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Caso Moro: la scia della ‘Ndrangheta sull’agguato di Via Fani

Il ruolo della mafia calabrese nel rapimento di Aldo Moro e i segreti ancora custoditi

Simona ZecchibySimona Zecchi
caso-moro

La foto apparsa sul Messaggero che mostra una scena di via Fani il giorno del rapimento di Moro, dove nel cerchio appare un uomo che potrebbe essere Antonio Nirta, l'esponente della 'ndrangheta calabrese nato nel 1946

Time: 7 mins read

(Seconda parte. La prima parte qui)

Ottobre 1993. A quindici anni dal sequestro di Aldo Moro e dalla strage dei cinque agenti di scorta, che hanno segnato il 16 marzo e il paese  38 anni fa, il 13 ottobre 1993, viene arrestato l’allora introvabile  quarto uomo addetto a sorvegliare la prigione di Moro, quella di Via Montalcini (la lunga storia processuale e delle commissioni che si sono succedute infatti hanno avanzato ipotesi che Moro potesse essere stato prigioniero in più luoghi durante quei 55 giorni): Germano Maccari, conosciuto anche con il nome di copertura, l’ingegner Altobelli.  La stampa ne darà notizia il giorno successivo, il suo ruolo fu riconosciuto poi nel Moro quinquies. Di lì a qualche giorno, fra il 14 e il 15 ottobre, avviene una seconda operazione, quella della Dia, denominata Nord-Sud. Da qui lo stesso nome della inchiesta (poi sentenza della IV Corte d’Assise di Milano n. 16/97) portata a termine dalla Procura di Milano, nella quale furono coinvolti oltre a 221 appartenenti alle ‘ndrine, e operanti soprattutto in Lombardia, anche avvocati ed ex magistrati. Inchiesta in cui fu  indagato anche l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino, defunto da poco, coinvolto e poi assolto anche nella strage di Piazza della Loggia a Brescia. L’indagine fu  successivamente archiviata.

Procedimento Penale Maccari-Nirta. Entrambe le operazioni però per un certo ulteriore filone collimeranno in un’unica inchiesta. Si tratta del procedimento penale numero 16033/93-R denominato Germano Maccari + Nirta. Il nome di  Antonio Nirta viene dato in pasto alla stampa  negli stessi giorni dell’arresto del quarto carceriere perché riferito dal pentito Salvatore Morabito come facente parte del sequestro. Sì, quell’ Antonio Nirta detto nell’ambiente “due nasi” o “l’esaurito” che nel 1978 aveva 32 anni. Della sua identità abbiamo già parlato e chiarito nel precedente articolo e in corso sarebbero le verifiche da parte della Commissione parlamentare d’inchiesta che potrebbero portare alla sua identificazione quella mattina a Via Fani, attraverso anche la foto pubblicata dal Messaggero lo scorso gennaio spuntata da un altro procedimento penale: quello sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli avvenuto il 20 marzo 1979. Altro fatto da appurare sarebbe poi, se confermata la sua presenza, il ruolo che ebbe Nirta quel giorno: della sparatoria o del solo sequestro.   L’operazione della Dia che  portò al filone distaccato d’indagine “Maccari + Nirta”, poi  archiviato dopo tre anni dal Gip D’Angelo su richiesta del già procuratore Antonio Marini,  è stata possibile proprio grazie alle dichiarazioni tutte riscontrate di Saverio Morabito le quali non solo hanno fatto arrestare mafiosi e uomini della  società civile ma hanno coinvolto  colui che ricopriva le vesti di  legale del Morabito su cui la procura lombarda segretamente indagava. Un collaboratopre altamente attendibile dunque. Un’operazione di rara delicatezza e segretezza per la quale certo era indispensabile mantenere il  segreto. Le prime dichiarazioni del Morabito in questo senso, tuttavia,  sono datate 1992  e la procura di Roma non le riceve che dopo un anno, quando aprirà quella inchiesta su un uomo delle Br e un uomo della ndrangheta e il pentito viene risentito.

