Il 14 Novembre è stato in gran parte dell’Europa un giorno di manifestazioni contro le politiche di austerità perseguite dai governi europei. In Italia gli studenti hanno fatto sentire con fermezza il proprio dissenso per i tagli alla scuola pubblica.
Gli scontri di Roma, le violenze sia da parte di alcuni manifestanti che delle forze di polizia testimoniano quanto sia scottante e impossibile rimandare una seria riforma della scuola. In questi ultimi vent’anni abbiamo assistito a riformine tampone per tirare a campare visto le esigue risorse finanziarie messe a disposizione della scuola pubblica. Abbiamo sentito soprattutto ministri della Pubblica Istruzione parlare e straparlare, annunciare provvedimenti legislativi inapplicabili sul piano operativo.
La loro attenzione è apparsa concentrata sull’organizzazione amministrativa della scuola stessa e del personale piuttosto che sui contenuti e sul metodo. Hanno contratto posti di lavoro sopprimendo o accorpando più classi, hanno disfatto ciò che avevano fatto i predecessori modificando continuamente le modalità di reclutamento del corpo docente, che è apparso sempre più disorientato.
Sui contenuti sono intervenuti solo per potenziare lo studio dell’informatica e delle lingue quasi che le altre discipline fossero residuali. E’mancata in sostanza una équipe di pedagogisti e esperti del settore in grado di proporre una riforma organica. La scuola italiana non è stata messa in grado di adeguarsi ai mutamenti sociali che nel dopoguerra caratterizzarono l’intera Europa per le forti resistenze di una burocrazia ministeriale e di una classe docente ancorata alla riforma Gentile voluta da Mussolini.
Solo sul finire degli anni Sessanta dietro la spinta dei movimenti studenteschi si ebbero importanti innovazioni quali l’istituzione della scuola materna statale e la liberalizzazione degli accessi universitari. Una ventata di democrazia soffiò negli anni Settanta sulla scuola pubblica fino ad allora espressione soprattutto delle classi più abbienti , ne fu la prova il superamento del dualismo storico tra maschi e femmine, l’introduzione dei Decreti Delegati, la scuola elementare a tempo pieno, l’incremento degli istituti tecnici. Gli anni Ottanta videro l’altalenarsi di provvedimenti dettati di volta in volta dalla politica del compromesso tra la Democrazia Cristiana, referente della chiesa cattolica, e il Partito Socialista.
Ad eccezione della riforma di Luigi Berlinguer il cui obiettivo era il riassetto in senso europeo della scuola pubblica, gli ultimi anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio hanno registrato un forte ridimensionamento della scuola statale a vantaggio di quella privata. La Chiesa attraverso ministri quasi tutti ex democristiani ha bloccato i seri tentativi di riforma dell’istruzione pubblica al fine di mantenere i privilegi economici e il controllo formativo dei giovani. Lo ha fatto fin dal 1943 quando nella Sicilia liberata il pedagogista americano Carleton W. Washburn, tentò di attuare una revisione profonda dei programmi scolastici italiani fortemente improntati alla cultura fascista a carattere confessionale.
L’opposizione della Curia fu netta in quanto il progetto di Washburne eliminava l’obbligatorietà dell’ora di religione cattolica ottenuta nel 1929 con i Patti Lateranensi. Si arrivò ad un compromesso il cui risultato furono tante belle parole sul piano dei princìpi e pochissime innovazioni sul piano dei contenuti. Solo negli anni Ottanta fu abolito l’obbligo dell’ora di religione. In cambio, però, il Vaticano ottenne denaro pubblico attraverso la pratica dell’otto per mille e notevoli agevolazioni fiscali. In tempi di crisi tutto questo agli occhi dell’opinione pubblica appare anacronistico e poco cristiano.
La scuola pubblica, però, nonostante la crisi resiste contro la poca cura e l’inesistente interesse della politica. Resiste per merito di professori che credono di avere un ruolo importante nella formazione dei giovani nonostante siano malpagati e ignorati, resiste perché predilige ancora un approccio analitico della conoscenza invece di quello sintetico intuitivo della maggior parte delle scuole europee. Resiste soprattutto alla moda dei test, attraverso i quali si pretende di attestare la conoscenza degli studenti. I test possono solo facilitare la verifica sul possesso dei contenuti non certamente il percorso di apprendimento, non la capacità elaborativa e di analisi dello studente per arrivare a quei contenuti. E’ un modo per evitare che l’intelligenza umana diventi sempre più robotica.