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February 28, 2015
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February 28, 2015
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La “Leopolda sicula” per certificare il fallimento della Sicilia

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
La riunione dei renziani a Palermo

La riunione dei renziani a Palermo

Time: 9 mins read

 

Nel giorno in cui i renziani del Pd celebrano a Palermo la ‘Leopolda sicula’ – un tentativo di riproporre in Sicilia il celebre appuntamento che ha segnato l’avvio del renzismo in Italia – si ricorda che alcune categorie sociali dell’Isola sono da oggi con retribuzioni a rischio. Il fallimento della Regione siciliana è nell’aria da tempo, ma oggi comincia ad apparire più vicino.

Bisogna ricordare ai lettori in America che cosa sta succedendo in Sicilia sotto il profilo economico e finanziario. Utilizziamo la parola “ricordare” perché già il tema è noto. I nostri amici ricorderanno vari articoli pubblicati su La Voce di New York, compresa l’intervista di qualche mese fa al professore Massimo Costa – che tra l’altro è tra le firme di Sicilia-New York – con la sua premonizione sul fallimento della Sicilia. Ebbene, quanto affermato dal professore Costa si sta avverando.

A far fallire la Sicilia – che in quanto Regione autonoma dovrebbe essere autonoma come uno Stato americano, ma nei fatti non lo è – sta pensando il governo nazionale di Matteo Renzi. Basti pensare che, conti alla mano, negli ultimi due anni Roma ha tolto alla Sicilia oltre 5 miliardi di euro (a tanto ammonta il ‘buco’ di cassa della Regione siciliana grazie ai tagli romani). Il conto è presto fatto: 915 milioni di euro dal bilancio regionale del 2013; un miliardo e 150 milioni di euro dal bilancio regionale del 2014 (a cui vanno aggiunti 200 milioni di euro circa per i ‘famigerati’ 80 euro: il governo Renzi ha restituito, almeno in parte, 80 euro ai titolari redditi inferiori a mille e 500 euro mensili: ma li ha fatti pagare alle Regioni!); un miliardo e 112 milioni di euro dal bilancio regionale di quest’anno. Quindi lo scippo di un miliardo e 200 milioni di euro di fondi Pac, sigla che sta per Piano di azione e coesione, risorse che erano state riprogrammate dall’ex ministro, Fabrizio Barca, ma che il governo Renzi – con in testa il sottosegretario alla Presidenza Graziano Delrio – ha scippato alla Sicilia.

A questi fondi strappati all’Isola vanno aggiunti altri due ‘furti’: la mancata applicazione, in Sicilia, della legge sul federalismo fiscale (la perequazione fiscale e infrastrutturale in favore dei Comuni siciliani) e 600 milioni di euro all’anno sulla sanità che lo Stato trattiene dal 2009 (circa 3 miliardi di euro di soli arretrati!).

Insomma, Roma ha lasciato al verde una Regione di 5 milioni di abitanti. E a fare questo sono stati proprio i renziani del Pd che stamattina, a Palermo, si sono dati appuntamento per celebrare la ‘Leopolda sicula’. Un modo per dire: “Ci siamo anche noi”, visto che in Sicilia, all’interno del Partito democratico, i renziani sono in minoranza. Abbandonati anche dall’attuale presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, che ha capito, in verità con un po’ di ritardo, che i seguaci di Renzi – a Roma e in Sicilia – con in testa lo stesso Presidente del Consiglio, gli hanno solo teso trappole su trappole.

Lo scorso agosto Renzi ha costretto Crocetta a firmare un accordo truffaldino in base al quale la Regione siciliana rinuncia, per quattro anni, agli effetti positivi del contenzioso con lo Stato, a cominciare da una sentenza della Corte Costituzionale dell’estate dello scorso anno che ha dato ragione alla Sicilia sul fronte della cosiddetta territorializzazione delle imposte. Crocetta, ingenuamente, ha firmato questo accordo con la promessa che, in cambio, avrebbe ricevuto subito oltre 500 milioni di euro. Più altre promesse che si sono rivelate false.

