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November 8, 2011
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L’INDRO/ In USA l’Italia non fa piú ridere

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 11 mins read

 Negli anni Ottanta, una delle tante giovani americane che si apprestava a imbarcarsi per un volo diretto in Italia per frequentare il semestre di studi all’estero, nel salutare la madre tra abbracci e lacrime, ad un certo punto esclamó: “Oh my God! Mamma, sto andando a studiare in Italia e non so neanche chi sia il capo del governo!”. “Don’t you worry honey – rispose affettuosamente la saggia madre – Non ti servirá a niente saperlo. Al momento in cui l’aereoatterrerá a Roma, il capo del governo italiano sará giá cambiato!”

Questa simpatica storiella non é una barzelletta, ma è un episodio realmente accaduto ad un’allora ventenne studentessa di Boston che qualche anno dopo ho avuto la fortuna di sposare. Raccontarla è giusto perché é emblematica di quello che l’opinione pubblica americana pensava dei nostri governanti già molto tempo fa.

Le ragioni allora non stavano tanto nelle difficoltá di tenere il conto dei vari governi che venivano, andavano e ritornavano, ma nel fatto che non si pensava in alcun modo che il passaggio da un nome a un altro potesse minimamente intaccare la vita degli americani. Bastava assicurarsi che a capo non ci fosse mai un ’red’, un comunista. 

Il discorso ovviamente valeva per l’americano medio, non certo per gli analisti della Cia e del Dipartimento di Stato, che invece riempivano le scrivanie ai vertici con dettagliati rapporti sul significato delle ’convergenze parallele’ di Moro o le ’relazioni pericolose’ mediorientali del gatto e la volpe, Bettino Craxi e Giulio Andreotti. 

É vero, questi aneddoti risalgono alla Guerra Fredda: da qualche settimana, invece, i giornali americani, da quelli mainstream come il ’New York Times’ e ’Washington Post’, ai tabloid che si gettano via all’uscita della metropolitana, sono pieni del faccioni di Silvio Berlusconi. Sidimetterá? E quando? E che aspettate a buttarlo fuori? ci chiedono con apprensione, dai vicini di casa alla gestrice della lavaderia coreana.

E tutto questo grande interesse sulle sorti del Primo Ministro italiano é dovuto alla ragione preferita del cittadino medio americano: la preoccupazione per la salute del proprio portafoglio. Giá, da quando gli americani hanno visto il presidente Obama cosí preoccupato per le sorti dell’euro e dell’Europa, e gli opinionisti dei maggiori quotidiani e programmi tv praticamente dire che le sorti della ripresa economica globale dipendono dalla tenuta del debito dell’Italia, gli americani non ci dormono piú.

L’Italia qui oltreoceano é ancora apprezzata, anzi ammirata moltissimo. Nella classifica enologica e alimentare é sempre in testa delle classifiche USA, ma subito dopo ci sono la moda, l’opera lirica, architettura e design, le automobili sportive (e seSergio Marchionne magari fa il miracolo, anche le utilitarie), e ovviamente il fascino da ’latin lover’ alla Marcello Mastroianni in stile ’Dolce Vita’. Anche la lingua italiana attira gli americani, come annuncia l’ambasciatore Giulio Terzi da Washington, infatti é ormai la lingua straniera europea con la maggiore crescita di studenti ogni anno nelle scuole e nei college americani.

Da parecchi anni ormai la penisola è ’cool’ nell’immaginario americano, un successo di certo ottenuto nonostante la politica. Infatti, anche prima dell’avvento del mirabolante Silvio Berlusconi, la politica italiana era vista come un ’joke’, uno scherzo, insomma qualcosa di non serio a cui non fare mai affidamento. Poi, con la saga delle avventure del Cavaliere sciupafemmine, in questi ultimi anni era cresciuta una divertita curiositá nel seguire vicende tipo ’Rubacuori nipote di Mubarak’. Un tema di conversazione leggera per i salotti annoiati: insomma si parlava di Berlusconi per ridere e non pensare ai guai di Obama e della crisi economica.

Quando poi anche qui hanno realizzato che le avventure di Silvio ’focoso’ (e per molti degli statunitensi pure ’pedofilo’), non sono solo roba da ridere, ma potrebbero scatenare un effetto virale sulla salute del loro 401k (é il portafoglio privato di azioni esentasse che alla classe media Americana serve al momento di andare in pensione: col solo ’social security’ non si campa), il panico li ha assaliti: le sorti della ripresa economica mondiale dipendono da quel buffone di 75 anni? Are you joking, ma stiamo scherzando? Ripetono persino i compassati opinionisti delle maggiori testate Usa.

Quindi, anche l’americano medio "aspetta e spera che giá l’ora si avvicina" delle dimissioni dell’arzillo vecchietto, senza aver ancora realizzato che questo evento, pur assicurando per almeno 24 ore effetti benefici sulle azioni dei loro 401k, é solo il primo atto di un lungo dramma: chi governerá l’Italia al posto di Silvio?

Basta leggere la descrizioni che le valorose corrispondenti del ’New York Times’ RachelDonadio, Elisabetta Povoledo e Gaia Pianigiani – che prima pubblicavano un articolo ogni morte di Papa, ora grazie all’attesa sono tra le corrispondenti piú indaffarate – fanno dell’opposizione italiana, divisa piú che mai tra ex comunisti e populisti, ed ecco che anche la caduta dell’attuale governo non appare piú come la magica soluzione dei problemi.

Insomma l’Italia della politica, che prima non appariva mai sul radar degli americani se non per divertirsi con una storiella come quella all’inizio, adesso fa tremare e indignare gli americani. “What a mess”, che confusione, dicono i siti dei principali giornali. Giá, dato che abbiamo un premier che verrá ricordato anche come il piú grande cacciatore di ’escort’, riuscire a capire chi governerà l’Italia è davvero un ’gran casino’.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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