Ci sono parole che ognuno porta con sé, che rimangono come tatuate nei pensieri. Parole che accompagnano perché quando sono state lette hanno creato varchi di luce nella confusione delle riflessioni. Parole che si ripetono durante le lezioni agli studenti, nei seminari, nelle conferenze o semplicemente a qualche amico perché si ha piacere di condividerle. Sono le parole, in questo caso, dello storico francese Jacques Le Goff, scomparso due giorni fa’: “E l’Italia trasmise tutto quanto, il bene e il male”; “…ciò che balza agli occhi in questo caso è il fatto che le realtà politiche e mentali del Medioevo italiano sono, ben più che l’Italia, gli italiani”; “Un paese rimpicciolito su un’area geografica peninsulare, da padrone divenuto schiavo, che inventa, per il mondo medievale e moderno, la borghesia, il capitalismo mercantile, la libertà, l'artista, che si lancia alla conquista economica e culturale del mondo europeo e mediterraneo, ma rincorre il proprio passato e alla fine rimane in posizione marginale, tale è l’immagine che possiamo farci oggi che l'Italia medioevale.”,”… di fronte a ondate di invasori per lo più armati, gli italiani saranno spinti ad adottare comportamenti ambigui, talvolta resistendo, talvolta piegandosi, talvolta ricorrendo alla rivolta e talvolta facendo uso dell'inganno, servendo due padroni insieme, per valersi dell'uno contro l'altro. Ciò varrà loro la nomea di popolo incostante, imprevedibile, furbo. L'immagine del doppio gioco italiano viene da lontano.” Le si pronunciano appoggiati come nani sulle spalle grandi del gigante francese, come a dire :“se lo ha detto lui!!”.
Attento alla documentazione, tuttavia, come il suo grande predecessore Fernand Braudel, ha rappresentato una sorta di storico contemporaneo, innovativo, capace di arrivare a pubblici ampi e di muoversi con maestria in ambiti disciplinari differenti: filosofia, sociologia, economia, antropologia, storia della cultura, geografia. Ciò che tutti noi avremmo voluto leggere quando a scuola studiavamo la storia. Arrivare, cioè, alla comprensione dell’umano agire, invece di trovarsi di fronte sterili fatti, accompagnati da date, presentati in forma didascalica come una lista della spesa. Un umanista storico, quindi, che ha studiato il Medioevo ma che è riduttivo definire medievista, perché alla fine era l’uomo e la sua storia che gli interessavano.
Marc Bloch scrisse che lo storico è come un orco delle fiabe, deve essere attratto dall’odore dalla carne umana. Bene, Le Goff era un grande orco, tant’è che i suoi studenti, allorché ebbe compiuto settantacinque anni, gli regalarono un libretto dal titolo L’ogre Historien (L’orco storico).
Figlio di un padre bretone, insegnante di inglese, e di una madre del Sud della Francia, insegnante di pianoforte, nacque a Tolone nel 1924. Fu per quasi trent’anni a capo l’ Ecole des Annales francese, con le quali dette luogo a La Nouvelle Historique, mentre nel 1975 costituì giuridicamente l’École des Hautes Etudes en Sciences Sociales.
Seppur pienamente francese, ci è sembrato incarnare quell’idea italica di cui parliamo. Grande italofilo, per la sua tesi di Dottorato studiò molto tempo a Roma, città che amò tantissimo. Tutta la sua opera e il suo pensiero si circonda dell’Italia e della sua identità. Non ha raccontato la storia d’Italia, ma un modo di essere, di vivere, di pensare di coloro che ancora italiani non erano. Come non ha raccontato la storia degli intellettuali, ma l’intellettuale; non la storia dei mercanti, ma il mercante; non i banchieri, ma il banchiere. Si è proiettato nella mentalità del tempo, nel modo di vivere e di agire, come un buon antropologo dovrebbe fare con la società che vuole studiare. Calandosi così profondamente si è italicizzato, ci ha raccontato come siamo stati, dentro ma anche fuori, nella presenza costante oltre gli odierni confini italiani. E raccontando la cultura italica l’ha amata molto di più di qualunque altro italiano. L’ha amata perché ne ha scoperto i paradossi, le ambiguità, le stranezze, ma anche gli slanci, le passioni, i desideri, le maestrie. L’ha amata perché l’ha conosciuta.
Di molto altro si potrebbe parlare, di tante idee, interpretazioni che hanno fatto e continueranno a fare storia. Ma per fortuna, seppur nella mancanza, i suoi libri sono ancora lì, come nella mia libreria, a riempire il vuoto, pronti ad essere ripresi in mano, sfogliati, letti e riletti, soffermandosi su quelle parole che ci proiettano fuori dal nostro tempo.
Ma Le Goff è stato uno storico atipico anche perché ha raccontato altro: un piccolo libretto dedicato alla moglie amata e scomparsa nel 2004, Con Hanke: "voglio sforzarmi di scrivere una sorta di biografia che racconti nella sua singolarità una donna anche se non ha fatto nulla di notevole dal punto di vista della 'grande storia'. Sara' quindi anche la storia di una coppia; l'eroina sarà la sposa, una polacca, medico, che lascia il suo paese e il suo mestiere per sposarsi con uno storico universitario francese, senza rinunciare né alla propria cultura d'origine, né alla propria personalità, insieme forte e discreta, né alla sua indipendenza di fronte a un marito amato e a due figli adorati. Non posso scrivere questo libro con l'oggettività dello storico. Qui c'e' di più”. Qui c’è quella donna: “che amerò ardentemente fino alla mia morte”.
Ma questa è un’altra storia. E’ la sua storia.