Dopo aver incassato la firma di Crocetta (che peraltro ha firmato senza avvertire il Parlamento siciliano!), Renzi si è rimangiato tutto. Non ha mai erogato gli oltre 500 milioni di euro promessi. E ha trasformato l’assessore regionale all’Economia, Alessandro Baccei – un toscano che il governo nazionale ha imposto in stile mussoliniano nella giunta siciliana (cioè nel governo della Regione) – in una sorta di ‘mastino’ che sta cercando in tutti i modi di ‘addentare’ le retribuzioni dei dipendenti pubblici e dei pensionati della Regione siciliana. Insomma, l’obiettivo del governo Renzi è quello di avviare un processo di ‘grecizzazione’ della Sicilia, licenziando una parte di pubblici dipendenti e riducendo gli stipendi a chi resterà in servizio.

Ad aggravare una situazione sociale che, in Sicilia, va diventando ogni giorno sempre più esplosiva ci sono due questioni: i tagli ai lavoratori precari e i tagli alla sanità. Raccontare ai lettori americani che cosa sono i precari non è facile. Ci proviamo.

Si tratta di circa 100 mila dipendenti pubblici (prestano servizio negli uffici della Regione, nei Comuni, nelle Province oggi commissariate e in altri enti pubblici) che sono stati assunti non con regolare concorso, come prevede la Costituzione italiana, ma sulla base di segnalazioni per lo più clientelari da parte di politici, sindacalisti e zu’ Totò vari (per zu’ Totò, in Sicilia, s’intendono personaggi potenti in grado di condizionare la vita politica, sociale ed economica).

La particolarità di questi circa 100 mila precari è che i loro contratti – che vengono rinnovati ogni anno – sono stati siglati con l’avallo del governo nazionale. Tutti i precari inventati dalla Regione, dai Comuni e dalle Province oggi commissariate sono passate dal vaglio di tanti governi romani che hanno sempre detto sì a una violazione sistematica della Costituzione italiana. In molti casi, addirittura, certe categorie di precari – come gli Lsu, sigla che sta per Lavoratori socialmente utili – sono stati inventati dai governi nazionali (in questo caso dal governo Prodi, nella seconda metà degli anni ’90 del secolo passato) e poi sono stati ‘stabilizzati’ dalla Regione e dai Comuni. ‘Stabilizzati’ significa che sono stati assunti a tempo indeterminato. Il tutto senza avere mai superato un concorso, in barba alla Costituzione!

Oggi, però, il problema è rappresentato dai precari – i circa citati 100 mila o giù di lì – che vivono grazie a un contratto che la Regione e i Comuni rinnovano ogni anno. Il problema è che la Regione e i circa 390 Comuni della Sicilia sono stati ridotti alla fame dal governo nazionale. La Regione ha i soldi giusti giusti per pagare gli stipendi ai dipendenti fino al 30 aprile prossimo. I Comuni, in massima parte, non hanno i soldi per pagare i precari (sui circa già citati 100 mila precari della Sicilia, circa 24 mila fanno capo ai Comuni). Da un anno e due mesi, in buona parte, hanno fatto ricorso a onerose scoperture bancarie. Sì, avete capito benissimo: in Sicilia i Comuni si indebitano con le banche per pagare 24 mila persone. Una follia!

Cari lettori americani, non vi impressionate: in Italia – anche se la notizia viene tenuta ‘bassa’ – ci si indebita per pagare i debiti. La Regione siciliana – che come abbiamo ricordato ha un ‘buco’ nel bilancio di cassa di circa 5 miliardi di euro – un mese fa, con la ‘benedizione’ del governo Renzi, ha contratto un mutuo di quasi 2 miliardi di euro per pagare debiti e spesa corrente! Portando a circa 8 miliardi di euro il proprio indebitamento finanziario.   

