La cronaca del giorno in cui la poesia ha smesso di vivere, quel 2 novembre del 1975, è nota ormai da 40 anni. Anzi no. Le cronache di quel giorno e dei successivi, in realtà, sono state dimenticate e sostituite da racconti imprecisi, ricordi sbiaditi o anche riemersi improvvisamente durante il 40ennale.
Il giornalista Furio Colombo, ad esempio, autore di quella famosa intervista, l’ultima, rilasciata dallo scrittore, saggista, regista, poeta e intellettuale Pier Paolo Pasolini, qualche ora prima di essere ammazzato come un cane, su La Stampa (pubblicata poi nell’inserto Tuttolibri l’8 novembre del 1975 con il titolo apposto dallo stesso scrittore «Siamo tutti in pericolo») qualche giorno fa proprio al quotidiano torinese ha rilasciato una bella intervista in cui per la prima volta parla del timore che aveva percepito da parte di Pasolini in quei momenti.
Graziella Chiarcossi, l’erede del poeta, dopo 40 anni di scarne dichiarazioni, spesso infastidite per il clamore che suscita ancora oggi la morte violenta riservata allo scrittore, ha rivelato il 30 ottobre scorso sul quotidiano la Repubblica un particolare molto importante che riscrive da solo una dinamica precisa di quella notte: l’arresto di Pino Pelosi, l’unica persona riconosciuta ufficialmente colpevole per quel massacro all’idroscalo. Un arresto che non c’è stato, uno storytelling che ha permeato la storia giudiziaria e politica dello scrittore, insieme all’altro elemento, quello sessuale, che nell’ammasso di pruderie tutta italica ha ben navigato fino a spargersi, coprendoli, l’opera e l’uomo.
E’ un particolare importante questo, confermato a dieci anni dalle parole del regista Sergio Citti che vi si riferivano. La Chiarcossi infatti ha confermato che quella notte due poliziotti l’avvertirono del ritrovamento dell’auto dello scrittore presso la Tiburtina, un luogo lontano dalla zona dell’omicidio. E’ dunque imprescindibile che così dichiarando la filologa e cugina di Pasolini affermi un qualcosa che cambia parte della dinamica di quella notte, come ricostruito e ampliato da me stessa nel mio libro ma anche in una precedente inchiesta condotta con la collega Martina di Matteo su I Quaderni de L’Ora.
Spesso ricordi e ricostruzioni si sono alternate e affastellate creando molta confusione e tanti fraintendimenti che pochi hanno voluto davvero chiarire e che da soli hanno costituito un quadro unico sgangherato.

Foto del corpo di Pasolini pubblicata nel libro di Simona Zecchi “Pasolini. Massacro di un poeta”
Ora qui preme ribaltare, però, ciò che, nonostante le celebrazioni e i lustrini mostrati in Italia durante i giorni che ne commemorano la scomparsa a 40 anni dai fatti, si vuole invece pervicacemente tuttora saldare nel cuore e nelle teste dell’opinione pubblica. Lo ha fatto ieri sera la Tv pubblica durante la seguitissima trasmissione di Fabio Fazio «Che tempo che fa» in cui l’ospite Paolo Mieli, ha parlato di “malattia del complottismo e del retroscenismo”. A parte il neologismo dell’ultimo termine di per sé abbastanza fastidioso per la nostra martoriata lingua italiana, si è assistito a una sguaiata scenetta in cui l’uno (Fazio) riverente verso l’altro (Mieli) discettava sulla follia di quei “complottisti” che a ogni evento cruento in Italia scendono a man bassa dietro gli angoli della dietrologia e sfornano libri. E l’altro verso l’uno prometteva che da ora in poi questo non sarebbe più successo (data l’uscita per Rizzoli del suo libro). Su Aldo Moro o su Pier Paolo Pasolini in particolare, anche se per arrivare a questi due nomi, direbbe un complottista, sono passati dalla morte di Giulio Cesare. Ringrazierà la Commissione Parlamentare d’inchiesta che sull’omicidio di Aldo Moro ha ripreso a indagare dopo anni (è la terza indetta), e ringrazieranno anche i numerosi killer e mandanti che hanno organizzato, tendendo una trappola al poeta, il suo martirio.

