UN AUTUNNO di preoccupazione: esagerando, c’è chi evoca il tempo di guerra, quando ci si svegliava dubitando di arrivare a sera. In giro si vedono impoverimento e recessione. Soffre anche il ceto medio, saccheggiato dallo stato, vessato dai costi crescenti dei servizi irrinunciabili, morso dall’inflazione che taglia il valore reale di redditi e risparmio.
In Italia, per fare cassa dalla proprietà più semplice da rintracciare, il governo ha scelto di mandar giù il valore del patrimonio immobiliare, rifugio di risparmiatori e famiglie virtuose. La repentina discesa con percentuali sino a due cifre della rendita e degli affitti, con il contestuale aumento del costo fiscale e dei servizi collegati alla proprietà, si traduce non solo nel decadimento dei piccoli proprietari, ma nella svalutazione del montante immobiliare accumulato dalla nazione attraverso generazioni di lavoro e risparmio, accentuata dal rinvio della manutenzione. Un vero crimine economico e sociale perpetrato a freddo, con un picco di offerta (le città pullulano di cartelli “vendesi”) che fa calare ulteriormente i prezzi.
Non solo in Italia, la gente disinveste dal mattone e si ritrova liquida oltre il necessario, riversando denaro nei forzieri delle banche e comprando obbligazioni. Da noi a settembre i depositi privati hanno registrato la crescita su un anno del 5,7%, la più alta nel triennio. Anche meglio la raccolta obbligazionaria, bond bancari inclusi, +11,6%. Le banche ringraziano, ma continuano a girarsi dall’altra parte rispetto ai bisogni di famiglie e imprese: a settembre i loro prestiti agli imprenditori risultavano diminuiti del 3,2% sull’anno precedente (!). Si conferma che a guadagnare è la speculazione finanziaria, non l’economia reale. Come altrimenti spiegare che, a ritmi indecifrabili, l’orso geli gli investitori e subito dopo il toro batta lo zoccolo del rialzo?
La massa di liquidità sottratta a risparmiatori e famiglie, quella generata dai certificati di credito pubblici e privati, consente ai fondi di muoversi con agilità e forza tali da buggerare persino le resistenze di banche nazionali e Banca centrale europea (Bce), nonostante nel bestiario della finanza internazionale, tra orsi e tori si sia andato a collocare da qualche tempo il nome del nostro… Draghi, presidente della Bce. La stampa ha preso ad attribuirgli un ruolo taumaturgico, ma è un fatto che i draghi sputino fuoco solo nella fantasia dei contafavole che li hanno inventati per esorcizzare le loro paure. E difatti regolarmente Draghi si ritrova spento il fuoco dei suoi buoni propositi, appena da Berlino o Parigi si sputi uno starnuto d’acqua di diniego. Da Luigi Einaudi, presidente di un’Italia che esprimeva ancora galantuomini, due citazioni, che suonano come appelli a cessare comportamenti che stanno mettendo a rischio benessere e democrazia.
La prima, del 1960, è l’autocritica per come partiti e governo colpivano i ceti produttivi: “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, umiliarli, scoraggiarli”. L’altra, del 1959, si scaglia contro funzionari e tecnocrati: “Al ceto mobile e vario degli imprenditori noi possiamo sostituire l’esercito dei funzionari dirigenti, dei regolatori del piano… Facciamolo, ma ricordiamo che … avremo creato un regime tirannico … L’irrigidimento imperfetto della società romana della decadenza, fu una delle cause della rovina dello stato. I barbari germanici non durarono fatica ad abbattere il colosso…le sue membra, regolate e legate e vincolate dallo stato onnipotente ed onnipresente, più non erano in grado di combattere”.