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February 19, 2012
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Per l’Italia che sa rischiare

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 5 mins read

Nel giorno di San Valentino alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University è andata in scena una dichiarazione d’amore nei confronti dell’Italia. Si è discusso di futuro, di giovani brillanti, di grandi idée e di come metterle in pratica creando crescita economica. Senza nascondere quelle verità che pur fanno male, si è mostrato che si può aiutare il proprio paese nel momento del bisogno anche lavorando oltreoceano.

Chi scrive non c’era fisicamente alla Casa Italiana quella sera (ogni martedì da giornalista devo trasformarmi in insegnante). Ma grazie all’intesa perfetta tra la Zerilli Marimò e i-Italy, chiunque può vedere e ascoltare la conferenza dibattito su internet. Nel panel, a discutere di come creare futuro per l’Italia e i suoi giovani, c’erano: Ronald Spogli, l’ex ambasciatore a Roma; Fernando Napolitano, Presidente e CEO di Italian Business and Innovation Initiative; Gianluca Galletto, Co-Fondatore di Professionisti Italiani a New York. A moderare la discussione Maurizio Molinari, il corrispondente da New York de La Stampa di Torino.

L’Italia è ormai destinata al declino per mancanza di opportunità e fuga all’estero dei suoi talenti migliori, oppure ancora possono essere create le condizioni per una nuova e vibrante industria basata soprattutto sull’innovazione tecnologica? Molinari ha ricordato che nel suo recente viaggio negli Usa, il premier Mario Monti ha riscosso grande successo a Washington ma una volta a New York ha trovato la diffidenza nei confronti dell’Italia da parte degli investitori americani.  Quindi Molinari ha chiesto: perché è ancora così difficile convincere gli investitori a venire in Italia?

Il direttore della Casa Italiana, Stefano Albertini, precedentemente, nel presentare l’ambasciatore Spogli, aveva  detto che “non ha importanza come la si pensi sulle politiche dell’amministrazione Bush, rimane il fatto che per l’ambasciata a Roma non si poteva fare una scelta migliore di Spogli”. Siamo d’accordo: Spogli, un italianista con studi a Stanford poi diventato imprenditore di successo, ha dedicato la sua missione diplomatica in Italia soprattuto al cercare di creare nuove opportunità di scambi economici tra gli Usa e l’Italia.  “Partnership for Growth” è una iniziativa in cui continua a lavorare anche dopo aver lasciato Villa Taverna.  E Spogli è ancora convinto che l’Italia resti un paese al top per l’alta tecnologia, capace di sfornare tantissimi brevetti e di pubblicare articoli scientifici di altissimo livello. “Però poi c’è la mancanza nel connettere questi talenti. Si hanno grandi idée, ma non c’è chi poi porta avanti il lavoro per farle realizzare. Ma la materia prima essenziale, il capitale umano,  per creare nuova tecnologia per far crescere l’industria  in Italia c’è”.

Fernando Napolitano, italiano che ha scalato le vette del successo nel business consulting, fino a pochi anni fa era al top di Booz-Allen & Hamilton. Ha lasciato la sua carriera per fondare Italian Business and Innovation Initiative. Ecco perché: “L’Italia resta isolata, anche se c’è l’internet, perché non parla inglese. Poi non facciamo nessuna comunicazione istituzionale che dia immagine.  Ero lavoravo in Italia con successo, ma vedevo il  paese invecchiare, e con mia moglie ci siamo detti: ma al futuro chi ci pensa?  E immaginavo mio figlio, dopo la laurea, a 22 anni, cosa avrebbe fatto in Italia? Dovevo umiliarmi e umiliare anche mio figlio chiamando il solito amico per trovargli il lavoro? Dovevo fare qualcosa, almeno posso dire di averci provato.  Quindi ho dato le dimissioni e ci siamo transferiti qui, con una semplice idea:. Italian-Business and Investiment Initiative per ribadire che l’Italia è importante per il mondo”.

In sostanza ecco cosa fa l’accoppiata Napolitano-Spogli: con il programma Full-Bright Best da alcuni anni porta studenti italiani ad avere esperienze post laurea negli Stati Uniti con la promessa che poi tornino in Italia. Perché, come dice Spogli, “i giovani italiani si rendono conto che qui nessuno è più bravo o intelligente di loro, si accorgono che negli Usa c’è solo un ambiente che li fa credere più nelle loro possibilità. Noi allora vogliamo che quando tornano in Italia, questi giovani possano trasmettere anche una nuova mentalità, che non è certo quella del posto fisso. Ma di voler rischiare perché si ha fiducia nelle proprie capacità”.

Ma poi all’Italia manca soprattutto il “venture capital”, coloro che rischiano scomettendo soltanto su un’idea. Ed è qui che Fernando Napolitano sta lavorando sodo, nel portare i giovani imprenditori italiani, soprattutto nell’alta tecnologia, a poter sviluppare i loro prodotti attraverso “venture capital” americani.

Spogli aggiunge: “Tutto il paese deve avere una cultura dell’innovazione e io non trovo il governo italiano che spende meno della media europea nello sviluppo e innovazione. Il problema invece lo trovo nel settore privato, dove non è scolpita nella mentalità la necessità che un prodotto debba essere continuamente rinnovato per rimanere competitivo. Questo ha danneggiato la competititività del paese, un’attitudine che deve cambiare”.

Galletto: ma è veramente possible cambiare cultura e mentalità? E perché i venture capital americani dovrebbero rischiare i loro soldi per aziende che stanno a 6 mila chilometri di distanza?

Spogli: “La grande idea non ha confine e il venture capital la cerca ovunque.  Ora non arriverà dall’Italia forse il prossimo facebook, ma sono sicuro che da lì possa arrivare qualcosa di cui il paese ha disperatamente bisogno, magari dai suoi laboratori scientifici….”

È stato detto ancora tanto da Napolitano, Spogli, Galletto e Molinari alla NYU. Vale la pena continuarli a seguire, soprattutto dovrebbero dall’Italia.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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