Venerdì 11 marzo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato la sua prima risoluzione (la 2272) contro il crescente fenomeno dei crimini sessuali commessi dai peacekeepers in alcune delle aree più a rischio del mondo. La risoluzione avalla la decisione del Segretario Generale Ban Ki-moon di rimpatriare interi contingenti di caschi blu “laddove vi siano prove attendibili di sfruttamento e abuso sessuale sistemico o diffuso”. In particolare, il documento, presentato dagli Stati Uniti e adottato con quattordici voti a favore e l’astensione dell’Egitto, è la risposta dell’ONU a uno scandalo recente, avvenuto nella Repubblica Centrafricana e nella Repubblica Democratica del Congo, in merito al quale il Segretario Generale ha espresso orrore e vergogna.

Questo provvedimento era già stato annunciato insieme ad altre misure risolutive nel report presentato giovedì 10 marzo dallo stesso Ban Ki-moon, in cui sono state indicate le 69 accuse del 2015 e dove sono apparsi per la prima volta i nomi dei paesi d’origine dei presunti responsabili. Dall’inizio dell’anno, il Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace ha dichiarato 25 nuovi casi. Ban Ki-moon si è scusato per il crescente scandalo degli abusi sessuali nelle missioni di pace che hanno offuscato la reputazione delle Nazioni Unite, definendosi umiliato, addolorato e pieno di vergogna.
La relazione presentata al Consiglio, segue il report pubblicato nel dicembre 2015 da una giuria indipendente, che ha esaminato la risposta delle Nazioni Unite alle accuse di abusi su minori da parte dei soldati ̶ non sotto il comando delle Nazioni Unite ̶ inviati al CAR.

Il Segretario Generale ha quindi studiato le proposte e i consigli della giuria, elaborando una serie di provvedimenti da attuare, tra cui la nomina di rappresentanti speciali come Jane Holl Lute, che coordinerà la reazione delle Nazioni Unite alle accuse di sfruttamento e abuso sessuale. “La nomina di esperti può essere utile, ma ho bisogno di tutti gli Stati membri, del Segretariato e delle persone che lavorano nel settore. Credo che tutte queste parti debbano collaborare”. Infine, ha difeso la sua decisione di name and shame i paesi d’origine dei presunti responsabili “per migliorare lo svolgimento delle loro attività”. Egli ha anche promesso di accelerare le indagini, tre delle quali risalenti al 2013, e di diffondere le informazioni sui recenti casi di abuso e sfruttamento sessuale su un nuovo sito web ONU per coprire tutte le accuse in sospeso. Come lui stesso ha affermato, “la discussione su questo tema solleverà la consapevolezza del problema e la necessità di agire immediatamente, sulla base del principio della responsabilità e della trasparenza”.
Nella bozza finale della risoluzione, inoltre, è stata richiesta la sostituzione di quei contingenti le cui accuse non sono oggetto di indagine e i cui autori non sono ritenuti responsabili. “Nonostante tutto, dobbiamo onorare l’integrità e il duro lavoro di decine di migliaia di peacekeepers e agenti di polizia che stanno lavorando in circostanze molto difficili e spesso pericolose. Abbiamo perso un sacco di forze di pace e dobbiamo onorare la loro reputazione; il loro onore non deve essere offuscato da altre persone”, ha dichiarato Ban Ki-moon. Tra le altre misure da applicare, accolte favorevolmente dagli Stati membri, la proposta del Segretario Generale di trattenere gli stipendi di coloro che hanno commesso violenze, per poi trasferirli al fondo fiduciario. Una volta segnalate le accuse, saranno presi provvedimenti provvisori, come la sospensione dalle missioni delle persone coinvolte nei reati.
Durante il suo discorso, l’ambasciatrice americana Samantha Power ha spinto le Nazioni Unite ad andare oltre e a spiegare il motivo per cui numerosi casi non sono stati sottoposti a indagini. L’ambasciatrice ha anche criticato il Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace per non aver rimpatriato rapidamente un contingente congolese che aveva ricevuto nel 2015 sette accuse di crimini sessuali, invece di aspettare fino allo scorso febbraio per “ragioni operative”. Nei primi due mesi di quest’anno, otto nuove accuse sono state mosse contro la stessa unità, in cui sarebbero coinvolti ben sette bambini. “Come possiamo permettere tutti noi che questo accada?”, ha chiesto ai membri del Consiglio, alzando la voce per l’emozione. “L’esperienza dovrebbe indurci a riflettere e a chiederci: che cosa sarebbe successo se quei soldati fossero stati mandati a casa prima? A quanti bambini avrebbero potuto risparmiare la sofferenza di violenze indicibili che nessun bambino dovrebbe mai subire, e che essi dovranno portare con sé per il resto della loro vita?”.
Tutti i quindici membri del Consiglio hanno sottolineato che i responsabili devono essere puniti, ma per l’ambasciatore del Senegal Fode Seck, il Consiglio di Sicurezza “deve garantire che gli individui non siano vittime di una punizione collettiva”. Secondo l’Ambasciatore dell’Egitto Amr Abdellatif Aboulatta, la questione dovrebbe essere affrontata dall’Assemblea Generale, in cui sono rappresentate tutte le nazioni, ma le cui risoluzioni non sono giuridicamente vincolanti, a differenza del Consiglio. Egli ha inoltre sostenuto che la questione non deve essere usata “come strumento per attaccare i paesi che forniscono truppe” o minare la loro reputazione e i loro significativi sacrifici. Alla fine l’Egitto è stato l’unico dei Quindici a non votare la risoluzione astenendosi.
Il rappresentante permanente cinese Liu Jieyi, invece, ha affermato che la Cina sostiene la politica della “tolleranza zero” e appoggia una risposta congiunta da parte della comunità internazionale. Il vice ambasciatore russo Petr Iliichev ritiene che disciplinare i caschi blu non faccia parte del mandato del Consiglio di Sicurezza per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, e sarebbe “sbagliato mettere il Consiglio contro l’Assemblea Generale”. Egli ha sottolineato che i paesi che forniscono contingenti devono svolgere il ruolo chiave nel ridurre ed eliminare “queste statistiche vergognose”.