Commentando, nel 2008, il ritorno al governo di Silvio Berlusconi, scrivevo in questa rubrica, il 20 aprile: “impossibile che l’attuale Ue … possa accettare un’Italia ondivaga in materia di finanza pubblica…”. Continuavo: “Capire cosa questo governo farà su questioni chiavi come il sostegno all’euro, la lotta all’inflazione, il rigore fiscale e finanziario,… è uno degli interrogativi di questi giorni a Bruxelles e nelle capitali europee. … il paese non può prescindere dai vincoli europei, pena l’esclusione dal giro che conta”.
Tornavo sulla questione il 15 giugno, con un titolo provocatorio: “La guerra ‘civile’ europea”. Affermavo: “Berlusconi è chiamato ad un percorso in salita. … In Europa siamo guardati con sospetto da chi ci ritiene irrecuperabili alle regole del gioco comunitario. Ci si rimproverano il dissesto finanziario e le pecche della funzione pubblica. … Berlusconi… si applichi per convincere i partner… sulla sua volontà e capacità di tirare l’Italia fuori dal baratro nel quale qualcuno la vede pronta a precipitarsi”.
Facile profeta sottolineavo: "E la Germania … un giornol’altro ci richiamerà duramente all’ordine sullo stato nei nostri conti…, teme gli effetti su euro ed inflazione della nostra possibile caduta libera”.
Non cito per il vanesio l’avevo detto”, ma per evidenziare quanto fosse ovvio che governare a prescindere all’Europa, avrebbe portato il disastro finanziario con la riduzione di autonomia e sovranità. L’assioma è tuttora valido, eppure continuano a circolare in certi partiti e ambienti che contano, leader che non vogliono trarne le conseguenze. Con evidenza, questa è la maggiore difficoltà ui deve far fronte il governo Monti.
Non è nuovo, nella storia d’Italia, lo scontro tra chi vuole più o meno Europa. La novità sta nel fatto che talune forze politiche, pur accettando di dover stare nell’Unione, ritengano di scantonare dai comportamenti virtuosi che i trattati e in particolare le regole dell’euroclub impongono. Nel precedente governo si sono espressi leader che trovavano nelle istituzioni e nella cultura dell’Unione, un ostacolo insormontabile al progetto di sospingere l’Italia verso un originalissimo quanto folcloristico limbo padano-mediterraneo.
Finanza allegra e clientelare, violazione delle regole fissate da trattati e giurisprudenza europei in molte materie, inattuazione delle misure promesse, hanno obbligato i partner al cordone anti-contagio.
L’Unione con cui ci confrontiamo non è certo l’Europa sovranazionale che personaggi come Spinelli, Adenauer, Schuman, Delors, hanno sognato di veder nascere. Gode però di sufficiente consenso, cultura politica, fondamento costituzionale, per imporsi su situazioni nazionali ad alto rischio di infezione. E’ accaduto con Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna; oggi tocca all’Italia. Molto, nel gioco di bilanciamento tra sovranità nazionale e sovranità europea, ha cambiato l’euro. E’ comprensibile che il consumatore che fa la spesa a Berlino, non gradisca vedersi ridurre il potere d’acquisto a causa delle scelte di un governante che siede a Dublino, Atene, Roma.
L’attuale governo si dichiara europeista, ma non è detto che, con la volatile maggioranza di cui dispone, sia in grado di agire conseguentemente. Nel confronto con le attese sociali e gli oppositori, è avvantaggiato dal fatto che le misure da assumere sono imposte da Bruxelles e Francoforte, e risultano indispensabili per salvarci dal baratro. Deputati e senatori che si sottraessero ai loro obblighi, non potranno accampare scuse con un elettorato che li attende al varco delle vicine scadenze di legislatura.