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October 30, 2011
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FUORI DAL CORO/ Euro: Silvio non molla

Fabio CammaleribyFabio Cammaleri
Time: 4 mins read

In foto il premier Silvio Berlusconi e il Presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso

Non è un trionfo. E  neanche una capitolazione. E’ un atto di governo. Età pensionabile, pareggio di bilancio, privatizzazioni, liberalizzazioni. Metà progetto e metà propaganda. Inevitabile, nel mondo reale. La lettera d’intenti recapitata a Bruxelles, e colà approvata da Francia e Germania, andrebbe letta per quella che è: una lettera appunto e un atto di governo.
Tuttavia è noto che nè buona parte dell’establishment nè una robusta minoranza di italiani la vuole o la sa considerare tale. Come niente che sia riconducibile a Berlusconi. Ma l’arte politica non coltiva l’assoluto, prestandosi semmai, per sua stessa natura, a continue variazioni.
Prendiamo le faccende finanziarie di questi ultimi anni ed in particolare dell’Italia. Sul finire del 2007, dopo quasi trent’anni di espansione, cominciata con le deregulations reaganiane e poi perfezionatasi con il WTO, varato da  Clinton e consolidato da G.W. Bush, il sistema finanziario implode. Diciamo Wall Street per intenderci, ma con Londra partner essenziale, quale  anglosassone spina geopolitica nel fianco europeo-continentale. Salvataggi statali, qualche capro espiatorio, ma siamo ancora lì, a quanto pare.
Prima variazione. L’euro, nel giro di due anni, da pietra filosofale, viene presentato come una costruzione periclitante. E indovinate chi fa la scoperta? Gli stessi Soloni che a buon diritto la comune opinione ritiene i maggiori colpevoli dei nostri patimenti. Quelli che, su una sponda dell’Atlantico, alimentavano un continuo flusso di uomini e di scelte da Wall Street a Washington. E al di qua dell’Oceano, in quegli stessi anni, promuovevano la più gigantesca riduzione di sovranità mai attuata da Carlo  Magno in poi, sotto le mentite spoglie di una operazione contabile, grandiosa quanto si vuole, ma pur sempre presentata come roba da ragionieri, senza offesa per nessuno.
E invece il varo dell’Euro avrebbe comportato la castrazione degli Stati nazionali e il riordinamento del potere reale intorno ad un asse tecnocratico, non elettivo e, di fatto, incontrollabile: il Sistema europeo delle Banche Centrali. Si badi, tutto alla luce del sole e a norma di Legge. Di un sole tanto abbacinante da non consentire alcuna vera e consapevole visione, però.
Da questo nuovo paradiso europeo rimane volontariamente fuori Londra. Cioè la testa di ponte, nomi alla mano, di quel coacervo di interessi che negli States aveva impiantato la funicolare tra  la Casa Bianca e lo Stock Exchange. Ma tu guarda! In Italia, varato l’Euro, per circa dieci anni abbiamo registrato una perdita secca di potere d’acquisto e di sovranità monetaria. Un tessuto di medie e piccole imprese vocate all’export ha perso l’efficace sostegno delle svalutazioni competitive. Poco prima, per preparare il terreno  (per aggiustare i conti, si diceva) il sistema delle Partecipazioni Statali era divenuto improvvisamente oggetto di un vorticoso "disprezza e compra". Chi osò sostenerlo, Craxi per primo, finì decapitato dalla ghigliottina di  Tangentopoli, quanto mai opportuna e puntuale, diciamo così.
Ciònonostante, gli italiani, quelli del familismo amorale cantato da Flores D’Arcais, erano e sono un popolo complessivamente saggio, non  meno degli altri e forse qualcosina di più. E hanno sempre lavorato e risparmiato Così, quando arriva il diluviuniversale-finanziario, le nostre banche, pur largament rimodellate e accorpate su patriziato ostile al tribuno Berlusconi, godono di quella diffusa e reale virtù nazionale. E tengono botta. Nessun fallisce. E senza scomodare nemmeno la centesima parte di quello che hanno dovuto scucire Obama e Londra.
E allora che si fa? Si dice che l’Italia non è così poi tanto male? In effetti per un po pareva che andasse proprio così. E abbiamo una seconda variazione. Ancora a Maggio il FMI approvava Tremonti  i suoi tagli con l’accetta. Nello stesso mese la Commissione Europea attestava che il debito pubblico italiano sarebbe diminuito dal 2012 in poi e che "l’Italia ha un’economia forte nonostante l’alto livello di debito" e che il deficit era stato contenuto grazia "una politica fiscale molto prudente". Il 9 Agosto, il Presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy dichiarava"Accolgo con favore le decisioni prese dall’Italia, dalla Spagna e dalla BCE, che contribuiranno alla stabilità economica dell’eurozona".
Bene. Ma chi lo diceva alle mire quirinalizie di Prodi, alle trascurabili pretese multimiliardarie di De Benedetti verso Mediaset (pure concorrente di Sky), all’IO di Scalfari, talmente ipertrofico da incontrare e riconoscere solo se stesso, alle biliose ambizioni della Bindi, al deliquio petulante della Emma, allo charme di Montezemolo, alle visione di Profumo; e al povero Bersani e al felice Veltroni e al quiescente D’Alema e al corrusco Vendola, cui avevano promesso uno strapuntino?
Ma, soprattutto, chi lo diceva a quegli impuniti in grisaglia che, anziché essere passati per le armi, erano ancora lì a pontificare, pretendere e programmare? Ecco che allora, a questi potenziali scontenti, internazionali e nazionali (nazionali, si dice per dire), in costante, singolarmente costante, consonanza di vedute sul nostro conto e sui nostri conti, si schiude una provvidenziale prospettiva. Da Ferragosto in poi si scopre (ma nel frattempo cos’era cambiato?) che l’Euro sta per cadere e che l’Italia è il suo fianco più scoperto.
Terza variazione, allora. Non basta più nulla di quello che si è fatto ma, una settimana sì e l’altra pure, piovono diktat, summit imperiosi, larvate minacce: anzi ultimatum. Pardòn.
Ma se l’Euro rischia di cadere, come ricordava ancora Krugman sul New York Times non più di tre settimane fa, non è perchè l’Italia ha il debito pubblico più alto dell’Unione dopo la Grecia (il cui maquillage di bilancio para-truffaldino, non dimentichiamolo, fu opera di Goldman Sachs, uno dei più illustri utenti della teleferica Wall Street-Washington-Londra-BCE), ma perchè Francia e Germania sono piene di quelle stesse tossine (debiti sovrani, bond con valore facciale decimato) sprigionate ai bei tempi delle finanza matematica e infallibile.
E allora perché l’Italia è sotto assedio? Proprio perché è sotto assedio. Cioè perché la questione è sempre e soltanto geopolitica: di interessi nostri contro quelli altrui. Lo sanno benissimo a Londra, Parigi e Berlino. E a largo Fochetti. Credo lo sappia anche Berlusconi. Che è indebolito, dannunziano, ma non fesso.
Per questo scrive lettere e aspetta. Nonostante le folte schiere di utili idioti, togati quanto indignati, manda a dire che non è ancora finia. Né per lui né per l’Italia. E sarebbe un’altra variazione.

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Fabio Cammaleri

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