Roma ha un nuovo sindaco. Si chiama Ignazio Marino. Ha battuto, stracciato l’ormai ex sindaco Gianni Alemanno. Ha preso quasi il doppio dei voti sull'avversario, il 63,93%, mentre il sindaco uscente si è fermato al 36,07%. Ma a votare per il ballottaggio ci sono andati meno della metà dei romani aventi diritto.
Marino non è romano. E’ nato a Genova nel 1955, da padre siciliano, madre svizzera. E’ l’ennesimo non-romano, quindi, che conquista il Campidoglio; un altro, insomma, che l’aria di Roma ha cominciato a respirarla solo da grandicello. Ma non c’è nulla di male in questo, per carità. Roma attraverso i secoli è stata molto amata non solo da tedeschi e inglesi, ma “anche” da milanesi, genovesi, bolognesi, veneti, friulani; dai cosiddetti Romanisti (nulla a che vedere coi tifosi della Roma calcio), forse tanto “romani” quanto Trilussa, Aldo Fabrizi, Petrolini, per il loro amore verso Roma, per il modo in cui si facevano assimilare dalla “romanità” dei loro tempi, che era gioiosa, distensiva, genuina. Per la riconoscenza che nutrivano nei confronti della città che ne valorizzava le qualità, il talento, la creatività, insomma.
Ignazio Marino vive e lavora in una Roma che certo più non è quella di celebri, significativi film quali “Vacanze romane”, “Peccato che sia una canaglia, “Le ragazze di Piazza di Spagna”, “I soliti ignoti”. La Roma d’oggigiorno è un’”altra” città. In quanto a questo, lo è da perlomeno una trentina d’anni, ma in tempi recenti il quadro ha assunto tinte fosche, presenta un qualcosa di “caravaggesco”, senza, tuttavia, l’eleganza, senza la “raffinata” selvaticità di Caravaggio. La Roma dei tempi nostri ti sbatte di fronte a quanto di più assurdo, disordinato, collerico, si possa manifestare in una città, in un Paese, in una società. E’ il luogo della illogicità eretta a sistema. E’ un intricatissimo crogiuolo di interessi. Un gigantesco agglomerato passato attraverso un orripilante processo di elefantiasi, col beneplacito di tutti, nessuno escluso. Col beneplacito di democristiani, comunisti, socialisti, missini, post-missini, berlusconiani.
Roma è una città data in pasto da oltre vent’anni a una piccola borghesia (di destra e di sinistra!) la quale non pensa che a se stessa, professa “amore” per Roma, ma se poi (per fare un solo esempio) vi recate all’Augusteo, cioè al Mausoleo d’Augusto Imperatore, nel cuore della città, a due passi dal Tevere; v’accorgerete che qui “casca l’asino”: il luogo che meriterebbe una cura quotidiana, esperta, amorevole è stato ridotto – si è lasciato che fosse ridotto – a un ricettacolo che procura il voltastomaco.
Ma Ignazio Marino, del Partito Democratico, non è “il politico di carriera”. E’ un medico chirurgo. E’ un uomo che alla Scienza ha aperto nuove frontiere. E’ un “asso” dei trapianti. Un competente. Uno che si è fatto valere col bisturi anche in America.
Siamo perciò ansiosi di vederlo all’opera. Ora non c’è più bisogno di promesse e proclami: ora servono i fatti. Roma ha un bisogno disperato di rigore, ordine, civismo. Ma Ignazio Marino (i nostri polli li conosciamo…) dovrà fatalmente circondarsi di pigri mentali, venditori di fumo, temporeggiatori (tutti quanti profumatamente pagati), campioni delle sottilizzazioni, amanti delle comodità, dei privilegi; felici di ricevere biglietti-omaggio per le partite della Roma o della Lazio…
Basta! Quanto ancora dovrà durare lo stupro di Roma? Con l’avallo di tizi molto ben remunerati?
Marino, medico chirurgo prestato alla politica: vediamo di che pasta sei fatto, Roma aspetta e spera.