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Argentina, l’ultraliberista Milei presidente. Massa ammette la sconfitta

L'elettorato argentino, stanco del peronismo, si affida alla mina vagante della politica latinoamericana

Gianni PerrellibyGianni Perrelli

Argentine president-elect Javier Milei - ANSA/EPA/Juan Ignacio Roncoroni

Time: 4 mins read

Nel delirio dei festeggiamenti intorno all’obelisco di Buenos Aires, il succo della stupefacente vittoria del “loco” Milei è sintetizzato da un osservatore anziano dall’aria un po’ scettica: “Solo un popolo fantasioso come quello argentino poteva mandare alla Casa Rosada un matto. Ma saremmo stati ancor più pazzi se avessimo eletto presidente un ministro dell’Economia che ha fatto salire l’inflazione al 142 per cento”.

Javier Milei, 53 anni, il candidato anarco-liberista di estrema destra che a colpi metaforici di motosega promette di fare piazza pulita dello statalismo e della corruzione, in pochi mesi è schizzato dalla quasi anonima condizione di outsider ai vertici del potere. Un’ascesa irresistibile che, al netto delle profonde differenze ideologiche, ricorda con ancor maggiore rapidità la marcia trionfale dei nostri 5 stelle nel 2018.

Milei è stato scelto come male minore rispetto a Sergio Massa (51 anni), politico più navigato anche se ondivago, candidato moderato di un peronismo in affanno. Ha prevalso il rigetto per il governo incolore di Alberto Fernandez (manovrato dietro le quinte da Cristina Kirchner), che ha fatto sprofondare il paese verso il precipizio: 419 miliardi di dollari di debito pubblico, 44 miliardi da restituire al Fondo Monetario Internazionale, oltre il 40 per cento della popolazione sotto la soglia di povertà, 10 milioni di indigenti.

Milei non avrebbe però staccato Massa di circa 10 punti se non avesse avuto l’appoggio di Patricia Bullrich, la candidata della destra tradizionale (manovrata dall’ex presidente Mauricio Macri), che con il 24 per cento dei consensi era stata eliminata al primo turno. L’alleanza innaturale fra l’estremismo di Milei e il conservatorismo classico della Bullrich (si erano fatti ferocemente la guerra per tutta la campagna elettorale) ha prodotto l’affossamento di Massa che grazie ai sussidi a pioggia elargiti negli ultimi mesi e con l’appoggio di istituzioni civiche e internazionali aveva vinto al primo turno. Ma, nel momento della verità, la destra in blocco ha votato per Milei sospinta dal desiderio di rivincita del macrismo sconfitto nel 2019 dall’apparato della Kirchner. Accantonando le divergenze fra moderatismo e massimalismo. Sorvolando anche sulle sgrammaticature di un candidato dagli eccessi facili: stravagante (dice di trarre ispirazione dai suoi 4 cani e da una medium che lo mette in contatto addirittura con Dio); collerico (ha l’insulto facile contro chiunque non la pensi come lui, Papa incluso); sguaiato (usa espressioni volgarissime); umorale (ha attraversato gran parte dello schieramento politico, collaborando per un breve periodo anche con il suo nemico Massa); iconoclasta (vuole abolire la Banca Centrale, fonte di inflazione, e la maggior parte dei ministeri per poi procedere alla dollarizzazione dell’economia e a privatizzazioni selvagge che includerebbero pure i club calcistici); retrivo (è contro l’aborto ma a favore della vendita di organi umani); quasi negazionista (in sintonia con la sua vice Victoria Villarruel, figlia di un militare, il genocidio provocato dalla dittatura militare più che una tragedia nazionale è stato il frutto degli eccessi ricorrenti in ogni guerra): xenofobo (vuole impedire l’accesso in Argentina agli stranieri con precedenti penali).