caso moro documentoDocumento Sisde declassificato. E’ interessante intanto, prima di proseguire oltre,  spiegare come si è venuti a conoscenza del procedimento penale numero 16033/93 R (dove 1993 è indicativo dell’anno  in cui iniziò l’indagine) perché a oggi ciò di cui, a livello di opinione pubblica almeno, si era soltanto a conoscenza, era che il nome di Nirta era stato fatto appunto dal collaboratore Morabito e che i riscontri svolti non avevano dato allora alcun risultato: la procura di Milano per mancati riscontri svolti propriamente, poiché la collaborazione del Morabito non poteva essere resa nota, la procura di Roma a quanto pare perché a riscontri effettuati i risultati non avrebbero dato alcun frutto. Ma di indagine ufficiale non se ne  conoscevano gli estremi. La scoperta avviene attraverso la lettura di un documento presente presso l’Archivio storico del Senato dove siamo stati, che pubblichiamo qui,  declassificato, cioè liberato dal primo livello di segretezza imposto dalla legge nr. 124: «riservato». Il documento porta la firma di Domenico Salazar, ex direttore dell’allora Sisde, ed è datato 1994 anno per cui  si comprende forse la segretezza ancora imposta, nonostante il fatto che l’eccidio di Via Fani sia a tutti gli effetti una strage e dunque non dovrebbe essere circondata da segreti di Stato come invece molti altri documenti ancora sotto chiave su quel giorno dimostrano, questo a prescindere dalla nuova direttiva Renzi. La comunicazione rivela dell’esistenza di documentazione in possesso del Servizio relativa proprio a quel procedimento e  trasferita all’autorità giudiziaria che seguiva l’indagine. La nota, inoltre, indirizzata al ministero dell’Interno e all’allora Capo della Polizia, finiva con la raccomandazione che «esclusi i motivi di giustizia, (le notizie ndr) sono da intendersi “di vietata divulgazione”» (tra virgolette anche nella nota).  In tutto solo sei righe, oltre  all’intestazione (Oggetto: Procedimento penale a carico di Maccari Germano e Nirta Antonio: strage di Via Fani, sequestro ed omicidio dell’on. Aldo Moro), che però ci dicono già alcune cose. Infatti, del numero esatto del procedimento siamo poi venuti a conoscenza andando direttamente al Tribunale di Roma e facendo semplice richiesta di visione del documento. La data di declassificazione intanto è  dell’8 luglio 2013, ossia ben 20 anni di segreto su questa documentazione nonostante lo status di “strage”  di cui quel giorno trascina con sé il carico. Carte che dovrebbero essere entrate  nel procedimento Maccari-Nirta, le quali però al momento non è  ancora possibile visionare.

I fratelli Delfino. Tornando ora all’operazione Nord-Sud, che sempre di più rappresenta l’epicentro di alcuni stralci irrisolti di storia  convergenti sull’eccidio e il sequestro di Via Fani, è importante capire qual è il legame fra il generale Delfino e Nirta secondo le dichiarazioni di Morabito tardivamente arrivate in procura a Roma. Secondo Morabito (e non solo, altri collaboratori di ‘ndrangheta quali Mario Inzaghi e Giacomo Ubaldo Lauro riferirono la stessa cosa) Nirta sarebbe stato infiltrato da Delfino nelle BR date le sue precedenti collaborazioni durante i sequestri a Milano negli anni 70. Delfino era allora capo nucleo terrorismo della città ed è originario di Platì come il fratello giornalista Antonio. Di quelle accuse non se ne fece più nulla, e lo abbiamo detto.  Però è anche vero che a distanza di 38 anni se la storia del Nirta attraverso quella foto sparita e poi riemersa dai vari filoni d’inchiesta si riprende la scena, allora bisogna capire.di più. Il fratello dell’ex generale Delfino entra un po’ di lato in questa storia quando alcune  macchie d’accusa  lo raggiungono per altre vicende legate alla ‘ndrangheta. Il giornalista di Platì aveva dichiarato di aver accertato che nei giorni del sequetro Moro, Antonio Nirta «era certamente in carcere».

