Negli anni Sessanta negli Stati Uniti oltre alla protesta dei Civil Rights c’è stata anche quella femminista. La posizione delle donne è stata definita dalla femminista Betty Friedan “un problema senza un nome”, un problema mistico, occulto. Da tempo si parla con insistenza di “una paga uguale per un lavoro uguale”. L’Equal Right Amendment (ERA) è stato inserito per la prima volta nella Costituzione americana nel 1921 per garantire gli stessi diritti a tutti gli americani a prescindere dal loro sesso. Stiamo per raggiungere i cento anni dell’emendamento ma la costituzione non ancora garantisce alle donne gli stessi diritti garantiti agli uomini. “We are all equal!”, siamo tutti d’accordo ma nonostante decenni di battaglie femministe e vittorie ideologiche, la realtà ci mostra che il divario tra uomini e donne ancora esiste.
Negli ultimi decenni c’è stata una rivoluzione nel mondo del lavoro con un incremento di donne lavoratrici. Purtroppo, l’orientamento delle donne verso le attività lavorative, specie nel passato, si è limitato verso lavori tradizionali come cassiere, segretarie, infermiere e così via: lavori con salari bassi. La nuova generazione al contrario si sta orientando verso lavori professionali. La donna moderna non si limita ad essere la segretaria di un avvocato o l’infermiera di un dottore: vuole, invece, essere l’avvocato, il dottore. Purtroppo anche queste donne professioniste paragonate agli uomini sono vittime di redditi più bassi; le donne in tutti i lavori professionali e non sono ancora lontane da “una paga uguale per lo stesso lavoro”. Pare che per ogni dollaro che gli uomini guadagnano le donne ricevano approssimativamente solo 80, 85 centesimi. Certo, è stato fatto un piccolo passo in avanti riguardo al passato quando per ogni dollaro guadagnato dagli uomini le donne ricevevano 55, 60 centesimi. Purtroppo una paga uguale per lo stesso lavoro non si è ancora concretizzata.
Ancora oggi nel mercato del lavoro esiste una sottile forma di discriminazione verso le donne che impedisce loro di fare carriera a secondo delle loro capacità e della loro professionalità. Oggi negli Stati Uniti tante donne separate o divorziate sono, spesso, le sole responsabili per la crescita dei loro figli nonostante esista una legge che punisce i padri che non contribuiscono al loro sostegno. Questa responsabilità le costringe a ripiegare su lavori part-time con un reddito basso e pochi benefici. Spesso rinunciano anche ai lavori part-time, preferiscono starsene a casa perché i day care center americani costano più del loro guadagno. Tante di loro vivono sulla soglia di povertà.
A partire dagli anni Novanta il tasso di povertà tra uomini e donne si è leggermente ristretto, ma purtroppo ancora esiste. Le donne americane che vivono in uno stato di povertà assoluta, di povertà relativa o che sono sulla soglia di povertà sono più degli uomini. Attualmente secondo dati della American Community Surveys le donne single con bambini a carico rappresentano il 35% delle famiglie americane che vivono in povertà. Le femministe giustamente parlano di “femminizzazione della povertà”, un grave problema sociale a cui i politici non stanno prestando abbastanza attenzione.
Già nel diciannovesimo secolo Engels ha enfatizzato la relazione inversa tra reddito e la sua percentuale spesa per sopravvivere. Più basso è il reddito più alto è il rischio di spendere meno soldi per la sopravvivenza. Secondo Engels le famiglie povere sono quelle il cui reddito non è sufficiente per coprire le spese basilari: cibo, vestiti, medicine, affitto ecc. Il Governo federale americano soltanto negli anni Sessanta, sotto la presidenza di Johnson e della sua “War on Poverty”, ha iniziato a misurare il livello di povertà prendendo in considerazione, come Engels, la relazione tra reddito e spese per vivere logicamente si limita ai consumi essenziali. Chi vive al di sotto del reddito di povertà ha diritto a dei programmi per i poveri. Tanti studi hanno documentato che l’uguaglianza economica tra uomini e donne non è stata ancora raggiunta. Perché tutto questo? Quali sono le possibili cause?