Presidential candidate for the Renewal Front party Sergio Massa – ANSA/EPA/Tomás Cuesta / POOL

Ma nessuno di questi limiti, che esibiva sfrenatamente negli show televisivi, in cui mescolava le ricette iperliberiste con lezioni sul sesso tantrico, si è rivelato un handicap. Sono stati prevalentemente catalogati come sfoghi di schiettezza. Sulla paura di un salto nel vuoto si è imposta la speranza, un po’ ingenua e un po’ messianica, di una svolta che possa far uscire il paese dalle paludi del sempiterno peronismo, intrappolato fra l’assistenzialismo spicciolo e l’ingordigia della corruzione. Ha vinto l’idea che più giù di così l’Argentina non potesse scendere. Che la paura dell’ignoto fosse un rischio minore di fronte all’incubo permanente di una stagnazione senza vie di uscita. Dominante soprattutto fra i ceti medioalti, tartassati dalla fiscalità che alimentava l’assistenzialismo e sfociava troppo spesso nelle ruberie, e dai giovani che ritenevano di non avere più niente da perdere.

Milei, che fa coincidere il suo iperliberismo con il populismo a favore dei “forgotten men” che è stata la fortuna di Donald Trump, si insedierà alla Casa Rosada il 10 dicembre: quarantennale del ritorno alla democrazia messa a repentaglio proprio dal suo manifesto ideologico. Ma non avrà vita facile. In primo luogo perché come leader politico lui stesso è un’incognita. Non ha mai avuto un incarico, non ha mai amministrato alcunché. In odor di dilettantismo, finora, è anche quella striminzita minoranza di seguaci che sotto l’insegna del suo partito (“La libertà avanza”) è riuscito a portare in Parlamento. Dispone di soli 6 seggi su 72 al Senato e di 38 su 257 alla Camera. Per imporre le sue leggi radicali dovrà smussare le divergenze con gli eletti della Bullrich e venire a patti con i peronisti ancora dominanti in Parlamento e nei governatorati. Il cambio non ufficiale del dollaro subito dopo l’apertura delle urne è schizzato da poco più di 900 a 1200 (quello ufficiale è sotto i 400). La libertà, insomma, per avanzare ancora dovrà fare parecchia fatica.

Proprio per questo Milei, consigliato dalla sorella Karina (il vero “boss” della campagna elettorale) nell’ultima settimana si è mostrato più sobrio. Ventilando perfino l’ipotesi di concedere un ministero (fra quelli che rimarranno) alla sinistra. Nel suo primo discorso, duro ma non incendiario, ha promesso una ricostruzione storica sulla base delle sue idee liberal-libertarie contro la casta corrotta (qualsiasi cosa voglia dire). Già da domani dovrebbe finire la decadenza di uno Stato potenzialmente ricco trattato dai partiti che l’hanno preceduto come un bottino da spartire. Ha poi garantito l’impegno a favore della democrazia e della svolta per un futuro di prosperità. In 35 anni, ha assicurato, l’Argentina rientrerà nel rango di potenza mondiale (anche se lui probabilmente nel 2058 al potere non ci sarà più). Durante i festeggiamenti nei saloni di un hotel del microcentro, abbracciato dalla fidanzata e futura primera dama Fatima Florez (vaporosa attrice televisiva), ha poi precisato che riuscirà a domare l’iperinflazione al massimo entro due anni. Auguri. Diplomatiche le reazioni internazionali. Improntate al dialogo, incluse quelle del brasiliano Lula e del cileno Gabriel Boric (i condomini sudamericani di sinistra). Con l’eccezione del colombiano Gustavo Petro che vede nell’elezione di Milei un pericolo per la democrazia. Entusiasta, ovviamente, Donald Trump, per l’exploit del discepolo. Un trionfo che rilancia alla grande il populismo internazionale e regala ulteriore spinta alla sua nuova avventura verso la Casa Bianca.

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Gianni Perrelli

Gianni Perrelli

Gianni Perrelli è stato per molti anni corrispondente da New York per l’Europeo e per l’Espresso. In Italia ha ricoperto le cariche di caporedattore per entrambi i settimanali. E, in giro per il mondo, è stato testimone di molti fra i principali avvenimenti internazionali con reportage e interviste a leader politici e personaggi influenti della società

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