Antonio NirtaL’intervista ad Antonio Nirta. Non sappiamo se queste dichiarazioni furono ritenute valide al tempo, sappiamo però che quanto asseriva il giornalista Delfino evidentemente a difesa del fratello non poteva essere vero, perché il casellario giudiziale del Nirta in nostro possesso riporta la data effettiva del primo arresto e cioè il 15 settembre 1978: a ben 6 mesi di distanza dall’agguato. Esiste poi, a conferma di questo dato, la nota intervista riportata sul Corriere della Sera  il 19 ottobre del 93 dell’ex deputato dei verdi Pecoraro Scanio allo stesso Antonio Nirta, il quale allora detenuto a Carinola (Caserta), afferma proprio: «Sono in carcere dal settembre 1978». Ed è l’unica nota certa da lui pronunciata poiché in merito alle accuse di infiltrazione e di coinvolgimento in Via Fani per le quali Pecorario Scanio lo aveva sentito riesce soltanto a dire poche cose sibilline: «So quello che adesso dicono di me. Dicono… e vabbè se ci sarà un interrogatorio ne parleremo. Spero comunque che non ci sia».

Alessio Casimirri e Francesco Delfino. C’è un altro collegamento da inquadrare eventualmente in questa storia, elemento che l’ex procuratore Marini non ha però ricordato durante la trasmissione  “TG2 insieme” andata in onda lo scorso 16 marzo. Marini durante un’audizione della Commissione stragi (non Moro) del marzo 1995 espose una considerazione (non una certezza giuridica) per cui Delfino riuscì a sapere che Casimirri «stava organizzando non un comune sequestro ma il rapimento del presidente della Dc e allora lo passò al Sismi. Il Sismi gli avrebbe fatto fare l’ operazione, lo avrebbe avuto come infiltrato, avrebbe saputo tutto quel che voleva sapere su via Fani e sulla prigione di Moro e poi lo avrebbe fatto fuggire all’estero». Notizia che ha fatto il giro della stampa soltanto tre anni dopo. In questa operazione si inserirebbe anche il ruolo di Nirta. Lo riportiamo per  pura completezza del caso e come punto di riflessione al momento. Casimirri fu riconosciuto colpevole e condannato all’ergastolo  per il caso Moro solo durante il Moro Ter ed è latitante dal 1988. Su Casimirri  si conosce più o meno la storia di latitanza e di tentata estradizione a seguito dei contatti che i nostri servizi segreti hanno approntato (carte desecretate alla mano e cronache ce lo riferiscono). Esiste tutta una parte meno nota e mai confermata  tuttavia del ruolo altro dei nostri servizi deputati al contrario a proteggerne eventualmente la latitanza, ma al momento queste sinora sono soltanto considerazioni, espresse tra l’altro da Marini e di cui la stampa ha riportato qualche stralcio. Le domande al fondo di questa storia  sono diverse ma  alcune ci sentiamo di doverle porre dopo aver esposto dei fatti:

– Antonio Nirta fu poi interrogato nel 1993? Esistono i verbali di questo interrogatorio?

– L’altra macro-domanda è: poiché Delfino in un interrgoatorio ammise di aver saputo che Nirta era un infiltrato ma non alle sue dipendenze, riscontri in questo senso sono stati fatti?

– Come mai Maccari e Nirta furono riuniti in uno stesso procedimento?

– la collaborazione di Morabito è sempre stata considerata di alta attendibilità, come mai per la procura di Roma proprio le dichiarazioni su Antonio Nirta non hanno certificato lo stesso?

– Qual è il vero nesso fra le storie di Alessio Casimirri, Antonio Nirta e Francesco Delfino se un nesso esiste?

– come mai ancora non vengono desecretate le carte che si riferiscono alla “strage” di Via Fani come vorrebbe la legge?

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Simona Zecchi

Simona Zecchi

Simona Zecchi giornalista d'inchiesta e autrice per Ponte alle Grazie e La nave di Teseo. Scrive su Il Fatto Quotidiano e ha collaborato con la emittente televisiva europea Euronews. Ha pubblicato i libri inchiesta Pasolini, Massacro di un poeta (2015-2018) e la Criminalità servente nel Caso Moro (2018). Recente il suo saggio uscito per Marsilio sul Pasolini giornalista (2020). E' in uscita il suo terzo libro per Ponte alle Grazie.

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