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June 13, 2014
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Mondiali: la passione per il calcio, malattia infantile che ti dà la carica

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Foto: Unicef

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Time: 5 mins read

 

È iniziato il Mondiale del Brasile e una buona parte del mondo – non ancora negli USA – come in preda ad una ipnosi globale si ferma per guardare le partite e, sospettiamo, smette anche di pensare ai problemi che assillano l'umanità.  La prima partita tra Brasile e Croazia, dopo la cerimonia d'inizio con la super Shakira, ha prodotto spettacolo: i croati come ci si aspettava sono stati un osso durissimo e per i carioca non sarebbero bastati Neymar al top e l'imprendibile Oscar, senza quell'aiuto del pessimo arbitro giapponese Nishimura, che ha regalato alla Selecao un rigore inesistente.

Chi scrive ha visto questa partita inaugurale del Mondiale da un osservatorio "privilegiato", il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Da giorni tra giornalisti, diplomatici e funzionari si sentiva salire una eccitazione quasi febbrile. Ieri nella enorme UN Lounge, da poco restaurata, erano stati montati due grandi televisori. Accanto, donate dai paesi partecipanti, in mostra le maglie originali delle 32 nazionali di calcio partecipanti. La mattina il Consiglio di Sicurezza aveva avuto importanti riunioni sulla situazione in Iraq (i ribelli islamisti dopo aver conquistato Mosul si dirigono verso Baghdad?) e Ucraina. Quando il presidente di turno del CdS, il russo Vitaly Churkin, si è presentato davanti al microfono per rispondere ai giornalisti, appariva come sempre disponibile a concedere a tutti la possibilità di porre domande  (al contrario della collega americana Samantha Power che dopo un paio di domande in genere si dilegua). Dopo una bordata di domande sull'Iraq, i corrispondenti internazionali erano come in trance: avevano già la testa alla partita? Quando il russo Churkin arrivava ad un "please, some questions on the situation in Ukraine, please", e queste giungevano col contagocce, ecco che prima che l'ambasciatore russo andasse via, è arrivata la nostra: "Ambasciatore, non è preoccupato che il Mondiale brasiliano che inizia oggi distrarrà l'opinione pubblica mondiale dalle crisi più gravi? Che qualcuno potrebbe approfittare della disattenzione generale anche dei lavori del Consiglio di Sicurezza?"  

Churkin ha risposto (min. 18:51): "No, non mi preoccupo, noi siamo qui e non ci distraiamo, resteremo a lavorare. Ma ci sarò anch'io tra poco nella sala accanto a vedere la partita".

Spiccava Chrukin nella folla di diplomatici di tutto il mondo ammassati per Brasile-Croazia. Vediamo arrivare anche l'inglese Mark Lyall Grant che con il collega russo da mesi per la Siria e l'Ucraina ha scintillanti duelli nel CdS, ma sorridente si scambia con Churkin battute sulla partita. Non resistiamo, ci avviciniamo all'ambasciatore inglese e gli chiediamo un pronostico sulla partita di sabato tra l'Inghilterra e L'Italia: "Zero a zero". Zero a zero? Ma come? E lui: "Yes, it twill be a typical Italian score". Un risultato tipicamente italiano…. Insistiamo: ambasciatore Lyall Grant, questo è un risultato che temete o in cui sperate? "Ci spero, eccome. Zero a zero va benissimo". Vedo una diplomatica-tifosa con addosso la maglia inglese con la scritta "Lampard" e chiedo conferma: il pronostico per sabato? Risposta incredibile: "Finisce zero a zero e ci spero proprio".

Diplomat Churkin partita

I diplomatici dell’ONU guardano la partita Brasile-Croazia: al centro, con la camicia bianca e i capelli bianchi l’ambasciatore russo Vitaly Churkin

diplomatici Onu

Alla fine del primo tempo, con Brasile e Croazia sull'1-1, e gli ambasciatori brasiliano e croato che si mostrano ai fotografi mentre discutono della partita, il russo Churkin si alza e non tornerà per il secondo tempo (troppo lavoro al Cds?) ma riusciamo a bloccarlo per chiedergli un pronostico sul secondo tempo: "La Croazia gioca benissimo, anche perché i suoi uomini migliori giocano nel campionato russo. Ma vincerà il Brasile, tre a uno". Ecco perché non è tornato per il secondo tempo, Churkin sapeva già come sarebbe andata a finire.

