Come riesce solo ai più bravi fra loro, Beppe Grillo con una sola frase è riuscito ad esprimere tre verità (assumiamo la parola nella sua accezione più disimpegnata e, perciò, meno falsa). Stefano Rodotà è “un ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi a cui auguriamo di rifondare la sinistra”. L’innesco era stata un’intervista del Professore al Corriere della Sera, in cui, dopo il deludente risultato delle elezioni amministrative, si criticava Grillo per eccesso autocratico e perché il movimento non si apre al territorio e al “mondo reale”, andando “oltre” il web (nostra sintesi).
La prima è una verità-confessione: Beppe Grillo è un comico. Agli altri dovrebbe essere noto, sebbene repetita iuvant; ma questa volta il Nostro ha dato l’impressione di volerlo rivendicare a se stesso, quasi a volersi liberare da un ruolo, il “politico”, che non gli è proprio e in cui si è accorto di essersi stretto troppo. Lo “sbrinato di fresco” è locuzione pungente e che strappa un sorriso fin troppo facilmente. Ma è anche un annuncio risolutivo. Rivendicando la sua comicità, Grillo si libera da ogni forma di coerenza, di continuità, di “serietà”. Il Professor Rodotà è stato appena candidato dal Movimento alla massima carica dello Stato repubblicano? Non importa, era una battuta. Liquidandolo come un “ottuagenario miracolato dalla rete” antepone l’ebbrezza dell’attimo, la folgorazione della parola in sé, il gusto per lo sconcerto provocato, cioè la quintessenza dell’arte comica, a tutto il resto. E la politica,? I cittadini? I parlamentari? La “prima forza del Paese”? Erano, sono, una battuta. Arte comica.
La seconda verità è conseguente. Il Movimento Cinque Stelle non è un movimento politico. La sua “dirigenza” e una buona parte della sua “base” esprimono quello che può succedere passando troppo tempo su Internet, troppo poco per strada e meno ancora sui libri. Il fatto che questa sia una tendenza generale non cambia nulla. Perché il loro specifico è di farlo più degli altri, avendo anzi innalzato la “Rete” a fattore fondativo e discriminante, ed essendo, con ogni evidenza, mediamente degli smanettoni transitati dal “trading on line” a Google, a You Tube a Facebook e poi a Twitter, rimanendo sempre fissi alla stessa postazione: da dove danno l’impressione di provare a sfangarla senza troppo sudore. A tutto concedere, i più arditi fra costoro hanno pensato di temperare la loro “virtualità” con forme effimere ed emotive di “presenza sul territorio”, come le varie Occupy, senza mai oltrepassare la soglia della passiva ricettività, propria dello spettatore entusiasta e contento di esserci: come nei riuscitissimi comizi-spettacoli del loro Master in web.
E siccome la politica, per quanto laida e imperfetta, un poco di sudore lo vuole, nessuno di costoro ha capito chi e perché li ha votati: che poi è la prima qualità del “fare politica”. Quasi una metà del “venticinquepercento” erano elettori di centro-destra abbastanza stanchi dell’andazzo, e feriti dal Governo Monti. Pronti però a tornare in un’area per loro naturale, che tale era prima di Berlusconi e tale rimarrà anche dopo. Ogni sogno di svolazzo trionfante è solo Play Station.
La terza verità e la verità del comico, la verità della sua parola. Epigrafica, rapsodica, ma intensa e capace di imprimersi nel profondo di chi osserva. Non è un programma né un manifesto, ma coglie il nucleo del sentimento diffuso in un certo momento. E, se non ci si potrà costruire un partito, nutrirà la coscienza (altra parolona) di chi ne è attinto. Tutto sommato, non è neanche poco.
Svincolata dalla responsabilità politica, ecco allora che la verità comica ci appare in tutta la sua forza di penetrazione. Rodotà “ottuagenario sbrinato” è la verità di una classe dirigente che non ha il pudore né l’orgoglio della proprie rughe, e si accalca sulle sgangherate speranze di chi ha la metà dei suoi anni, incurante di avere concorso a farne una “Generazione Bonsai”: e di tutte le crudeltà sorridenti e armoniose che un Bonsai richiede.
“Rifondare la sinistra” è la verità di una parte politica che, per non aver fatto i “conti del comunismo” (ignorato saggio-rimprovero di Aldo Schiavone), si è autocondannata ad un trastullo psichedelico, asserpolandosi sulla farneticazione dell’ “essere migliori”, mentre il mondo continuava a girare, si faceva globale, minacciosamente aperto e instabile.
Non trovando nulla di meglio per vivere politicamente, cioè ad occhi aperti, un momento storico così delicato, che trasferirsi armi e bagagli nelle oscure dimore della “legalità” – versione trendy della Eterna Inquisizione- e di interessate tresche lobbistico-mediatiche: agitando il manganello e la gogna al posto della falce e del martello, che almeno erano onesti e degni strumenti di lavoro. E condannando se stessi e il Paese alla paresi dell’incertezza, individuale e collettiva, tipicamente indotta da ogni forma di Inquisizione.
D’altra parte, basterebbe scorrere l’elenco delle “personalità” politiche che si sono precipitate a stigmatizzare il comico, la maschera irriverente e canzonatoria: Vendola (ecocomunista), Bindi (cattocomunista), Ferrero (italocomunista), Bonelli (paracomunista), Valentini (Casa De Benedetti), e poi chiedersi: ma con chi volevano governare? Con un comico? Appunto.