Colpisce, o fa di tutto per colpire ancora e alla vecchia maniera, ma ormai mostra chiaramente di avere armi un pochino spuntate, anche se il piglio, l’abilità e l’acutezza politica denotano la solita lucidità e incisività.
Per la cancelliera tedesca un illustre docente di sociologia dell’Università di Monaco di Baviera ha forgiato il termine “Merkiavelli”, una fusione (o sincrasi) tra Merkel e Machiavelli (Ulrich Beck, The Power of Merkiavelli: Angela Merkel’s hesitation in the Euro Crisis, Open Democracy, 5, November 2012). Quasi a ricordare, se ce ne fosse bisogno, la sua nascita e formazione nella ex DDR, quella Deutsche Demokratische Republik che tutto era fuor che democratica, e nella quale se si voleva sopravvivere (e qualche volta restare in vita) bisognava imparare già nella culla l’arte della simulazione e della dissimulazione. Arti “machiavelliche”, com’è noto, e che Frau Merkel ha immediatamente mostrato, da quando è apparsa sulla scena politica, di possedere e di saper mettere in pratica molto bene.
È quindi d’obbligo il sospetto (peraltro ampiamente autorizzato da suoi comportamenti politici) che la sua apertura verso flessibilità e sviluppo (pur senza rinunciare, è ovvio, al rigore e alla stabilità) sia da mettere sul conto non tanto di un ripensamento radicale e di un’inversione di rotta, quanto piuttosto di un interesse concreto, di un puro e pragmatico calcolo politico, o di un banale conteggio di voti. Quelli utili per far eleggere il suo candidato alla presidenza della Commissione europea, l’ex premier lussemburghese Jean-Claude Junker, un noto falco sostenitore dell’austerity economica, del patto di stabilità (e crescita) del 1997 e del “fiscal compact” del 2011, dei conti in regola prima di tutto e alla faccia di tutto e tutti, il quale però non ce la farà mai ad essere eletto senza i voti del vero vincitore delle recenti elezioni europee, Matteo Renzi e il “suo” PD.
E allora ecco che lo stesso Junker (evidentemente la Merkel ha fatto scuola e sa essere convincente) dà un po’ di belletto alle proprie idee, spunta un poco i propri artigli, o meglio, lascia intendere di volerlo fare, ma non lo dice chiaramente. Siamo alle solite: simulazione e dissimulazione. Ma quanto può durare? Perché prima o poi dovrà dire chiaramente come intende operare. Cerca ovviamente di rimandare questa scelta di campo a dopo essere stato eletto, ma ormai gli attacchi a Renzi da parte dei falchi tedeschi non gli permettono più una tattica tanto puerile eppure funzionale, visto che stava per riuscirgli.
E infatti c’è già chi, da posizioni autorevoli all’interno del PD italiano (ripeto un pacchetto di voti di cui non può fare a meno),gli ha chiesto formalmente di scoprire le carte, innescando una reazione a catena all’interno della sinistra.
Ma è vero che è stato sottoscritto un documento dalla Merkel e da Renzi, su crescita e sviluppo oltre che sugli impegni economici da osservare? Oppure è bastata la ripetutamente ribadita stretta di mano?
Di certo Renzi mostra sicurezza, in questi giorni decisivi per il suo futuro politico e per la sua linea politica; giorni nei quali si augura di poter capitalizzare in Italia gli indubbi successi ottenuti in Europa in occasione della sua investitura a Strasburgo all’avvio del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea.
E già, perché nei suoi rapporti bilaterali con la cancelliera tedesca e in quelli con gli altri capi di governo europei, Renzi ha mostrato chiaramente di saperci fare, si è guadagnato sul campo il ruolo (e non solo l’immagine) di leader concreto, sicuro e affidabile. Da qui gli attacchi immediati e scomposti del capogruppo del PPE, il tedesco Manfred Weber, subito restituiti al mittente dal capo del governo italiano con puntuali argomentazioni ben altrimenti efficaci di quelle scontate e stantie del tedesco, per la verità scarsamente germanico quanto a stile e comportamento, vista la sua assenza in aula al momento della replica di chi aveva appena attaccato.
