Non era mai successo. Mai successo che un campionato europeo di Calcio passasse inosservato, o quasi, nelle nostre italiche contrade. Eppure, così è. Gli Europei che in questi giorni si svolgono in una landa desolata chiamata Ucraina, non suscitano l’interesse della massa, della stessa massa che (per fare pochi esempi) aveva seguito con trepidazione le edizioni del ’68, del ’72, del’80. E’ di scena anche l’Italia in Ucraina. Ma nemmeno la Nazionale sembra accendere la fantasia di tanti nostri connazionali.
Nei bar di Via del Corso, a Roma, di Via del Tritone; nei ristoranti e nelle trattorie di Testaccio, Campo Marzio, Flaminio, “non” si parla di Calcio, non si parla degli Europei. A quanto ci risulta, i soli a interessarvisi sono i ragazzi, ragazzi fra i 10 e i 15 anni, ma non molti neanche loro. Proprio così, nulla del genere era mai accaduto in Italia. Il Calcio italiano s’è giocato la simpatia, il seguito popolare. Qualche avvisaglia al riguardo s’era avuta negli ultimi mesi, col sensibile calo d’affluenza negli stadi sia di Serie A che di Serie B e C. Ma ora il dato è netto, è incontrovertibile. S’ha la sensazione (e forse anche qualcosa di più) d’assistere alla fine di un’epoca. E pensare che gli italiani hanno “pazientato” (e per più di “quarant’anni”…). Ne hanno ingoiate di tutte. Si sono lasciati incantare, fuorviare, mentire. Dopo gli scandali del 1980 e del 2006, è arrivato lo scandalo delle scorse settimane: altre partite truccate, combine di ogni specie, dirigenti stessi che ai propri giocatori intimano di perdere la partita… Il bailamme è gigantesco, è rumoroso: assomiglia parecchio alla politica italiana confezionataci negli ultimi 20 anni. La retorica è la stessa, il protagonismo è lo stesso, la menzogna regna sovrana. S’offendono intelligenza e dignità degli italiani. Ma adesso lo scollamento fra Calcio e Paese è appunto avvenuto. Avrebbe dovuto avvenire parecchio tempo prima.
Il Calcio perde terreno in parecchie regioni a favore di altri sport, soprattutto a favore del Rugby e, in seconda battuta, del Basket e della Pallavolo. In numerosi vivai le fila si assottigliano, anche in quelli, tradizionalmente robusti, della Toscana, dell’Emilia, del Piemonte. Ma c’è un’altra ragione all’origine del fenomeno: la gravissima crisi economico- finanziaria, il precariato che attanaglia milioni e milioni di italiani, la tragedia dei quasi 400mila “esodati”, cittadini rimasti senza lavoro e/o senza pensione, insomma il sempre più pesante clima d’incertezza diffuso in tutto il Paese, non si salvano nemmeno Veneto e Friuli.
Una volta si diceva, ed era vero, che a molti il Calcio rendeva la vita un poco meno aspra, meno difficile. Lo si diceva ai tempi di Amadei, Boniperti, Rivera, Riva e compagnia bella. S’andava la domenica allo stadio e tutto si dimenticava. Ma quella era un’“altra” Italia. Poteva “dimenticare” il capofamiglia assediato dalle cambiali, poteva “dimenticare” l’operaio non molto ben retribuito, e anche l’impiegato “d’ordine” statale, o parastatale, grazie alla sua Roma o alla sua Juve, grazie alla Nazionale, per un’ora e mezzo si liberava di ansie e affanni e magari la speranza di un domani migliore
s’accendeva anche in lui, come s’accendeva nell’operaio.
Semplice spiegare il perché di tutto ciò: quelli erano lavoratori italiani i quali a fine mese il salario lo riscuotevano, magari un salario non alto, parecchie cose, almeno fino al 1956-1957 non c’entravano; erano lavoratori che avevano sottoscritto contratti a tempo indeterminato. Eccoci! Quella era l’era del contratto a tempo indeterminato. Sotto i nostri piedi, una base c’era, la sentivamo. Ora è diverso… Ora, stretti nella morsa dell’incertezza, nulla si può scordare. Non s’ha neanche più voglia (troppo è lo scoramento) di dedicare tempo e attenzione ai frivoli “signori del pallone”. Alcuni dei quali ogni mese scommettono cifre da capogiro…