Cari lettori, come avete capito,  anche a chi vi scrive queste righe la febbre del Mundial è salita. Dovremmo sentirci in colpa? Tre giorni fa, quando all'ONU annunciavano che Ban Ki-Moon avrebbe partecipato alla cerimonia inaugurale accanto alla presidente brasiliana Dilma Rousseff, avevamo fatto i giornalisti: cosa ne pensa il segretario generale delle proteste in Brasile, cosa pensa dei troppi soldi spesi dal governo brasiliano per il Mondiale, che invece ad andare in programmi per lo sviluppo, poi sono stati aggiunti agli sprechi per gli stadi etc? Il portavoce ONU aveva un certo imbarazzo nel ribadire che lo sport unisce e bla bla, e poi ha chiuso ricordando che l'ONU non commenta come uno stato decide di spendere i suoi fondi. Continuano ad arrivare notizie che riferiscono del pugno di ferro usato dalla polizia brasiliana contro chi protesta il Mondiale, e ieri anche giornalisti della Cnn sono finiti in ospedale mentre raccontavano gli scontri. Il CPJ (Committe to Protect Journalists) da giorni ci manda email che lanciano l'allarme contro la politica repressiva del governo brasiliano sulla libertà di protesta e di informare. Eppure ieri, insieme agli ambasciatori  Churkin e Grant (l'italiano Cardi non l'ho visto, probabilmente impegnato in una cerimonia  dell'ONU per il Population Award in cui veniva premiato il valoroso prete missionario italiano Aldo Marchesini), c'eravamo anche noi, ipnotizzati come tutti davanti alle maglie verde oro e quelle a scacchi bianco rosse. Perché?

La "malattia" dei mondiali si prende da piccoli. Il contagio deve arrivare nei primi dieci anni di vita altrimenti le partite le vedrai pure, ma tanto per stare in compagnia. Invece se la passione per "the beautiful game" ti colpisce in giovanissima età, non ti lascerà per tutta la vita. 

A milioni di italiani nati prima del 1978,  sarà facile rispondere alla domanda: dove eri quando Marco Tardelli segnò il secondo gol alla Germania nella finale del 1982 a Madrid? Allora?

Nel mio caso, la febbre Mondiale mi contagiò dodici anni prima, quando avevo solo sei anni. Il destino volle che vedessi in TV, per la prima volta in vita mia, una partita di Coppa del Mondo. Era una partita speciale. Il destino volle che vedessi, sulle ginocchia del nonno Luigi, Italia-Germania 4-3, ancora oggi la partita considerata la più bella del mondo. "Facchetti, Boninsegna, Boninsegna, Boninsegna cross, Riveraaaa, Goooool Riveraaaa!!! 4-3". Era il sesto minuto del secondo tempo supplementare. Il ricordo è indelebile: fu la mia prima partita in TV, vista nel 1970, a sei anni, rimanendo sveglio fino a tardi, grazie al nonno che non cedette e impedì alla nonna di portarmi a letto. Ecco, io la "febbre incurabile" che torna ogni quattro anni la presi a livelli da ricovero. E voi? 

In questo spazio che chiamiamo La VOCE sul Mondiale, vogliamo condividere con i nostri lettori il racconto del mondiale brasiliano. È uno spazio aperto, potete scriverci a moc.ynecovalobfsctd-6073f4@enoizader (mettete nel subject dell'email "Voce sul Mondiale") e cercheremo di raccogliere impressioni, pensieri, critiche e speranze delle lettrici-tifose e lettori-tifosi. Perché anche se è vero che il mondo non si ferma e che tante crisi e sofferenze andranno avanti anche quando giocheranno gli Azzurri, vogliamo ostinarci a credere che se a milioni di bambini sparsi nel mondo dovesse riuscire di gioire per un gol come quello di Gianni Rivera, la loro passione per la vita avrà una carica in più per affrontarla in qualsiasi circostanza saranno.

serafina
P.S. Saranno tanti i posti dove vedere la partita degli Azzurri a New York. La VOCE sarà da Serafina, al Meatpacking district, con gli amici di Made in Italy NYC, ci vediamo lì.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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