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June 24, 2016
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GB Out: See EU Later?

I britannici votano "leave" al referendum sull'Europa. Shock? Anche occasione per rilanciare il destino dell'UE

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
brexit
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La Gran Bretagna ha votato nel referendum sull’Europa e a vincere, anche qui a New York ci dice per prima la BBC, è stato il fronte del “Leave” (o anche “Out”) contro quello del “Remain” (o “In”): 52% a 48% il responso delle urne. I britannici hanno scelto di lasciare, o di uscire dall’UE.  Bisogna esserne sorpresi? E perché? E’ la democrazia bellezza, e con questa, quando non si scherza, si vince o si perde.

La Gran Bretagna dentro l’Europa non c’è mai veramente stata, almeno non come gli altri paesi (e non solo per l’euro). L’Unione europea in questi anni ha veramente fatto poco o nulla per far cambiare idea alla maggioranza dei britannici,  che non da ora ma da sempre hanno percepito la Comunità europea prima, e l’UE dopo, come un pachiderma burocratico fuori dal controllo democratico dei cittadini. Non certo solo per gli inglesi, l’Europa “unita” resta ancora un centro di potere politico (e finanziario) non controllato dal voto dei suoi cittadini. Il popolo europeo nel suo insieme non elegge nulla dei suoi fondamentali centri di potere governativi, a parte quell’ancora troppo debole Parlamento.

E ora che succederà, a parte la caduta libera della sterlina inglese che in poche ore ha raggiunto rispetto al dollaro i livelli più bassi dal 1985? Vedremo, ma la vittoria del “leave” era possibile, anzi prevedibile.

Ero ancora un ragazzino quando ero in partenza per il mio primo viaggio senza i mie genitori. Sarei andato in Inghilterra per imparare l’inglese, una vacanza-studio, destinazione Brighton. Mio padre sulla strada per l’aeroporto che allora si chiamava ancora Punta Raisi – a Palermo stava appena iniziando la mattanza dei giudici massacrati dalla mafia –  mi racconta una celebre storiella: “Ricordati che gli inglesi, quando c’è cattivo tempo su La Manica, dicono: l’Europa è rimasta isolata”.

Non dovrebbe venir difficile capire che la Gran Bretagna in Europa non c’è mai entrata. E allora perché dovrebbe essere così tragico uscire da qualcosa dove non si è mai veramente entrati?

Già in quel mio primo viaggio in Inghilterra, non era la lingua la cosa più difficile da imparare, ma come non farsi schiacciare dalle auto attraversando la strada. Gli inglesi obbligano ancora le industrie automobilistiche del mondo a costruire auto con la guida a destra. Oppure ad avere la prese elettriche diverse dal resto del continente europeo. E allora perché avremmo dovuto aspettarci la vittoria di “In”, se non solo idealmente, ma praticamente, gli inglesi in Europa non ci sono mai entrati?

Certo, mica fessi. Il commercio delle merci e dei capitali, su quello sono tutti “in”.  Scommettiamo che sulla “roba”, Londra e Bruxelles si metteranno d’accordo? Ma con la mente e il cuore, la Great Britain nei confronti dell’Unione dell’ Europa concepita dal patto franco-tedesco, il feeling non lo ha mai avuto.

Attenzione, dando solo la colpa al testardo orgoglio isolazionista inglese, non spiegherà la vittoria dell’ “out” e non servirà a nessuno. Che almeno questo terremoto britannico possa finalmente scuotere l’Europa e spingerla a democratizzare la sua unione, finora imposta sempre dall’alto.

Solo quando l’Europa cambierà, allora i britannici potranno cominciare la riflessione sulla loro scelta del 23 giugno 2016 per magari anche loro avere dei dubbi su chi questa volta rimarrà isolato quando il mare si ingrossa sulla Manica. Ma fino ad allora, anche gli inglesi che ieri hanno votato “remain” per paura delle conseguenze dello strappo, dentro quest’Europa bloccata e poco democratica, continuerebbero a sentirsene per nulla attratti. E a ragione.

L’Europa si desti oppure si sciolga, e senza dare la colpa ai britannici per il suo fallimento. Ma, dovesse veramente riuscire a svegliarsi, celebri quel giorno che Londra suonò l’ultima campana.

p.s. NY, 8:00 am: 

Su Barack e Brexit ha ragione Trump

Ho appena visto la conferenza stampa di Donald Trump in Scozia. A parte il solito trumpismo – anche se il tono sembra più soft –  su una cosa la penso proprio come il candidato alla Casa Bianca dei repubblicani: il presidente Barack Obama non sarebbe dovuto intervenire in quel modo, a gamba tesa aggiungo io, sul referendum britannico. Nel rispetto della democrazia di un paese non si fa, soprattutto di un alleato. E probabilmente Trump non sbaglia anche quando aggiunge che la scorrettezza diplomatica di Barack ha aizzato ancor più il voto del “leave”. Non capisco come la Casa Bianca abbia potuto commettere un errore così grossolano, sospetto che sia stata sollecitata da Downing St, ma Obama ha sbagliato ad accettare di farsi coinvolgere così.

p.s. 2, NY, 9:30 am:

La radicale sul Brexit

Condivido il commento di Emma Bonino al voto britannico: che cosa deve fare ora l’Europa? Sostiene Emma… 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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