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May 4, 2013
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Trasloco, che passione

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Time: 5 mins read

Uno non si può definire newyorchese per davvero se non ha cambiato casa almeno una decina di volte. Il trasloco è lo sport ufficiale di New York.

Per quanto cambiare casa sia un passatempo diffuso su tutto l'arco dell'anno, la vera stagione dei traslochi è la primavera. Da marzo a giugno, ogni fine mese, per le strade iniziano a comparire i furgoncini U-Haul che, disponibili a partire da 19.99 al giorno, sono gli inseparabili compagni di trasloco di chi non può permettersi un servizio a pagamento.

Altro inconfondibile segno della stagione dei traslochi sono i marciapiedi che si riempiono di tutto quell'arredamento e le vettovaglie che non ce l'hanno fatta. Scatole piene di piatti e bicchieri, pile di libri, divani in perfetto stato di conservazione, tavoli, sedie, scaffali compongono surreali appartamenti sul ciglio della strada. Sono gli oggetti che non riusciranno ad aggiudicarsi un posto nel prossimo appartamento e sono quindi destinati all'abbandono. Per i passanti è come andare al mercato delle pulci, col vantaggio che è tutto gratis. La gente si ferma a guardare e si porta a casa quello che serve (e che è, con ogni probabilità, destinato a tornare sl marciapiede nel giro di qualche mese). Se uno vuole arredarsi casa senza spendere un dollaro, non ha che da aspettare la fine del mese e fare una passeggiata nel quartiere: si trova di tutto.

Nella mia conversione newyorchese, io che le cose o le faccio per bene o non le faccio per niente, ho preso molto sul serio l'impegno a traslocare quanto più spesso possibile. Nei primi 18 mesi in città ho cambiato casa 10 volte. E, quando sei alle strette e devi liberarti del superfluo, abbandonare cose in strada  smette di sembrarti così poco etico (in fondo, potrebbe sempre trovarsi a passare di lì qualcuno che ha proprio bisogno di quel comodino dell'anteguerra con l'anta scassata, no?). Durante il mio primo vero e proprio trasloco (ovvero quando le due valigie con cui ero atterrata a JFK erano ormai ampiamente lievitate), un grosso divano dell'Ikea è finito ad arredare un angolo di 14th street.

Nel passaggio dall'appartamento n.4 all'appartamento n.5 si è posto il problema dell'arredamento: andavo a stare in una casa ammobiliata, ma la mia mentalità europea e le mie fissazioni ambientaliste mi impedivano di abbandonare per strada l'intero mobilio di un appartamento di due stanze. Così avevo deciso di affittare una storage unit (altra cosa newyorchese quanto i taxi gialli). Avevo scelto una ditta che offriva un servizio gratuito di trasloco che significava che loro venivano a prendere le mie cose, ma io dovevo farmi trovare con tutta la mia roba sul marciapiede. Così alle 2.00 spaccate del 30 settembre 2011, ero lì con il mio letto, la scrivania, il tavolo, gli scaffali, tutto ben impacchettato e pronto a partire. Alle 3.00 nessuno si era fatto vivo. Dopo qualche telefonata per ricordare gentilmente all'azienda in questione che stavo pazientemente aspettando che mi venissero a prelevare, ho spacchettato una sedia e un libro e mi sono messa comoda. Alle 4.00 ho iniziato ad aggiungere una punta di impazienza alle mie telefonate. Alle 5.00 sono passata alle imprecazioni e a minacciare azioni legali. Mi scappava la pipì ma non potevo abbandonare le mie cose perché chiunque passava, prima che si accorgesse che tra il materasso e la libreria c'ero io, pensava che tutto quel ben di dio fosse roba abbandonata e iniziava a guardare e toccare, decidendo cosa portarsi via: dovevo fare la guardia. Alle 6.00, dopo aver minacciato di morte l'operatore telefonico della compagnia di storage, dovevo davvero andare in bagno. Così ho chiesto a un tizio che vedevo spesso aggirarsi da quelle parti in compagnia di una pinta di vodka, di dare uno sguardo ai miei averi. Errore fatale perché, al mio ritorno, oltre alla promessa mancia, mi è toccato ricambiarlo standolo a sentire mentre, ubriaco, cercava di convincermi del fatto che se non avevo mai fatto sesso con un nero non potevo dire di sapere cosa fosse il sesso. E qui forse va detto che lui era nero.

Quando alla fine il furgone del trasloco è arrivato, mi è toccato accettare l'aiuto (lautamente ricompensato – in denaro, meglio specificare) del maniaco sessuale, per poter mettere il tutto a bordo: il servizio infatti, ho scoperto in quel momento, non includeva che l'omino che guidava il furgone mi desse anche una mano a caricare.

Dopo questa esperienza, nei successivi traslochi ho deciso di fare da me. Anche perché, dopo aver pagato per mesi la storage unit, mi sono ritrovata a regalarne tutto il contenuto, visto che non ho mai più affittato un appartamento non arredato. Liberatami dei mobili, dovendo trasportare soprattutto libri, vestiti e piante, ho scelto di affidarmi alla Metropolitan Transportation Authority. Vi dirò, non è poi male: con un sei o sette viaggi in metro, una valigia per mano, buste e bustoni a tracolla, il trasloco è fatto. Durante uno di questi viaggi dall'East Village all'Upper West Side, un signore, mosso dallo spettacolo di me che sudavo cercando di evitare che il mio bagaglio travolgesse qualche passeggero, ha commentato: “Sei appena arrivata in città? Dovresti viaggiare più leggera”. Quando gli ho risposto che stavo traslocando, è esploso in una risata: “Only in New York!”.

 

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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