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April 12, 2016
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La dura esistenza nell’economia della post-scarsità

Quando le persone si trasformano in oggetti, mentre gli oggetti parlano ed acquistano un’identità

Pier Luigi SaccobyPier Luigi Sacco
post scarsità
Time: 3 mins read

Per millenni l’umanità ha dovuto combattere il fantasma della scarsità materiale, che costituiva una delle minacce più serie alla sua sopravvivenza. La stessa scienza economica definisce tuttora sé stessa soprattutto in rapporto alla soluzione dei problemi legati alla scarsità. Eppure è abbastanza evidente che da tempo tutti i paesi socio-economicamente sviluppati e una quota sempre maggiore di quelli emergenti stanno entrando in una fase che potremmo definire di post-scarsità. E’ evidente che la scarsità in quanto tale esiste ed esisterà sempre, ma ciò che rende la situazione attuale sostanzialmente diversa da quella che ha prevalso per la quasi totalità della storia economica umana è il fatto che la disponibilità di risorse necessaria per la soluzione dei problemi fondamentali di sopravvivenza materiale è ormai assicurata per intere popolazioni. A differenza di quanto accadeva ancora qualche generazione fa, in nessun paese socio-economicamente sviluppato, ad esempio, la possibilità di morire di fame è considerata una minaccia concreta anche dai soggetti meno favoriti dalla distribuzione sociale delle risorse.

Questa situazione produce delle conseguenze importanti. Un effetto purtroppo evidente a tutti della post-scarsità è l’impatto delle nostre preferenze alimentari biologicamente selezionate sui nostri stili alimentari attuali. Come è ben noto, in un’economia della scarsità la disponibilità di grassi, zuccheri e proteine dall’alto valore energetico è piuttosto rara, e di conseguenza la selezione naturale ha favorito negli esseri umani una preferenza per i cibi ricchi di queste sostanze in modo da migliorare la capacità di approvvigionamento di tali sostanze in un ambiente nel quale esse potevano venire a mancare anche per lunghi periodi. Purtroppo però in un mondo in cui tutte queste sostanze sono liberamente disponibili e anche a buon mercato, la nostra capacità di resistenza a tutta questa disponibilità diviene di conseguenza bassa a meno che le persone non si auto-educhino o vengano consapevolmente educate ad adottare uno stile alimentare diverso. E purtroppo il dilagare dell’obesità, soprattutto nelle fasce di età più giovani, mostra che almeno per il momento i nostri sforzi non sono stati coronati dal successo sperato.

Meno evidente però è l’analogo effetto che la post-scarsità produce in altri ambiti, primo tra tutti il rapporto tra il senso di realizzazione personale (fulfilment) e il possesso di oggetti. In una società dominata dalla scarsità, il possesso di oggetti, soprattutto se rari e desiderabili per un ampio numero di persone, è un mezzo sicuro per l’acquisizione di status. In un certo senso, in questo tipo di società l’avere è anche, in qualche misura, ‘essere’. Ma in una società della post-scarsità questo è molto meno vero: quando gli oggetti divengono liberamente disponibili per tutti, ciò che fa la differenza non è tanto l’avere quanto l’inserire questo possesso in un determinato contesto di significato. Eppure, esattamente come per il cibo, il nostro istinto ci porta ancora a desiderare meccanicamente il possesso degli oggetti come forma di affermazione della nostra identità, con risultati tragicamente controproducenti non diversamente da quanto accade per l’obesità. Basta dare un’occhiata agli account Instagram di tanti giovani rampolli che esibiscono trionfalmente le loro forme di consumo opulento, dalle auto sportive di grossa cilindrata ai vestiti firmati alle bottiglie magnum di champagne alle ville con piscina. Nella loro mente, questa è un’affermazione di esistenza. Ma la tragica verità è che gli oggetti che esibiscono così trionfalmente in realtà ‘esistono’ molto più di loro. Sono loro ad essere, e ad essere percepiti, come l’appendice della Ferrari o del vestito D&G, e non il contrario. Sono loro che da persone si trasformano in oggetti, mentre al contrario gli oggetti parlano ed acquistano un’identità. Questo fenomeno, per quanto possa superficialmente destare sentimenti di invidia sociale, è in realtà altrettanto grave e tragico quanto l’obesità. Anche perché, come nel caso dell’obesità in cui quello stesso cibo potrebbe essere destinato, con grande beneficio di tutti, a chi è davvero denutrito, anche qui quelle stesse risorse potrebbero essere destinate ad usi socialmente più produttivi non soltanto per chi potrebbe disporne meglio, ma anche per queste stesse persone che di fatto vivono in un contesto esperienziale che non può che provocare gravi danni allo sviluppo della personalità.

Per troppo tempo l’economia, che parte dall’assunto, vero in un’economia della scarsità semplice ma assolutamente infondato in un’economia della post-scarsità, che ciascuno è il miglior giudice del proprio benessere, non si è occupata di questo tipo di problemi. E’ ora che inizi a farlo.

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Pier Luigi Sacco

Pier Luigi Sacco

Insegno Economia della Cultura all’Università IULM di Milano e sono attualmente visiting professor presso la Harvard University. Sono anche direttore scientifico della Fondazione Campus di Lucca e scrivo per Il Sole 24 Ore. Penso che la cultura sia oggi uno dei canali più potenti di innovazione, competitività e coesione sociale, e che purtroppo lo capiscano ancora in pochi. Penso che non ci possa essere uno sviluppo economico sostenibile senza una società inclusiva fondata sulla cooperazione e sullo sviluppo umano. Il mio principale contributo alla cultura è come DJ techno, assieme al polistrumentista Roberto Paci Dalò, con il moniker The Misha Sessions.

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