Qui non è questione solo di Balotelli, della sua venustà atletica, della sua potenza talentuosa o del suo carattere in linea col calendario, cioè adolescenziale. O di Prandelli, rughe sincere su un volto sincero,semplicemente calciatore, semplicemente allenatore, non coach, al massimo Mister, come chiamavamo il papà-fratello maggiore allenatore sin da ragazzini, per darci un’aria importante, per sentirci un po’ più “calciatori”, e non sognatori in perenne esubero ormonale da scaricare inseguendo un pallone su e giù per un campo. Prandelli che declina il suo profilo di consapevole maschio italiano su una capigliatura che sa di brillantina Linetti, no cool, senza tagli radenti su cotenna in abbronzatura quattro stagioni, secondo fighetteria alla Mourinho, o Mou, come lo chiamano i suoi esoterici estimatori.
E non è nemmeno questione, o non è solo questione, della Squadra Nazionale di calcio come fenomeno strettamente sportivo, a quanto pare l’unica espressione di organicità funzionante in questo frangente, di complessità coordinata ed efficiente, reparti in perenne dialogo, do di petto quanto basta, ma sempre sulle spalle di un’orchestra sintonica in ogni sua parte e diretta ad occhi chiusi, di cui si può toccare ogni componente, con mosse discrete o con interventi decisi, ma comunque sempre ricreando equilibri nuovi e più virtuosi: Balzaretti a destra, Cassano che gioca solo un’ora ma lo può fare al massimo, in staffetta ora con Di Natale, ora con Diamanti, Balotelli lì a fare quello che vuole, sbagli compresi, perché tanto si sa che poi il fuoriclasse compensa, e alla grande.
No. Quello che è successo, che succede da sempre con la Nazionale di calcio, è un salutare sussulto di autocoscienza, uno scrollarci incancreniti complessi psico-storico-culturali, un portarci sulla bilancia e considerare che pesiamo più degli altri e che, soprattutto, questo non è casuale. Con la Nazionale succede che le chiacchiere stanno a zero, come recita il nostrano slang.
Osservare che lo Spread è un’altra cosa, che la politica, l’economia, la “vita vera” sono cose serie, e che questo è solo un gioco, è altrettanto ottuso che dedurre dal calcio vittorioso appaganti compensazioni o teorici modelli di comportamento. Quello che invece sprigiona la Nazionale, ciò che ne viene alimentato è un brio non effimero, un’ansa di ossigenazione profonda e salutare che risospinge l’umore attraverso le oscurità che ci assediano. Rinnova la disposizione interiore di ciascuno e ne sostiene lo sguardo verso un orizzonte immaginario e pur reale: giacchè niente può divenire reale se non è prima immaginato; non concepito o pensato, ma proprio immaginato, cioè ricreato alla nostra coscienza saltando tutti i passaggi che la razionalità tende ad imporre al sapere dei sensi, quando si compiace troppo di sé e si fa vessatoria. Tutto questo i bravi generali lo chiamavano “morale delle truppa”. E ne erano preoccupati non meno che degli armamenti o dello schieramento nemico.
Perché sapevano che quella misteriosa unità psico-fisica che è l’uomo vive, essenzialmente, unicamente, di autostima.
Ora, la Nazionale ha questo potere. Da quando esiste. Perché del calcio distilla il suo più profondo significato. Il calcio è praticato da più di cento anni con “spirito democratico”. Perché è un gioco semplice, ma che esige capacità di integrazione; non tollera l’uomo solitario e costringe a sviluppare l’indispensabile profilo “politico” dell’uomo, in quanto distribuisce ruoli e responsabilità. Ha uno scopo unitario; movenze unitarie, esalta il talento individuale ma ne valorizza gli effetti solo nell’insopprimibile dimensione collettiva.
E’ uno spettacolo senza spettatori, tutti potendo essere, tutti essendo in varia misura, del pari coautori del gioco, e attori nel gioco. La Nazionale, non necessariamente il calcio in genere, esplica la sublimità dello spettacolo teatrale: il teatro è la prima e più importante forma di insegnamento e affinamento spirituale mediante rappresentazione: vale a dire, mediante il linguaggio del corpo che mima e riproduce la vita. La Nazionale, a dispetto di scandali oltraggiosi, di giustificati disamoramenti, dell’ammorbamento finanziario che lo ha reso pletorico e minaccia di renderlo insensato, del calcio riesce a salvare la validità di quel suo senso profondo e a riproporlo in espressioni immediate, che attingono un alfabeto sentimentale primario e codici di senso e di valore fondativi della civiltà: l’accomunarsi e il procedere insieme, così nella difesa da un avversario-nemico come nell’attacco per ottenerne la resa e l’anima. Ed anzi del teatro diffonde su scala universale il suo sublimarsi: il metateatro, questo apogeo dello spirito democratico che abolisce il palcoscenico o, perlomeno, ne inibisce ogni pulsione indebitamente cattedratica e coinvolge tutti in tutto. Questo significa che in Italia ci sono 60 milioni di Commissari Tecnici. La Nazionale di calcio è cultura allo stato puro. Cuore ateniese in corpo etrusco. Perciò Travaglio tifa contro.