Ancora una volta la Fondazione Roma Museo – Palazzo Sciarra porta l’arte americana nella capitale. Dopo le esposizioni dedicate ad Edward Hopper, Georgia O’Keeffe e Louise Nevelson, è il turno di Norman Rockwell, il più grande illustratore americano del XX secolo che amava ripetere “le cose ordinarie non sono mai noiose. Ci vengono a noia quando siamo noi a smettere di essere curiosi e di apprezzarle". American Chronicles: The art of Norman Rockwell, a cura di Danilo Eccher, e in collaborazione con La Fondazione NY, propone una retrospettiva vintage dell’artista newyorchese, morto nel 1978.
Un racconto personale della storia americana dagli anni Dieci ai Settanta del Novecento, attraverso 323 copertine originali disegnate per la popolare rivista americana, The Saturday Evening Post. Definito “un candido apologeta dell'american dream”, Rockwell realizza così un ritratto idilliaco di una nazione che non esisteva nella realtà ma che aveva a che fare con i buoni sentimenti e l'idea di come avrebbe potuto essere la vita di ogni cittadino se fosse riuscito a concretizzare il sogno americano.
Per più di 60 anni le sue illustrazioni, scene dal taglio cinematografico caratterizzate da una cura maniacale per i dettagli e l’aspetto caricaturale dei personaggi, riflettono la politica, le guerre, i conflitti razziali, il proibizionismo e il cupo periodo del maccartismo. Ma il suo tema di predilezione rimane la gente comune ritratta nei suoi gesti quotidiani, che per Rockwell si trasformano in preziose occasioni per affrontare i drammi della vita. Con i poliziotti bonari e comprensivi, gli avieri appena tornati dal Pacifico con il giubbotto di pelle, i vicini di casa, i ragazzi di campagna a piedi nudi, i diners a lato della strada con l’insegna al neon, il caffè acquoso e la torta al limone sottovetro, il baseball, e il tacchino il giorno del Ringraziamento, Rockwell riesce definitivamente a toccare le corde più profonde del sentimentalismo popolare americano.
Nell’epoca dell’illustrazione divulgativa, dove i magazine ebbero un ruolo cruciale nel plasmare i bisogni e le aspettative della nascente società statunitense, l’arte di Rockwell fu oggetto di controverse interpretazioni tra chi lo accusava di non rispecchiare la realtà della società americana e chi invece vedeva dietro l’apparente ingenuità delle sue lievi e coloratissime illustrazioni, lo specchio delle contraddizioni sociali di una nazione ancora giovane. Eppure sprazzi di una tronfia retorica patriottica e paternalista si ravvisano in lavori come Scout is helpful del 1939, dove il protagonista è impegnato con sguardo eroico nel salvataggio di una bambina dopo un uragano, oppure nei quadri, Le quattro libertà, ispirati al celebre discorso sulle quattro libertà fondamentali del presidente Roosevelt. Le tavole furono pubblicate dal The Saturday Evening Post e quindi esposte in numerose città americane per promuovere la raccolta di fondi per la guerra. Infine nell’opera The Problem we All Live with, del 1964, Rockwell, traendo spunto da un fatto di cronaca a New Orleans, ritrae due sceriffi che accompagnano a scuola la prima bambina di colore per proteggerla dalle minacce della comunità bianca.
Ma nei racconti illustrati di quegli anni inquieti, è il regista americano Steven Spielberg, che insieme a George Lucas è tra i maggiori collezionisti di Norman Rockwell, a ricordare che l’artista newyorchese, da cronista del suo tempo, ha saputo porsi con delicato equilibrio tra idealismo e realtà. La sua arte è la storia di un mito, l'American Way of Life, per l’appunto.
La mostra resterà aperta fino all'8 febbraio.