Il governo nazionale questo lo sa. E infatti l’assessore Baccei – il già citato signore spedito in Sicilia da Renzi e da Delrio – vorrebbe ‘sfoltire’ i ranghi del precariato, licenziando un bel po’ di gente. Baccei vorrebbe, inoltre, ‘tosare’ i dipendenti della stessa Regione (in questo caso si parla di secca riduzione degli stipendi). E siccome la Regione siciliana non ha un proprio fondo pensione e paga i propri circa 16 mila pensionati con il proprio bilancio (un’altra follia tutta siciliana!), l’assessore vorrebbe alleggerire la Regione dal peso finanziario di tutti questi pensionati. Come? Confessiamo che non l’abbiamo capito. Forse trasferendoli all’Inps, che per motivi ‘misteriosi’ si dovrebbe accollare il pagamento di questi pensionati che, nel passaggio, perderebbero almeno il 30 per cento delle pensioni che fino ad oggi gli ha assicurato la Regione. A noi questa storia del passaggio dei pensionati regionali all’Inps sembra una bufala. In ogni caso, al di là dei ‘magheggi’ che Baccei e i suoi collaboratori stanno mettendo in campo, le pensioni dei dipendenti regionali dovrebbero essere ridotte.

L’assessore vorrebbe anche ‘massacrare’ i circa 26 mila operai stagionali che operano in quello che resta dei boschi siciliani. Diciamo quello che resta perché, negli ultimi tre-quattro anni, proprio per mancanza di fondi tagliati da Roma e per disorganizzazione, una buona parte del verde della Sicilia (che è una Regione, lo ricordiamo, con prevalenza di colline e montagne) è stato ‘inghiottito’ dagli incendi estivi. Per i forestali sono previsti tagli. E tagli anche per 600 dipendenti del Corpo forestale (che sarebbero i militari e i tecnici del settore, da non confondere con gli operai avventizi), ai quali l’assessore Baccei vorrebbe togliere dallo stipendio di ognuno di loro circa 450 euro.

Altri tagli dovrebbero essere appioppati alla sanità siciliana. Qui entriamo in un sistema para-mafioso. Dovete sapere, cari lettori americani che la sanità siciliana, in teoria, costerebbe 9 miliardi di euro all’anno. In pratica, anche se nessuno lo dice, costa un miliardo e mezzo circa in meno sia perché da sei anni tengono bloccati gli stipendi del personale medico, sia perché le Aziende sanitarie e ospedaliere si indebitano nel silenzio generale (in totale assenza di trasparenza amministrativa), sia perché i conti vengono ‘taroccati’. Di questi 7 miliardi e mezzo-8 miliardi, lo Stato – unico caso in Italia – tira fuori circa 2 miliardi. Il resto lo pagano i siciliani (soprattutto gli imprenditori con l’Irap più salata d’Italia). Diciamo caso unico in Italia perché nelle Regioni a Statuto ordinario la sanità la paga lo Stato (mentre nelle altre quattro Regioni a Statuto speciale la quota di partecipazione alla spesa sanitarie delle Regioni è di gran lunga più bassa di quella della Sicilia).

Le voci più grosse della sanità siciliana sono tre: le già citate Aziende sanitarie e ospedaliere, le forniture e la spesa farmaceutica. Dal 2008 ad oggi i tagli sono stati praticati in massima parte nelle Aziende sanitarie e, soprattutto, nelle Aziende ospedaliere. E, in parte, nelle forniture e nella spesa farmaceutica dove, però, si continua a fare la ‘cresta’. L’attuale governo Renzi, neanche a dirlo, ha programmato un ulteriore taglio delle strutture sanitarie dell’Isola.    

Questa, per grandi linee, la manovra finanziaria da messa a punto da Baccei che dovrebbe essere approvata entro aprile. Man manovra vede all’opposizione quasi tutta la Sicilia (tranne, ovviamente, i fans del governo Renzi, che nell’Isola sono pochi). Come abbiamo ricordato, lo stesso presidente Crocetta è in rotta di collisione con il suo assessore e anche con i renziani. A parte il ‘bordello’ che scoppierà a Palazzo Reale – la sede del Parlamento dell’Isola – quando la manovra verrà discussa, va detto che la stessa manovra (ammesso che venga approvata: e noi non ci crediamo) porterebbe nelle ‘casse’ della Regione sì e no 300 milioni di euro. Poco rispetto a un ‘buco’ di 5 miliardi di euro. A che serve allora ‘sta manovra? In primo luogo, per risparmiare un po’. In secondo luogo, per consentire al governo nazionale di erogare alla Regione siciliana 2 miliardi di euro. Ma, attenzione: i 2 miliardi di euro il governo Renzi non li prenderebbe dai 5 miliardi che lo stesso esecutivo ha scippato alla Sicilia: li prenderebbe dalla nuova programmazione del Piano di azione e coesione. Cioè dai fondi europei e nazionali – che sono già stati assegnati alla Sicilia – che, però, dovrebbero servire per le infrastrutture e non per pagare la spesa corrente, cioè gli stipendi!

