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Io e lei: storia di due donne normali

Intervista a Maria Sole Tognazzi che nel suo ultimo film racconta l'ordinarietà di un rapporto omosessuale

Maurita CardonebyMaurita Cardone
io e lei

Maria Sole Tognazzi (al centro) presenta il film al Licoln Center

Time: 6 mins read

L’omosessualità femminile al cinema è stata spesso rappresentata con storie torbide, voyeuristiche, fatte di eccessi, storie fuori dall’ordinario, insomma. La regista italiana Maria Sole Tognazzi ha invece fatto un film in cui la parola d’ordine è ordinario. Ordinaria è la relazione tra le due donne raccontate dal film, interpretate da Margherita Buy e Sabrina Ferilli. Ordinaria è la loro vita, ordinaria la loro crisi di coppia e ordinarie sono le loro reazioni alla crisi. Uscito in Italia lo scorso autunno, in clima di proteste sulle unioni civili, Io e lei è però un film ben poco ordinario; è un film a suo modo coraggioso che ci fa guardare dentro la vita quotidiana di una coppia che ha i volti di due delle attrici italiane più familiari al pubblico di casa nostra.

In questi giorni Io e lei viene presentato a New York all’interno della rassegna Open Roads. Con l’occasione abbiamo incontrato Maria Sole Tognazzi per farci raccontare perché c’era bisogno di un film del genere.

Come nasce l’idea di questo film?

“Nel 2013 è uscito il mio Viaggio sola, con Margherita Buy: quel film ha cambiato la mia vita non solo la mia carriera. Per me ha significato molto e, quando è uscito in sala e ha terminato il suo ciclo, ho pensato che avrei voluto lavorare ancora con Margherita Buy. Nello stesso periodo sono andata a Cannes per presentare il film alle proiezioni per il mercato e lì ho incontrato Sabrina Ferilli che presentava La grande bellezza. Erano molti anni che non la vedevo, anche se avevo sempre seguito con attenzione la sua carriera. Tornando a casa ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare un film con Margherita Buy e Sabrina Ferilli insieme: non sono solo due attrici molto diverse, ma due donne diversissime. E così è venuta l’idea di questo film. I due personaggi sono stati scritti su loro due e sapevo di poter giocare con delle corde, sia dell’una che dell’altra, sia drammatiche che  comiche. Se una delle due mi avesse detto di no, probabilmente non avrei fatto questo film”.

Quanto ti interessava fare un film su questo specifico tema. Volevi lanciare un messaggio?

io e lei“Abbiamo scritto questo film nel 2013. La legge sulle unioni civili è arrivata quando il film era appena uscito. Così è successo che il film è diventato tema di dibattiti e incontri, ma nella mia intenzione c’era soprattutto di raccontare la normalità e la quotidianità di questa coppia. L’omosessualità al cinema è ancora poco raccontata e, quando lo è, di solito si tratta di omosessualità maschile. Io racconto due donne, e due donne non più giovanissime, in crisi: la tematica principale del mio film è la crisi della coppia. Credo che in Italia siamo decisamente indietro nel raccontare l’omosessualità come normalità. Già Viaggio sola raccontava una donna sola per scelta e anche questo c’è poco nel cinema italiano. In Io e lei  ci sono due donne con storie diverse e scelte diverse, ma donne normali. È molto avanti, me lo dico da sola.. [ride]. Come se ci ponessimo in un mondo andato già avanti: in Italia ora con la legge sulle unioni civili si sta facendo qualche passo ma il processo è appena iniziato, siamo uno degli ultimi paesi in Europa dove ancora una coppia omosessuale viene discriminata…”

Quindi volevi riportare il discorso dell’omosessualità femminile in  un ambito di “normalità”, di famiglia?

“Mi interessavano i meccanismi della coppia. Nella relazione tra queste due donne viene a mancare una parte importante del rapporto che è la sessualità: in ogni storia d’amore il primo campanello d’allarme è quando la sessualità comincia a mancare e scaturiscono problemi a catena. Nel caso di due donne il rapporto è fatto anche di altro, per cui magari questa cosa passa un po’ in sordina ma poi diventa anche lì un elemento importante. Non volevo fare una storia di diversità, non volevo dire: andate a vedere che storia incredibile, come se stessi mostrando dei marziani. In questo senso il film ha acquistato un valore politico e di uguaglianza”.

