Toccherà a borse e mercati dei titoli giudicare le conclusioni del Consiglio Europeo della mattinata di venerdì. Il rifiuto britannico ad uniformarsi alle scelte degli altri, le titubanze di alcuni paesi centro-europei, la mancanza di visione politica ribadita nell’occasione dalla coppia franco-tedesca fanno seriamente dubitare su un’accoglienza positiva. I contenuti annunciati per il progettato trattato di marzo confermano che i capi di stato e di governo dei 27 sono ancora lontani dal far proprie tutte le conseguenze della crisi, ritenendo di addomesticare la speculazione con il vincolo di bilancio costituzionale, competenze alla Bce, maggiori controlli e garanzie. Continua a sfuggire che l’unica vera soluzione sta nel rilanciare il processo verso l’Unione politica, avviato a Maastricht da Jacques Delors, e deragliato nelle contraddizioni del trattato di Lisbona.
Gli attuali problemi dell’Ue nascono dalla decisione della Commissione Prodi di spalancare le porte delle istituzioni ai paesi dell’Europa centro orientale (Peco), appena usciti dal comunismo, senza un adeguato periodo di preparazione e acculturamento all’acuis communautaire. Si trattò di risposta generosa alla chiamata della storia, ma "estendersi" significò deviare il cammino deciso dagli allora 15 verso l’approfondimento dell’Unione economica e politica.
Fu un azzardo, in quel contesto, procedere con l’Unione moneetaria: non ha senso una moneta che non rappresenti una economia e una politica, che non abbia alle spalle un potere politico. Gli attacchi speculativi degli ultimi mesi mostrano mercati propensi a credere che il processo verso l’Unione economica e politica non disponga delle condizioni storiche per proseguire: si cedono i titoli in euro o si pretendono alti interessi nell’acquistarli, perché non si "percepisce" l’esistenza di un’autorità garante della continuità nel tempo del loro valore.
Nel wild della finanza globale e liberalizzata, la fiera della speculazione individua nel branco Europa una preda polposa e in difficoltà. La fiuta piena d’ogni bene ma fiaccata e incapace di reazione. Azzanna prima i più deboli membri del branco, ma punta a sbranarli tutti, uno per volta. Può riuscirci perché il branco, non disponendo di un capo, non può reagire con manovra corale. Da un lato fondi sovrani che agiscono con finalità e obiettivi anche politici (altrimenti, perché "sovrani"?), dall’altro la più grande area economica e commerciale al mondo, impossibilitata a difendere la sua moneta perché sprovvista di governo. L’euro è forte e difatti non cede terreno neppure di fronte ai rating negativi sui debiti pubblici nazionali (quanto durerà l’eccezione del Bund germanico?), e al vento di stagnazione che tira sul continente. Ma, come ha scritto Barbara Spinelli su Repubblica un mese fa, c’è tra i membri chi si oppone a "… un’Europa più solidale e a istituzioni o misure che accentuino l’unità, un governo federale, una Banca centrale prestatrice di ultima istanza, un Fondo salva-stati sovranazionale, un ricorso agli eurobond". I’ts the politics, stupid! L’avventato accoglimento dei Peco fece registrare il defatigante confronto tra partigiani dell’approfondimento (più istituzioni e sovranazionalità) e dell’allargamento (maggior numero di stati). I primi paventavano quello che è poi avvenuto: il voto negativo di francesi e olandesi ai referendum sul trattato costituzionale, l’inconcludente complessità dei processi decisionali interni di Lisbona, la rinuncia a portare avanti le politiche comuni di Maastricht e Amsterdam. All’azione dei fondi speculativi, spesso espressione di governi non democratici e comunque sempre portatori di interessi nazionali strategici, si risponde, se si vuole far sopravvivere l’Europa libera e pacifica che abbiamo costruito, con un governo europeo e una Banca centrale che da esso tragga forza.