Madrid, nella via Lope de Vega, angolo Paseo del Prado, mercoledì sera, davanti alla sede della seconda confederazione sindacale spagnola, Comisiones Obreras, e all’Auditorio Marcelino Camacho.
Nella strada e, girato l’angolo, lungo la passeggiata che costeggia il museo del Prado, la lunga fila di gente aspetta paziente per l’ultimo saluto a Santiago Carrillo, uno degli uomini che, alla metà degli anni ’70, fece passare pacificamente la Spagna dalla dittatura di Franco alla democrazia del giovane re Juan Carlos. Si sono contate più di 20.000 persone davanti al feretro. Giovedì la cremazione al cimitero della Almudena, poi la dispersione delle ceneri al largo di Gijón, la città di origine. Niente funerali, per volontà del defunto. Il leader storico dei comunisti spagnoli è scomparso a 97 anni, dopo una vita dedicata alla politica. Gli ha reso omaggio gente di ogni età, condizione sociale, fede politica: un popolo che ha ringraziato il leader di stampo antico che, nel momento cruciale, di fronte alla storia, ha anteposto l’interesse del paese a quello del suo partito A cominciare dal re Juan Carlos, passando per il leader catalano Jordi Pujol e l’ex primo ministro socialista Felipe Gonzalez, protagonisti della transizione alla democrazia, tutti gli hanno riconosciuto questo ruolo. Ho chiesto a una ragazza, seduta nell’auditorio tra tante altre persone fermatesi a salutare amici e compagni o a riflettere, perché fosse lì: “Carrillo, con Suarez, fu l’unico a restare seduto in Parlamento, di fronte alla minaccia armata del golpista Tejero il 23 febbraio 1981.
Gli altri si nascosero o scapparono. Era coraggioso e con ideali. Non ce ne sono più di politici così, e sono venuta a salutare uno dei sopravvissuti”. Carrillo è un ragazzino quando è coinvolto nelle lotte sociali: suo padre Wenceslao, affermato dirigente del sindacato socialista Ugt e del Psoe, lo getta nella mischia durante lo sciopero generale del 1917.
Arrivato a capo dei giovani socialisti, di fronte ai dilemmi della sinistra dei primi anni trenta dopo il fallimento dell’ondata rivoluzionaria, si fa sedurre dalla sirena bolscevica e si converte a Mosca e allo stalinismo. Quando scoppia la guerra civile contro il legittimo governo repubblicano, è Consigliere per l’ordine pubblico della Giunta di difesa di Madrid, responsabile anche delle carceri: per questo molti storici gli attribuiranno la responsabilità dei fucilati in Paracuellos”, la maggiore strage commessa in territorio repubblicano in quegli orribili anni.
Migliaia di militari sediziosi e di civili nazionalisti furono presi dal carcere Modelo mentre la capitale stava per cadere, condotti in campagna e fucilati. La destra non avrà dubbi sulle responsabilità di Carrillo: se l’establishment plaude all’uomo del dialogo e della pacificazione nazionale, manifesti neofascisti lo bollano come “assassino di migliaia di spagnoli” e “genocida”. Nella memoria di chi ha vissuto la lotta al franchismo e la nascita della democrazia in Spagna, di Carrillo resteranno tre immagini. Quella del clandestino con parrucca che fa la spola dal confine francese per concordare con i moderati di Adolfo Suarez come rimuovere la gabbia predisposta da Franco per vietare la democrazia anche dopo la sua morte. Quella diffusa dal vignettista Peridis: il buonuomo col sigaro acciaccato in bocca che perde via via peso politico, vittima del fallimento dell’eurocomunismo che ha creato con Marchais e Berlinguer, sino alle dimissioni del 1982 dal vertice di un partito cancellato dal trionfo socialista. La foto sorridente, accanto alla bara, con l’avvertimento alle future generazioni: “Il capitalismo può arrivare a distruggere la specie umana”.