Pare che nel mercato del lavoro le donne venaono considerate dalle aziende come lavoratrici meno affidabili, si dimettono facilmente, sono soggette alla gravidanza, a crescere i figli e a interrompere l’attività lavorativa. Si assume che prima o poi si sposino, partoriscano dei figli e dedichino le loro energie più ai doveri familiari che al lavoro. La loro responsabilità per l’andamento della casa le costringe ad interrompere l’attività lavorativa periodicamente o ad optare per un lavoro part-time. Purtroppo l’interruzione lavorativa non dà loro le stesse opportunità offerte agli uomini di crearsi una carriera. Negli Stati Uniti c’è una carenza di servizi sociali efficaci che allievino i loro doveri di casa, i day care centers sono privati e molto costosi, i “pre-K” pubblici di NYC sono gratis per bambini/e di quattro anni, al di sotto di quella età bisogna ripiegare su quelli privati che costono abbastanza.
Le poche donne manager non sono sposate e se sposate spesso rinunciano alla maternità o la pospongono per concentrarsi sulla loro carriera manageriale. Il progresso raggiunto da alcune donne professioniste è contrapposto al declino di tante altre, creando una polarizzazione, con una maggioranza segregata in lavori non ben pagati nel mercato del lavoro secondario e una minoranza ben inserita in lavori professionali ben pagati nel mercato del lavoro primario, ma ancora sottopagate rispetto agli uomini che svolgono la stessa attività.
Il divario tra uomini e donne grazie anche a leggi antidiscriminatorie si è leggermente ridotto sia nel mercato del lavoro primario che in quello secondario, ma “l’Equal Right Amendement” non è stato ancora raggiunto. In linea di massima negli ultimi decenni ci sono stati dei miglioramenti, le donne hanno completato studi universitari con un tasso del 5% in più degli uomini. Grazie ai loro titoli universitari e di specializzazioni stanno emergendo leggermente in posizioni di rilievo.
La rivoluzione femminista emersa negli anni Sessanta è purtroppo ancora incompiuta, le vittorie sono state poche e spesso solo ideologiche. I managers, di solito uomini, dedicano tanta attenzione all’aspetto economico dell’azienda accantonando quello psicologico. Credo che in un’azienda dove il 50% o il 60% della forza lavoro sia femminile un buon manager potrebbe aumentare la produttività dell’azienda aprendo un day care center gratis per le madri lavoratrici. Il day care center dentro l’azienda da alle madri lavoratrici più tranquillità, durante la pausa del pranzo possono riabbracciare e coccolare i propri figli. Tale tranquillità le rende indubbiamente più produttive. Con l’aumento della produttività l’azienda recupera i soldi spesi per il day care center; prestando un po’ di attenzione all’aspetto piscologico l’azienda soddisfa così anche l’obbiettivo economico.
Il problema femminista, parafrasando Betty Friedan, nonostante decenni di rivoluzione femminista e piccole vittorie, rimane ancora un “problema senza un nome”, un problema mistico, occulto. Pare che le aziende non siano ancora disposte a investire in loro e per loro aprendo day care center gratis o a un prezzo ridotto per le lavoratrici madri, e spesso ostacolano anche la loro carriera. Pare che anche i politici non siano ancora riusciti a varare delle leggi mirate a facilitare il loro ruolo di madri e mogli nell’odierna società. Da tempo si parla di ratificare l’Equal Right Amendment ma per farlo occorre che tre quarti degli Stati lo includano nella loro Costituzione: nel 1982, solo 35 Stati lo avevano incluso. Chissa se le nuove femministe riusciranno finalmente a farlo ratificare? O si continuerà a raccogliere ancora solo vittorie ideologiche?