero davvero che presto si possa vedere anche a New York. Per la televisione italiana, sto scrivendo una serie poliziesca ambientata a Matera. Poi ci sono le nuove puntate di Montalbano”.
Sognando un po’, invece, su cosa ti piacerebbe lavorare?
“Non dico niente di originale se dico che la nuova frontiera della narrazione per immagini, la più stimolante, è quella rappresentata dalle serie tv americane. Credo che Mad Men sia il vero e il più innovativo romanzo americano degli anni Duemila. Per non parlare dei Sopranos, di Boardwalk Empire, di Breaking Bad, e davvero si tratta di un elenco molto parziale. Far parte di questo rinascimento della narrazione televisiva credo sia il sogno di ogni sceneggiatore, a qualsiasi latitudine. Ecco, io ogni tanto faccio dei propositi, e cerco di legarli agli anni con le cifre tonde. Per esempio, a trent’anni ho lasciato la mia città e un lavoro fisso e sono venuto a Roma a cercare di fare lo sceneggiatore. A quarant’anni ho visitato per la prima volta la città che il cinema mi aveva fatto amare, New York – e, per inciso, ora è la città in cui vorrei vivere. A cinquant’anni… non lo dico per scaramanzia, ma si sarà capito, no?