Caso “Concordia”, la tragedia del Giglio. Rieccoli i “pietisti”, ‘anime candide’, ‘spiriti generosi’ che non saltano una Messa la domenica mattina e ci tengono a esser notati per la propria “fede cristiana”.
Rieccoli gli esecrabili individui per nulla toccati dall’atroce destino che ha stroncato vite umane, gettato nel dolore senza fine famiglie intere, gettato discredito sull’Italia, sugli italiani, come se non bastasse l’onta berlusconiana e di tanti altri “grossi” personaggi espressione ormai di un’Italia superficiale, banale, innamorata del lusso, la quale, ahimé, oscura gli italiani che ancora oggi si comportano con coraggio e dignità, e senza nemmeno sognarsi d’andare in cerca di elogi, attestati di stima, ricompense. Rieccoli i “buoni”, coloro i quali sono “migliori” di noi, poiché essi sanno “perdonare” mentre noi, al contrario, non sappiamo perdonare. Anzi, a volte proprio non ci piace perdonare…Siamo fiorentini con un bel po’ di sangue sannita, perciò “vendicativi”: lotta a oltranza, quindi, ai prepotenti, ai mendaci, ai fasulli, a quanti si fanno beffe di leggi scritte e soprattutto di leggi non scritte. Ma rieccoli i “puri” i quali, guarda caso, nulla provano – come nella circostanza – per le vittime del naufragio del “Concordia” avvenuto venerdì 13 gennaio a poche spanne (!) dall’Isola del Giglio, Arcipelago Toscano.
Nulla davvero. E’ come se la bimba di 5 anni e sua mamma non fossero affatto morte, insieme a tanti altri, e si trovassero, invece, in un confortevole albergo di Savona, destinazione mai raggiunta del “Concordia”. I “puri”, dei quali Meta di Sorrento sembra pullulare, palpitano soltanto per la sorte di Francesco Schettino, comandante del “Concordia”. Se ne fa una questione tristemente, volgarmente “paesana”… Lo Schettino è uno dei figli di Meta di Sorrento, quindi non può non essere persona quadrata, responsabile, pronta a offrire aiuto in ogni frangente…
A Meta, il Capitano che non ha esitato ad abbandonare la propria nave in grave pericolo, e con essa passeggeri e uomini dell’equipaggio, ha ricevuto accoglienze trionfali. E’ stato definito un “eroe”… Vi rendete conto? Un assessore comunale, un certo Giuseppe Tito, ne ha sposato senza indugio “la causa”… Ci si è messo di mezzo il solito prete, stavolta nella persona di don Gennaro Starita, parroco di Meta.
Quel che ha dichiarato mercoledì scorso il prete, fa venire i brividi: “Ci sono stati già tanti morti… Perché farne un altro?” Questa la “cristiana compassione”, questa la “logica umana” di Gennaro Starita. Secondo il quale nessuno quindi è colpevole di nulla… Il sacerdote vero avrebbe dovuto invece esortare il personaggio in questione ad ammettere le proprie colpe, le proprie responsabilità, e magari a chiudersi in convento dopo aver scontato la pena carceraria. Chiudervisi ed espiare. E’ questo che riabilita un essere umano le cui colpe sono enormi. I fatti sono chiari. Il Comandante Schettino ha abbandonato la propria nave e quanti vi si trovavano a bordo. Non ci sono precedenti analoghi nella Storia della Marineria di Paesi e Nazioni. Coordinare da terra i soccorsi, come affermano con ignoranza e faccia tosta a suo (scandaloso) beneficio, gli “avvocati difensori”? Ma a terra c’è già gente adatta a prestare soccorsi, non c’è nessun bisogno che un Comandante si unisca agli uomini della Capitaneria di Porto, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza, ai Vigili del Fuoco… (ammesso che questa fosse l’intenzione di Francesco Schettino): il dovere di un Capitano è quello di restare inchiodato sulla propria nave costi quel che costi. Attraverso i secoli, innumerevoli Capitani hanno preferito inabissarsi con la propria unità, anziché porsi in salvo.
Francesco Schettino non ha giustificazioni. Ma da “bravo” italiano ‘moderno’ il quale si sente al di sopra di tutto e di tutti, da “italiota” appunto ‘moderno’ e mondano, perciò un individualista, un egoista, un arido, s’arrampica sugli specchi, cerca di “cavarsela”. Ma ce l’ha, o non ce l’ha, una coscienza? Peggio ancora quelli che lo difendono.