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L’arte visionaria di Franco Marletta nel ricordo della figlia Giulia

L'intervista alla produttrice di Hollywood che ha curato la mostra postuma del padre: "è stato un precursore del post-umanesimo"

Elisabetta de DominisbyElisabetta de Dominis
L’arte visionaria di Franco Marletta nel ricordo della figlia Giulia

L'arte di Franco Marletta

Time: 3 mins read

La scomparsa del padre è il timore più terrificante che una bambina si porta nel cuore crescendo. E’ il primo amore, l’archetipo del maschile che ti protegge perché ti ama smisuratamente. Tu apprendi cos’è un uomo e cosa, tu donna, dovrai cercare in un uomo. Al contempo il padre dovrebbe indicarti la via dell’autodeterminazione, come pensare con la tua testa di donna e diventare libera e indipendente. Essere come lui, anche uomo.

Giulia Marletta ha 13 anni quando suo padre Franco se ne va dalla loro casa di Torino. Uno choc che Giulia cela nel cuore. A 18, conseguita la maturità al liceo classico, va a studiare all’accademia delle Belle Arti a Dusseldorf e l’anno seguente è a New York dove si laurea in cinema alla New York University. Dopo l’attentato alle Torri Gemelle si trasferisce a Los Angeles e contribuisce alla produzione di film di Dario Argento, David Lynch, Werner Herzog. Nel 2011 Giulia è già una produttrice affermata a Hollywood, è nelle sale Wild Salomè con Al Pacino, quando apprende che suo padre è morto e ha ereditato duemila quadri. Tanti ne ha dipinti Franco Marletta nella sua vita di artista visionario, tormentato dal futuro dell’essere umano che per lui negli anni ’60 era già presente: un uomo diventato robot che combatteva con una natura che aveva fatto impazzire. Una convinzione filosofica che l’aveva portato a vivere in una dimensione metafisica, lontano dalla realtà impregnata di legami sociali ed affettivi.

A novembre, durante la settimana dell’arte contemporanea a Torino, Giulia ha dedicato una mostra a suo padre: “Franco Marletta, visioni cosmiche da un osservatorio oscuro. Singolarità, passato, presente e futuro. Dipinti e disegni (1936-2011-2021)”.

Giulia, come hai superato il grande dolore dell’abbandono?

L’arte di Franco Marletta

“Da ragazzina non parlavo mai di papà; negli anni sono riuscita ad accettare la sua scelta di vita e ad apprezzare il suo pensiero. Non sono venuta in Italia per il suo funerale perché volevo ricordarmelo com’era quando ero piccola. Non lo vedevo da vent’anni… Ho cominciato a catalogare e fotografare le sue opere. La sua mostra è stata allestita in un cubo di cristallo sopra un tetto di un palazzo, proprio come l’osservatorio sul futuro dove ho immaginato mio papà”.

Tuo padre è stato un’artista affermato del dopoguerra?

“Fino agli anni ’70, papà aveva partecipato a tante collettive con Giuffrida, Fiume, Guttuso, Pinelli; nel suo studio di piazza Solferino a Torino si incontravano artisti, giornalisti, scrittori; veniva a trovarlo lo scrittore Sciascia, siciliano come lui. Poi ha cominciato a chiudersi in se stesso sempre di più sino a decidere di scomparire. Dipingeva quello che immaginava fosse il futuro: la realtà meccanica e la fisica diventano una cosa sola, ma la natura si ribella alle macchine, l’uomo la combatte e cerca di soggiogarla. Le cavallette impazziscono, gli uomini lottano contro i gabbiani, ingoiano le api… La rivolta della natura contro l’uomo è quello che sta succedendo; mio padre è stato un precursore del post-umanesimo che oggi è super contemporaneo, mentre viveva in un tempo in cui gli artisti facevano ricerche completamente diverse dalla sua. Nei suoi quadri ci sono arcobaleni a simboleggiare l’immagine metafisica della luce perché è negli spazi di luce scomposta che lui dipingeva”.

Cinquant’anni fa la chiamavamo fantascienza…

“Papà è stato l’artista italiano più vicino alla teoria del Cosmismo della vecchia Unione Sovietica, un movimento che immaginava una resurrezione dei corpi grazie al progresso senza fine della scienza e della tecnologia che avrebbe portato a colonizzare altri pianeti con nuovi umani. In verità ha profetizzato e rappresentato la teoria della Singolarità (Singularity), enunciata nel 2005 dal filosofo futurologo americano Ray Kurzweil. In America il destino tecnologico incontrovertibile verso cui corriamo è visto positivamente, come una promessa di immortalità. Invece è un’utopia, come ha profetizzato mio padre con la sua visione pessimistica del futuro”.

Tu sei una self made woman italiana che si è fatta strada nel mondo hollywoodiano con le proprie forze, perché hai raccolto un’eredità filosofica così pesante?

“La ritengo un monito da non trascurare: dobbiamo domandarci chi diventeremo, se ci opporremo alla natura che non è solo fuori ma anche dentro di noi. Rifiutandola, perderemo la nostra umanità”.

 

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Elisabetta de Dominis

Elisabetta de Dominis

Detesto confondere la mia vita con un curriculum. Ho ballato e sognavo di nuotare, ho nuotato e sognavo di cavalcare, ho cavalcato, studiato, mi sono laureata mentre facevo la stilista e sognavo di fare la giornalista, ho collaborato con una ventina di testate nazionali, diretto una rivista, ho fatto l’esperta di quasi tutto, dal food al fashion al sex, ho viaggiato e sempre volevo essere da un’altra parte, libera di inseguire l’ultimo sogno.

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