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December 24, 2017
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Meno divisioni, più condivisione: come valorizzare l’arte italica nel mondo

Intervista alla storica dell'arte Sabrina Baldanza, curatrice di mostre di Magritte, Cézanne, Dalì e Picasso

Riccardo GiumellibyRiccardo Giumelli
Meno divisioni, più condivisione: come valorizzare l’arte italica nel mondo

Sabrina Baldanza

Time: 4 mins read

Esiste un’arte italica? Il tema è vasto anche perché l’arte, per lo meno quella occidentale, in ogni suo luogo, non può essere pensata senza l’ispirazione degli artisti nati e formatisi nella penisola italica, che ancora Italia non era.

Tuttavia, una chiacchierata sull’arte degli italoamericani e su quelli che dall’Italia sono stati influenzati e sedotti non poteva mancare in una rubrica come questa. Su queste pagine non sono mancati recensioni di eventi su questo tema organizzati da Iavanet. Così per non farci mancare un tema decisamente irrinunciabile ne parliamo con Sabrina Baldanza, storica  dell’Arte, ha lavorato presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto e la Galleria d’Arte Moderna Palazzo Forti, curando mostre di Magritte,  Cézanne, Paul Klee, Vassilij Kandinsky, Henri de Toulouse-Lautrec, Dalì, Mirò, Picasso e il Surrealismo spagnolo. Autrice di diverse pubblicazioni ho avuto il piacere di incontrarla durante una delle sue conferenze su Hopper, Caravaggio, Botero e tanto altro. Ecco come è andata la nostra piacevole chiacchierata.

Hopper Blue Night 1914, Whitney Museum

Nella mia rubrica non abbiamo mai affrontato il tema dell’arte, in particolar modo la pittura. Innanzitutto vorrei chiederti come è messa oggi la produzione artistica italiana, ha, cioè, una sua specifica identità oppure rientra in un mainstream a carattere internazionale?

“Sono tanti piccoli orticelli da proteggere e promuovere nel nostro sistema dell’arte. Vedo poca condivisione e molti talenti che non devono essere sprecati ma aiutati. Come fare Penso alla Biennale di Venezia, conclusa da non molto. Tra i padiglioni storici dove Carlo Scarpa è vicino alla Bauhaus e Peggy Guggenheim nel 1948, davanti ad una tazzina di caffè e la sua immancabile sigaretta,  si godeva la luce veneziana dopo le fatiche di un allestimento. Gli artisti di oggi, ospitati,  sono lontani tra di loro e spesso cattivi ambasciatori del loro Paese, fatte alcune eccezioni. Ma, per fortuna, all’Arsenale, scopri un forte e confortante tentativo di stare insieme tra gli artisti, piccoli ma luminosi fari per la nostra fragile civiltà. Rammendano, rattoppano e riscoprono il valore del fare, del lavorare la materia, per rendere più autentica la nostra identità”.

Joseph Stella e Marcel Duchamp fotografati da Man Ray (1920)

Quali sono gli artisti con origini italiani, che hai avuto modo di studiare e conoscere, che hanno colto la tua attenzione e perché?

“Mi occupo di formazione, di rendere condivisibili i temi dell’arte soprattutto moderna e contemporanea, e a proposito di oriundi,  mi vengono in mente, perché me ne sono occupata di recente,  due artisti che fanno di cognome STELLA. Il primo è Joseph Stella, oriundo, nato a Muro Lucano, vicino  Potenza. Nel 1896 giunge a New York dove si iscrive all’Art Students League e poi alla New York School of Art. Espone i suoi primi dipinti all’Armory Show nel 1913. Un anno memorabile per l’arte americana: per la prima volta vengono presentate negli Stati Uniti le opere degli esponenti più significativi dei movimenti artistici europei d’avanguardia. Stella, definito il primo futurista d’America, orienta  la sua ricerca verso la dinamica sintesi futurista e la sintassi cubista, dipingendo l‘agitato pulsare della metropoli.

Il secondo Stella, è Frank, pittore americano, di chiare origini italiane, che negli anni sessanta, dopo essersi svincolato dall’espressionismo astratto di Pollock, ha dato vita al minimalismo pittorico.  Ha scritto un breve e intenso saggio su Caravaggio. A lui devo in parte una riflessione più precisa e puntuale sulle opere di Caravaggio nella recente mostra di Palazzo Reale a Milano. Stella mi ha guidato nel descrivere la capacità dell’artista, di terra bergamasca, di creare uno spazio dentro il quale i soggetti pittorici possano muoversi in quanto corpi, idee e anime”.

