Il benservito a Silvio Berlusconi, prima ancora che dal Quirinale, è stato dato, a settembre, dal cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella prolusione al Consiglio permanente dei suoi vescovi: dire che “in Italia bisogna purificare l’aria ammorbata dai comportamenti licenziosi”, e che la questione morale non era “un’invenzione mediatica”, significava indicare al capo del governo l’uscita dalle stanze del potere. Tempo qualche settimana e a Todi l’assemblea delle organizzazioni che si richiamano alla chiesa si sarebbe interrogata sulla costruzione del soggetto politico centrista alternativo, tanto che l’Osservatore Romano l’avrebbe definita “inizio di un cammino verso una nuova stagione unitaria dell’impegno dei cattolici in politica”. Non bastasse, mentre il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nomina senatore a vita Mario Monti e il governo uscente si lecca le ferite di un voto parlamentare che lo ha condannato, il cardinale Angelo Scola, apre a Milano l’anno accademico dell’Università Cattolica chiedendo “un ulteriore innovativo slancio che doni sangue vitale ad un paese esausto”.
La chiesa italiana ha scelto a suo tempo di appoggiare il citizen Berlusconi nella scalata al potere, sulla base di un trasparente trade off. Le gerarchie ricevevano garanzie parlamentari su materie sensibili come la bioetica, si avvantaggiavano finanziariamente da provvedimenti fiscali favorevoli, piazzavano loro fiduciari (in particolare i carrieristi di Cl e Opus Dei) in posti di responsabilità pubblica o al vertice di aziende controllate dallo stato. Il cavalier Silvio, definito “uomo della provvidenza” da qualche ecclesiastico copione (Pio XI chiamò un altro cavaliere, Mussolini, “l’uomo che la provvidenza ci ha fatto incontrare”) riceveva smalto per alcune delle icone preferite dal suo smisurato ego, quelle di “unto del Signore”, crociatoanticomunista, “defensor fidei”, “erede autentico di De Gasperi”.
Recentemente l’atteggiamento è cambiato: dai mugugni, non solo preti di base ma vescovi e porporati sono passati alla presa di distanza, se non alla condanna esplicita. E si tratta di qualcosa di inusuale per la chiesa italiana che, dopo il papato di Montini, ha teso a defilarsi da prese di posizione pubbliche che suonassero come intromissione nei fatti della politica, in particolare dai giudizi sulle persone. E’ come se i dibattiti dei cattolici apparsi su Reset o l’appello di sacerdoti come don Andrea Gallo contro i lunghi silenzi della Cei avessero generato nelle gerarchie, peraltro da poco rinnovate e ristrutturate dal papa tedesco, resipiscenza e mutamento.
In generale, nulla da eccepire. Nel tempo, la chiesa agisce come ogni istituzione e si tutela anche sul fronte politico, stringendo o rescindendo alleanze. Sulla vicenda specifica vanno però fatte alcune osservazioni. Popolo e pastori cattolici hanno espresso rigetto per l’uscente capo del governo solo in seguito a comportamenti immorali legati alla sessualità personale. Bizzarro che non abbiano mai gettato anatema contro la sua devastante diuturna opera di diseducazione e corruzione di mente e cuori condotta consapevolmente da vent’anni attraverso le televisioni. E dov’erano quando il capo del governo aizzava contro oppositori e magistrati, derideva donne non procaci che gli si opponevano, generava con le sue politiche milioni di nuovi poveri?
La chiesa ha contribuito a rimuovere un grande ostacolo allo sviluppo civile del paese, compiendo, di fatto, una meritoria autocritica. E però gli storici si chiederanno quale logica religiosa e morale le abbia consentito di mettere in doloroso castigo due grandi italiani e cristiani come don Sturzo e De Gasperi, e di non costringere a Canossa l’uscente capo di governo.