Un altra foto del corpo massacrato di Pasolini pubblicata nel libro di Simona Zecchi
A questo esempio tutto italiano di come davvero vogliono si intenda quell’omicidio, e il suo profondo significato, risponde caldamente, anzi precedendolo, un articolo di un’ottima rivista on line di attualità e cultura che addirittura ci consiglia ben “7 motivi per dimenticare Pasolini”. Sono due modi tranchants entrambi speculari, gli ultimi figli dei primi, i quali proprio grazie a come sin dall’inizio la mattanza a Pier Paolo Pasolini è stata gestita dai media, dagli organi inquirenti, dalla magistratura e da figure oscure ma vere presenti (come ho ricostruito nel libro Pasolini, Massacro di un Poeta, edizioni Ponte alle Grazie 2015) che hanno manipolato la vicenda restano sempre pronti a urlare, magari con grazia, contro Berlusconi e (meno) contro Renzi dimenticando che a costoro il nostro paese è arrivato dopo 40 anni appunto. Qui si intende ribaltare quei punti che troverete nell’articolo pieno d’astio di Rivista Studio i cui autori appare chiaro non hanno letto mai nulla di Pasolini e se lo hanno fatto lo hanno fatto male e soprattutto hanno vissuto anche poco Roma seppure da lì sembrino provenire.
1. Esotismo cosa?
Pasolini ha vissuto nella più scalcinata periferia (quando Rebibbia lo era allora) poco dopo essere stato accolto da uno zio abbiente al centro di Roma; ha lavorato come insegnante facendo avanti e indietro da Roma verso l’hinterland, Ciampino, sull’autobus per misere 27 mila lire (erano misere anche allora), mentre la madre Susanna svolgeva le pulizie per la borghesia, da dove anch’essi provenivano ma che a Roma ancora non li accoglieva. Pasolini ha vissuto, prima del successo di Ragazzi di Vita (1955) in una borgata del quartiere Monteverde e più tardi, quando si è trasferito nella parte più borghese della zona, ha continuato a frequentarla, lasciando ogni volta la porta della macchina aperta con le monete dentro affinché i ragazzini potessero prenderle. (Questo è un racconto vero della borgata). Ha cercato di salvare da un luogo di abusi sessuali i bambini disadattati di Villa Sciarra (sempre a Roma) insegnandogli la letteratura il cinema e traendone dialoghi per i suoi film.
2. Eroismo (ed eredi)
Dove sono gli eredi di Pasolini oggi? Non esistono non c’è pasolinismo anche perché i tempi sono nettamente diversi e peggiori di come lui li aveva già indicati e anche perché non esiste nessuno che abbia il suo talento poliedrico e la sua capacità di analisi. Quando si parla di corpo e Pasolini arriva sempre puntuale il riferimento alla sua “sessualità incontenibile” che ovviamente in realtà è un sotteso riferimento alla sua omosessualità. In 40 anni i figli dei Sanguineti (Edoardo, poeta neoavanguardista) non hanno smesso di parlare del suo sesso perché parlare delle sue opere non vogliono, non le leggono non gli interessa però si gettano nelle analisi letterarie più “fini” come se lo avessero fatto. Il corpo che gettava lo utilizzava soprattutto per riferire l’effetto che il nuovo potere attraverso anche il sesso stava per avere sulle nuove generazioni, uno dei filtri con i quali il potere intendeva gestire le menti degli italiani. Almeno non parlassero più di quanto è cattivo Berlusconi.
3. Dietrologia
Pasolini invitava a non farsi ammaliare dal complotto fine a se stesso e insieme ad andare oltre la “cronaca bella e impaginata” non è una contraddizione (altro termine con cui piace a molti definire l’uomo, il letterato e il saggista, derubricato a “polemista”) ma l’una la conseguenza dell’altra se non si applicano capacità di analisi e se non ci si stupisce più, qualità questa che dovrebbe essere tra le prime se non la prima caratteristica di un giornalista, qual era anche Pasolini e non soltanto perché possedeva il famoso tesserino dell’ordine.