Ma in rapida sequenza sono arrivati gli attacchi ironici e personali del capo della Bundesbank, Jens Weidmann (Renzi pretende di “dirci quello che dobbiamo fare”), il quale non vuole smetterla di comportarsi da uomo politico, quale non è, invece che da banchiere. Come gli è stato subito ricordato in maniera puntuale da Renzi, che è tornato a ripetere che l’Italia “non prende lezioni da nessuno” e ha precisato che “l’Europa non è dei banchieri tedeschi ma dei cittadini europei”. E ha aggiunto, per buon peso, che se la Bundesbank pensa di far paura all’Italia e al suo governo ha sbagliato i suoi calcoli e gli obiettivi dei suoi attacchi, e in ogni caso il suo capo non ha alcun titolo per intromettersi nella politica italiana.
Merkiavelli ha capito al volo, e ha immediatamente fatto circolare, attraverso la sua portavoce, una presa di distanza da parte della politica e del governo tedeschi rispetto a posizioni tutte interne alla Bundesbank, che non è un’istituzione politica e che non detta l’agenda politica del suo governo.
Molto bene, cara Merkiavelli, come la mettiamo però con il suo ministro delle finanze, il vecchio ultrafalco Wolfgang Schäuble, che in altri ambienti, ma in totale sintonia e accordo con Weidmann (e Weber) si è subito messo a suonare il solito disco rotto che inneggia all’austerità e alla stabilità economica? Ovviamente contro Renzi e l’Italia.
Vedo che si è guardata bene dal prendere le distanze anche da lui; e come poteva farlo, del resto? Chiedendo le sue dimissioni? Vedo che anche in Germania la machiavellica (italica) arte di governo impera parimenti e senza mezze misure.
E noi dovremmo credere a questi Suoi slalom tra i guai che Le procurano i suoi autorevolissimi compagni di strada e di governo? A questi sofistici distinguo? Alla ribadita conferma del patto siglato con Renzi con una stretta di mano, di fatto affossato dai Suoi responsabili economici a livello governativo e bancario?
Mi par di capire che la sua road map che doveva portare all’elezione di Junker (a risultato ottenuto poi si vedrà!) incomincia a mostrare crepe consistenti.
Ma la realtà è molto più complessa e articolata. Lei lo sa bene.
Quando si guarda allo specchio compiaciuta, non le viene in mente quanto la Germania ha guadagnato dall’Europa e dalle lacrime e sangue che ha imposto a Stati “minori” come il Portogallo e la Grecia in particolare? Ha forse dimenticato che l’unificazione della sua ex DDR con la Repubblica federale di Germania ce l’avete fatta pagare a tutti noi “europei” e “non tedeschi”, di tasca nostra?
Di certo però non Le sfugge che la Germania è la prima ad infrangere uno dei più importanti patti economici europei, sforando sistematicamente il “six pack”, vale a dire il limite del surplus commerciale fissato nel 2010 al 6% del pil; lo fa in particolare sui mercati orientali (ma, di riflesso, anche in casa nostra), e, ancora una volta, ne sta facendo pagare le conseguenze economiche, politiche e sociali a tutti noi. E lo sta facendo impunemente (con la tipica arroganza dei padroni e dei potenti, quella che anima il capo della Bundesbank, per fare un esempio a caso) da ben 5 anni; per di più, con una violazione e uno sforamento spudoratamente e impunemente in crescita negli ultimi anni, cioè con autentico atteggiamento eslege o di chi che se ne frega dei patti sottoscritti (che impone invece con rigore agli altri), come leggo nel quotidiano “Repubblica” del 5 luglio.
Da quale pulpito ci arrivano le prediche!