Da questo particolare si può notare la ‘statura’ politica del governo Renzi e il suo totale disinteresse per il Sud e, in particolare, per la Sicilia. Invece di restituire alla Regione siciliana almeno una parte dei 5 miliardi di euro che, conti alla mano, ha tolto all’Isola negli ultimi due anni, il governo Renzi dovrebbe ‘autorizzare’ la Regione a utilizzare i fondi europei e, in minima parte, i fondi nazionali destinati agli investimenti (strade, strutture sanitarie, scuole, punti, porti, eccetera) per pagare le retribuzioni e i debiti! Il tutto sotto gli occhi ‘distratti’ dell’Unione europea che, a parole, dice che i fondi europei debbono ‘aggiungersi’ a quelli nazionali e regionali e debbono, soprattutto, servire per le infrastrutture, ma che, nei fatti, autorizza quella che tecnicamente si chiama “distrazione di fondi”: ovvero l’impiego di queste risorse per finalità che nulla hanno a che spartire con la finalità originaria.

Dalle ultime notizie che abbiamo sembra che tutto potrebbe precipitare, già a partire dalle prossime settimane. Con intere categorie sociali già ridotte all’osso, con una disoccupazione giovanile che supera il 70 per cento (la più alta in assoluto in Italia e in Europa), lo stesso Crocetta non se la sente di penalizzare ulteriormente la Sicilia e i siciliani. Di conseguenza la finanziaria di Baccei, quando arriverà nel Parlamento siciliano, verrà stravolta. Renzi e Delrio – che ormai considerano la Sicilia una specie di bancomat del governo nazionale – non dovrebbero ‘tollerare’ l’affronto. Morale: si dovrebbe profilare il default della Sicilia, come ha previsto circa un mese addietro il professore Costa. Questo perché, con l’approssimarsi dell’estate, senza l’arrivo dei 2 miliardi dei nuovi fondi Pac che dovrebbero servire per la spesa corrente, la Regione non sarà più in grado di pagare le retribuzioni a dipendenti pubblici e precari. Contemporaneamente, dovrebbero iniziare a fallire pure i Comuni (in realtà oltre 30 Comuni siciliani hanno già dichiarato il dissesto o il pre-dissesto). Lo scenario finanziario, insomma, è drammatico (l’indebitamento di tutti i soggetti pubblici siciliani: quindi Regione, Comuni, Province e altri enti pubblici è stato stimato in una cifra superiore a 20 miliardi di euro).

Domanda: allora perché la “Leopolda sicula” convocata oggi a Palermo? La risposta, naturalmente, è politica. Il Pd siciliano è già in grande difficoltà, perché amministra la Regione dal 2009 ed è responsabile dello sfascio attuale. Ma ancora più in difficoltà sono i renziani siciliani, che sono minoranza in un Pd siciliano in difficoltà. Da qui la ‘chiamata alle armi’ di Renzi e di Delrio ai siciliani. E’ come se stessero dicendo alla Sicilia: “E’ vero, state per fallire, ma chi verrà con noi verrà protetto politicicamente” (e non soltanto politicamente…). Questo spiega la “Leopolda sicula”, ma spiega anche il perché nei giorni scorsi frotte di ex democristiani e persino di ex An ed ex Forza Italia hanno chiesto di entrare nel Pd (sembra incredibile: cinque deputati del Parlamento siciliano ex berlusconiani ed ex fascisti stanno entrando nel Partito democratico siciliano!). Chi va alla “Leopolda” per un incarico, chi per uno ‘strapuntino’, chi – come i deputati siciliani – per essere riconfermati alle prossime elezioni. Insomma, la ‘grande politica’…          

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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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