Dalle crisi sono sempre nate nuove opportunità – ci dicono. Ma questa è una crisi singolare, perché c’è gente, moltissima gente, che sta benissimo. E moltissima che sta male, malissimo. Sicuramente molta di più, ma si vede in giro quella che sta bene: c’è n’è tanta. E quindi dall’opulenza, dalle pance piene cosa può sorgere? Tuttavia come può la difficoltà aguzzare l’ingegno di quanti vivono annaspando nello stesso Paese? Tasse, rincari gravano sulla classe media che va scomparendo: stiamo entrando – l’ho scrissi già tempo fa – in un nuovo feudalesimo. E per far parte di questa oligarchia molti sono disposti a tutto.
Come abbiamo visto e stiamo vedendo dalle cronache di ogni giorno e dal comportamento ripugnante di molti nostri simili.
Per sopravvivere tutti insieme, senza lotte di classi che porterebbero sicuramente e a sopraffazioni, furti e omicidi tra ricchi e poveri, giovani e vecchi, abbiamo bisogno di un nuovo inizio.
Numa Pompilio, il secondo re di Roma, istituì l’anno di 12 mesi e dedicò il primo mese dell’anno al dio bifronte Giano, chiamandolo appunto gennaio. Giano aveva due facce. Con una guardava indietro, il passato, per non dimenticarlo mai, e con l’altra quanto aveva davanti, il presente che era già futuro, per affrontarlo. Stava lì a rappresentare il vecchio che diventa giovane, ma pure l’inizio di un passaggio da uno stato all’altro, sia fisico che spirituale. Indicava tuttavia un passaggio obbligato. E il potere divino si manifestava nella possibilità di aprire e chiudere le porte. Infatti le porte del suo tempio erano aperte in tempo di guerra e chiuse in tempo di pace.
L’incoronazione di Numa Pompilio
Giano dunque era un dio singolare, che esisteva prima di tutti gli dei e degli uomini, perché personificava il tempo degli inizi, il tempo ormai trascorso che però veniva rivitalizzato attraverso la vita attiva, il rito e le cerimonie religiose.
Ora le porte di Giano sono aperte. Ci dicono che dobbiamo passarci e combattere per trovare nuove opportunità. Ma darsi da fare non basterà per rivitalizzare l’Italia senza un particolare credo e il rispetto dovuto al prossimo, alle istituzioni e all’unità del Paese.
Noi italiani abbiamo perso di vista la priorità della cosa pubblica per l’interesse privato. Abbiamo preteso di vivere in case lussuose gettando le immondizie tutt’intorno alla nostra casa.
Sia fisiche, vedi Napoli, che morali, vedi il degrado etico.
Un dio delle opportunità dell’eterno inizio, poteva essere credibile solo se nel nuovo Stato che era Roma (750 a.C.) si trovava un motivo di aggregazione. Ecco allora che alla latina dea del focolare, Vesta, fu chiesto di custodire a Roma il fuoco come bene comune: la res pubblica. La sua capanna divenne il tempio circolare, ossia la casa del dio, dove ciò che era divino era il fuoco che non doveva spegnersi mai. Fu l’invenzione della cosa pubblica. Alla quale erano preposte delle giovani sacerdotesse che dovevano conservarsi pure come il fuoco per una generazione. Erano le uniche donne romane a godere dei medesimi diritti civici riservati agli uomini, compreso quello di sacrificare. Non dovevano usare il fuoco per cucinare, ma vigilare al suo ardere. Nella dispensa, chiamata penus, non conservavano il farro (cereale con cui il popolo allora si alimentava) bensì il fascinus, un talismano a forma di fallo. Numa Pompilio era riuscito a sublimare il particolare nel generale, conferendo essenza di immortalità alla virtù civica.
Il berlusconismo ha fatto l’opposto: basta pensare quali donne ha portato al governo della cosa pubblica, della cui dispensa si sono servite per esercitare potere.
Ora questo prezioso fascino, che in fondo era il mistero su cui si reggeva lo Stato romano, è scomparso. E senza fede nella esistenza della cosa pubblica, un valore custodito come cosa sacra da molti popoli, quali l’americano e il tedesco, sarà difficile iniziare a provare rispetto, che ne è solo una conseguenza.
Riusciranno i nostri eroi (del momento), Monti e company, a infonderci un credo comune per intraprendere un nuovo inizio?
Buon Anno, cari lettori.