Per assurdo, il Suo migliore alleato è ora proprio Renzi, anche perché è costretto a mostrare una fede adamantina nei Suoi confronti, per potersi difendere dai Merkiavelli che si ritrova all’interno del proprio partito. Bastano solo tre nomi per tutti: Pippo Civati, Vannino Chiti e Pier Luigi Bersani,che peraltro si sono già affrettati ad esprimersi quasi in sintonia (in maniera eloquente e neanche troppo sibillina) contro la proposta di Renzi di riforma del senato e del sistema elettorale. Se non fossero politici di lungo corso, verrebbe da chiedere loro se hanno la patente per l’esercizio della politica. Ma ce l’hanno eccome, così come hanno progetti politici ben chiari, non proprio in sintonia, a mio personale parere, con gli interessi e le esigenze del Paese.
Anch’io penso che le due proposte di riforma fanno acqua da molte parti, ma reputo nel contempo che siano di gran lunga migliori rispetto a quanto vanno a modificare (o vorrebbero modificare), e soprattutto non ho dubbi sul fatto che, arrivati a questo punto, e per il bene del Paese che altrimenti rischierebbe molto (e non solo per la perdita di credibilità sui mercati finanziari, o vogliamo tornare allo spread sopra quota 500?), non possano che essere approvate. E credo che chi cerca di creare scompiglio, di raggruppare un pacchetto di voti contrari sufficienti per affossarle, si muova per interessi personali (politici ovviamente) e per far cadere il governo.
In ogni caso, il tavolo da gioco europeo e quello italiano sono stati abilmente unificati da Renzi, o messi in stretta sintonia.
Machiavelli, quello storico e non quello usato in maniera artefatta e strumentale per dare voti ai politici, il teorico della virtù politica, per intenderci, lo avrebbe sicuramente apprezzato e magari avrebbe addirittura assunto Renzi come modello in qualche suo scritto. Del resto questi ha conquistato il proprio “principato” senza armi proprie e per “fortuna” (incapacità ed errori dei suoi avversari), ribaltando con “virtù” (capacità politica) le svantaggiate posizioni di partenza. Proprio come aveva fatto il Valentino.
Non mi scambiate però per un fan del primo ministro, per un renziano acritico. Credo che lo attesti fuor di dubbio, rendendo così superflue ulteriori precisazioni, il mio primo articolo pubblicato sulla ”Voce di New York” nel 18 aprile scorso, decisamente critico nei suoi confronti come già suggerisce il titolo:“Matteo Renzi rottamatore della cultura italiana nel mondo?”.
Eppure già me lo vedo tutto adombrato, il povero Niccolò, perché l’ex sindaco di Firenze, suo concittadino, e ora “capo” dell’Europa, non se lo fila proprio (pensa sicuramente che il sulfureo segretario fiorentino non gioverebbe alla propria immagine), e continua invece a preferirgli pervicacemente Leonardo, che cita in maniera compulsiva: un genio sì e fuor di ogni dubbio, ma di certo non un maestro di teoria e di pratica politica.
Però Niccolò non te la devi prendere, è in parte anche colpa tua; col tuo caratteraccio, oltre che con l’immagine e le maschere che ti hanno appiccicato addosso nel corso dei secoli, ti sei fatto una fama così trista e controversa che proprio non puoi entrare nel Pantheon di un politico per bene, almeno non in Italia, nonostante gli sforzi di chi pretende che il tuo sorriso faccia il paio con un encomiabile spirito civico e con una robusta e vitale religione civile.
Ma qui stiamo parlando di cose serie; di riforme istituzionali, elettorali, sociali e burocratiche, e se Renzi esce vivo (politicamente) dalle dure prove dei prossimi giorni rischiamo di ritrovarci in un Paese che non sarebbe dispiaciuto neanche a te.
Enzo Baldini, Professore ordinario presso la ex Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino (ora Dipartimento di Culture, Politica e Società), insegna "Storia del pensiero politico" e "Laboratorio Internet per la ricerca storica". Ha lavorato su internet fin dagli albori della rete, è stato tra i creatori della Biblioteca italiana telematica e poi del consorzio interuniversitario ICoN-Italian culture on the Net del quale continua ad occuparsi