Nella scelta di non mostrare il sesso non c’è quindi la necessità di non scioccare il pubblico?

“No, non mi interessava. Semplicemente non credo ci fosse bisogno di raccontare quella parte perché nella relazione tra queste due donne quell’elemento non c’è, non c’è più: è uno dei motivi di crisi. Non hanno più una vita sessuale. Dopo la fine del film immaginiamo che forse possa rinascere anche quel rapporto, ma nell’arco della storia del film questa cosa non accade. Era una scelta precisa”.

Come è stato accolto in Italia? Come ha reagito il pubblico?

“Il nostro paese cambia molto dalla città alla provincia: c’è un pubblico diverso. La famiglia che va al cinema nel centro commerciale la domenica pomeriggio forse non va a vedere la Buy e la Ferilli che si mettono insieme, va a vedere altro. Nelle città c’era fila continua nelle sale per vedere il film.  Quindi ti rendi conto che i film spesso hanno un pubblico di riferimento e ti accorgi delle diversità del paese: in alcuni luoghi l’omosessualità femminile è accettata, in altri è vista ancora come un tabù e magari la gente si vergogna e non va a vedere un film del genere con la moglie o con il marito. Siamo tutti avanti e pronti a dire che non c’è differenza e invece poi attraverso piccole cose come può essere questo mio film ti rendi conto che non è così. Da lì a breve c’è stato il Family day: persone che sono andate in piazza a lottare perché altre persone non avessero i diritti che hanno loro… quindi ti rendi conto del clima…”

Hai trovato reazioni di ostilità?

“Personalmente no, però un conoscente mi ha raccontato che era stato a vedere il film in sala a Lecce e all’inizio c’è una scena con Margherita e Sabrina a letto dove si intuisce che forse faranno l’amore ma forse anche no, perché è una scena davvero di quotidianità domestica e loro sono due signore che vivono con i loro libri, il loro gatto eccetera. Insomma dopo quella scena, che appunto è davvero all’inizio del film, pare che una coppia che era davanti a questo mio conoscente si sia alzata e sia uscita dalla sala. Ho chiesto quanti anni avevano: sui 35 o 38 anni, marito e moglie… E io che pensavo di aver fatto un film puritano…”

Passando ad altro, da persona cresciuta nel cinema italiano, come valuti lo stato di salute del cinema nostrano contemporaneo?

“Di crisi del cinema io ne sento parare da quando stavo nella pancia di mia madre. I motivi però  sono diversi rispetto a quelli per cui se ne parlava quando mio padre [Ugo Tognazzi, nda] faceva film negli anni Settanta. I motivi di oggi sono legati ovviamente anche al cambiamento dell’industria, alla riduzione del pubblico in sala. Il cinema è anche mercato, ma tanti film oggi girano per i festival e poi non vendono biglietti. Però i film devono rientrare della spesa fatta e la cosa va peggiorando di anno in anno: le sale chiudono, c’è il problema della distribuzione”.

Rispetto a quello che è il presente del cinema italiano, il passato, in particolare la commedia all’italiana, è secondo te una preziosa eredità o a volte risulta ingombrante?

“Io sono un amante del passato, sono una che ricorda con piacere quello che ha vissuto, ma questo ma nella privata: nel lavoro non sono una da amarcord. Pur avendo vissuto molto quegli anni e pur essendo sempre molto felice quando ricordano mio padre eccetera, penso che si debba guardare avanti e non avere rimpianti del genere: gli attori di una volta non ci sono più, i film di una volta non si fanno più e via dicendo. Per quanto mi riguarda l’esempio dei maestri del passato è fortissimo ma non perché bisogna imitare quello che c’è stato ma perché attraverso lo studio e l’osservazione di quello che hanno fatto loro si possa andare avanti: conservare quell’eredità che è grande ma non rimanerne schiacciati, ricordare con amore ma non restare troppo ancorati, lasciare spazio al nuovo”.

Guarda il trailer di Io e lei:

Io e lei (Me, Myself and Her) viene proiettato al Walter Reade Thetre del Lincoln Center martedì 7 giugno all’1.30 pm.

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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