Frank Stella

Quali invece quelli che hanno avuto, pur non essendo italiani, l’Italia nel cuore?

“William Merritt Chase, ha avuto l’Italia nel cuore. Venezia in particolare. La Venezia di Favretto e di Fortuny, la  Venezia da raccontare ai suoi allievi, quali  Georgia O’Keeffe , Joseph Stella e non ultimo Edward Hopper. Una Venezia da vivere nei suoi straordinari colori insieme agli affetti più cari fino all’ultima parte della sua esistenza (1916)”.

Joseph Stella, 1919-20 Brooklyn Bridge (Oil on canvas, Yale University Art Gallery)

Tu sei anche una studiosa di Hopper, che in Italia non è mai stato, come mai?

“Molti conoscono la forza delle immagini di Hopper, forse non tutti sanno o riconoscono  la firma di Hopper.  L’Italia ha omaggiato in più sedi museali, di recente, non sempre in maniera esaustiva,  il percorso di questo artista, ma nel mio racconto dedicato a Hopper, tutte le volte,  emerge la sua nostalgia per l’Europa, conosciuta direttamente nei viaggi o nei libri e cataloghi. Un’Europa sentita e amata attraverso le poesie a voce alta recitate in lingua originale da Hopper stesso in solitudine o in compagnia di pochi e fidati amici”.

La Direttrice della Galleria Accademia di Venezia ha recentemente detto, durante la premiazione Fondazione Masi di Verona, che il museo che dirige ha creato un network con altri che ospitano opere di artisti veneziani, secondo logiche a noi care e che definiamo glocal. Cosa ne pensi di iniziative come questa? E pensi che possano essere replicate?

“Glocal'”, ossia unire tradizione e innovazione. Sicuramente occasioni, iniziative da elogiare, anche nel settore arte e da sostenere soltanto nel caso in cui vi siano reali volontà politiche di portare avanti contenuti, idee, relazioni. Negli ultimi anni mi interesso molto del rapporto tra artisti europei e americani tra le due guerre, scoprendone ogni giorno l’attualità e quanto l’America ha avuto bisogno e ha cercato l’Europa nei momenti storici più critici e di chiusura dei confini”.

Infine ci puoi sfatare un mito, so che le do una grande responsabilità nel dire questo, ma qual è un artista italiano sopravvalutato ed uno sottovalutato?

“Non è semplice anche perché, sottovalutato o sopravvalutato da chi..dai critici, dagli storici dell’arte, dai galleristi, dalle aste dove l’evento del Salvator mundi di Leonardo, venduto per 450 milioni di dollari, è una scommessa giocata sull’attribuzione? Senza disturbare i nomi, io sono dalla parte di chi costruisce negli anni con etica il proprio lavoro e si mette al servizio  di quel pubblico che pensa che l’arte sia un incontro, un’occasione: un pensiero in libertà. E soprattutto  mi schiero dalla parte degli artisti del passato che mi aiutano nel rendere le immagini di ieri così vicine ai pensieri di oggi  e sostengo sempre la contemporaneità che traccia con sofferente fiducia  il nostro sconnesso cammino”.

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Riccardo Giumelli

Riccardo Giumelli

Un aforisma che più di altri mi rappresenta è quanto scrisse Machiavelli, citando Boccaccio: “che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi”. Come loro sono toscano, animo inquieto in cerca di porti per approdare e ripartire. Dopo gli studi in Scienze politiche, ho iniziato ad amare i libri, fare ricerca e scrivere, al punto da rimanere nell’Università, prima Firenze poi Trento. A Dijon e poi a Parigi, ho lavorato alla Camera di Commercio italiana e all’OCSE. Tornato in Italia, sono approdato a Verona, dove faccio ricerca e insegno. Intanto un matrimonio e due splendide gemelline. Mi occupo di sociologia, cultura e comunicazione. Tra tanti nuovi inizi e altrettanti epiloghi, una costante: ho sempre tifato Inter. Infatti soffro di stomaco.

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