4-5. Eclettismo e Impegno
Pasolini applicava il suo talento a diverse arti e scienze umanistiche, come a esempio la critica del linguaggio, non perché fosse un miracolato un mistico o un profeta ma perché scelse sin dall’inizio di essere così e di introiettare il suo talento verso l’impegno. Oggi e allora anche per un intellettuale italiano delle ultime generazioni il termine equivale quasi a una parolaccia: l’impegno è un abominio il dualismo, impegno e arte creativa, non è considerato una ricchezza della facoltà umana. Magari vorrebbero costoro che Pasolini resuscitasse per scusarsene. Pasolini, inoltre, si è applicato gradualmente a ogni tipo di attività lasciando spesso l’una per l’altra e poi riprendendola (come ha fatto con la letteratura e il cinema) o spesso cambiando registro linguistico perché come ha scritto lui stesso in Petrolio, il gioco letterario non gli era più sufficiente per cercare di far arrivare le sue denunce ai lettori che lo seguivano (ed erano tanti si rassegnino gli autori del libello 2.0).
6. Ipocrisia
Quando si ha poco da dire su Pasolini si torna sul sesso perché certo è “ingombrante” questo aspetto e quindi lui secondo costoro come si permette, lui, che adescava ragazzini a denunciare i mali della società? Un ragionamento davvero profondo considerando il fatto che l’omosessualità maschile al tempo veniva vissuta solo in questo modo e che quindi non era una prerogativa unicamente di Pasolini. Scriveva Jean-Paul Sartre alla vigilia del processo nel 1976:
«In questo processo non mi preoccupo della sorte di Pelosi che pure aveva i suoi problemi […]. Quello che mi auguro è che non divenga il processo a Pier Paolo Pasolini […] le tendenze omosessuali s’impongono sin dall’infanzia e nelle persone in cui si manifestano creano una sessualità senza vera contraddizione che deve essere considerata normale così come l’eterosessualità. È vero, Pasolini cercava i suoi compagni di piacere tra i ragazzi di vita delle borgate di Roma […] ma si può rimproverarglielo quando si pensa alla quantità di uomini che fa l’amore con le puttane?» (cfr. il libro Pasolini, Massacro di un Poeta, Ponte alle Grazie 2015)
7. Realismo
Rivista Studio sceglie il reportage “La lunga strada di sabbia”, pubblicata da Contrasto per intero e in modo inedito dal dattiloscritto realizzato da Pasolini a suo tempo per la rivista Successo e poi anche in Romanzi e racconti 1946-1961 (Milano Mondadori, Meridiani 1998) per infine affermare che “raccontare la realtà dopo Pasolini ha un solo sinonimo: raccontare il mondo offeso dalla violenza e dalla volgarità”. Ma forse non sono arrivati alla pagina 95 di quel bellissimo libro, edito nel 2014, che riportava gli appunti dello scrittore, anzi no del giornalista in quel caso, sulla città di Siracusa:
«Eccomi a girare per Siracusa. Capito proprio alla fonte Aretusa: è sul porto: un porto ceruleo e dolce come una laguna: sul piccolo lungomare, c’è una costruzione cinquecentesca, di suprema eleganza, circolare, una specie di pozzo, e dentro cigni, pesci e papiri. Il sole già bolle ma la fonte emana una arcadico fresco […]»
L’ultimo consiglio che mi sento di dare per non dimenticare Pasolini è quello di non dare retta a chi ti consiglia di lasciar stare la sua morte e di rivolgersi al contrario esclusivamente alle sue opere perché senza capire “com’è andata” è impossibile e soprattutto come è ben spiegato qui non riesce nell’intento.
Nel giorno dell’anniversario dell’assassassinio più feroce del 900 mai perpetrato a un uomo in Italia si continua a massacrarlo attraverso le parole per sotterrare anche le sue parole o magari “ingurgitarle”.
Il 2 novembre, alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University, si terrà una serata speciale dedicata a Pier Paolo Pasolini. Tutte le informazioni qui.
* Simona Zecchi, giornalista residente a Roma, è l’autrice del libro appena uscito Pasolini Massacro di un poeta (Ponte alle Grazie, 2015)