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July 24, 2011
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L’OPINIONE/ Il ministro che toccó il cu…

Giulio AmbrosettibyGiulio Ambrosetti
Time: 6 mins read

 La storia è nota. Saverio Romano, attuale ministro della Repubblica ed esponente politico siciliano di primo piano, dovrà rispondere alla giustizia italiana del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. A questo epilogo si è giunti in modo un po’ rocambolesco. I pubblici ministeri (pm), che hanno tenuto Romano sotto inchieste per otto anni (l’Italia, forse, è l’unico Paese occidentale dove un cittadini viene tenuto sotto inchiesta per otto anni), a un certo punto, avevano deciso di proscioglierlo. Ma il Giudice per le indagini preliminari ne ha invece disposto l’incriminazione coatta. 

Per cercare di far capire ai lettori americani quello che sta succedendo – cosa non facile – va detto che in Italia i pm non sono espressione, come negli Stati Uniti, di un ufficio il cui vertice viene eletto dal popolo. Nel Belpaese tutti i magistrati – quelli che indagano e reggono le accuse e quelli che giudicano – lavorano negli stessi uffici. In una parola, sono colleghi. 

L’attuale ordinamento giudiziario italiano – semplificando – prevede che i pm propongano il rinvio a giudizio o la chiusura delle indagini. A decidere cosa fare, però, è il Gip, sigla che sta per Giudice per le indagini preliminari. Il quale, appunto, decide se un cittadino va processato o meno. 

Nel caso del ministro Romano si è verificato un fatto un po’ anomalo e piuttosto raro. I pm, come già ricordato, avrebbero voluto chiudere l’inchiesta su Romano. Motivo: ritengono di non avere elementi sufficienti per condurre l’accusa in dibattimento. Ma il Gip, autonomamente, ha deciso in modo diverso. E ha invitato i pm a formulare il capo d’imputazione per il ministro. Che quindi verrà processato.

Su questa vicenda, tanto per cambiare, infuriano le polemiche. Le opposizioni di centrosinistra dicono che un ministro rinviato a giudizio per mafia non può restare in carica. Romano e molti esponenti di centrodestra vedono in questo rinvio a giudizio ‘forzato’ una persecuzione per colpire il governo Berlusconi. 

Questo, per sommi capi, lo scenario. Che dire? La prima considerazione l’abbiamo già accennata: in un Paese civile non si può tenere un cittadino sotto inchiesta per mafia per otto anni. E non è certo edificante assistere ai pm che chiedono di chiudere il caso e al Gip che, al contrario, chiede agli stessi pm di formulare il capo d’imputazione.

Le stranezze, da parte della magistratura, non mancano. Ma va anche detto che certi comportamenti, da parte dei protagonisti della giustizia italiana, non sono nuovi. L’Italia, in materia di giustizia, non è l’America, non è la Germania, non è la Francia e via continuando. In Italia la giustizia – penale e civile – funziona male. Anzi, malissimo. I processi penali durano da 12 a 15 anni. Quelli civili anche di più. Ma questa non è storia di ora: è storia vecchia. 

Il ministro Romano non è nato ieri. Queste cose le conosce benissimo. In Italia la giustizia – e non crediamo di offendere nessuno se diciamo ciò – è uno dei tanti elementi anomali che influenzano la vita politica. Si badi: in tutti i Paesi del mondo la giustizia umana è perfettibile. Ma nel Belpaese lo è di più. 

Romano sapeva benissimo che, accettando di andare ad occupare la poltrona di ministro, avrebbe sospinto la magistratura penale contro di sé. Lo ha fatto scientemente, ben sapendo che, nonostante otto anni di indagini poco proficue (per l’accusa, ovviamente), rischiava di essere comunque rinviato a giudizio. 

Un proverbio siciliano invita i saggi a non andare a tuccari ‘u culo ‘a cicala (non toccare il culo alla cicala). Perché toccando il culo alla cicala si ottiene un solo effetto: far cantare ancora più forte la cicala. E’ così ha fatto il ministro Romano: è andato a sfidare i magistrati. I quali avranno pensato: ma come, noi ti teniamo otto anni appeso a un’inchiesta e tu vai a fare il ministro? E allora…

La saggezza è un requisito indispensabile per vivere tranquilli. Soprattutto in Italia. Soprattutto se si fa politica. E dire che quello che è stato il ‘maestro’ di Romano nella vecchia Dc degli anni ’80 del secolo scorso, Calogero Mannino, le ha provate in tutti i modi a convincere il suo ex ‘allievo’ a non entrare nel governo Berlusconi. Ma in Saverio Romano, alla fine, l’ambizione ha preso il sopravvento sulla saggezza. 

Pochi mesi prima di entrare a far parte del governo Berlusconi, Romano, insieme con Mannino, ha lasciato l’Udc di Pierferdinando Casini, considerata troppo spostata a sinistra, per dare vita una nuova formazione politica: i Popolari per l’Italia do domani (Pid). Un passaggio intermedio verso la formazione del Partito popolare europeo. 

Sempre in quei giorni, in Parlamento (Romano è parlamentare nazionale eletto in Sicilia), nasceva il movimento dei cosiddetti ‘responsabili’. Si tratta di parlamentari d’ispirazione, per lo più moderata, che hanno deciso di appoggiare il governo Berlusconi che ha perso il sostegno dei finiani. Mannino aveva detto a Romano: se proprio non puoi farne a meno, sostieni pure in Aula il governo Berlusconi; ma non entrare al governo. Se non altro perché il Pid non è nato per sostenere il governo Berlusconi, ma per dare vita, insieme alla maggioranza di centrodestra, compreso il Cavaliere, al Partito popolare europeo. 

Ma Romano, lo ripetiamo, ormai, ogni notte sognava di fare il ministro. Nonostante le anomalie tipiche della giustizia italiana. E così si è imbarcato con il Cavaliere. Vero è che, alla fine, ha creato un’altra ‘grana’ al governo Berlusconi, al quale, in questo momento, non mancano certo i problemi. Ma è anche vero che lo stesso Cavaliere non è che si preoccupi molto di andare allo scontro con i magistrati. Anzi. 

I maligni sostengono che Mannino avrebbe consigliato a Romano di non andare a fare il ministro perché, sotto sotto, avrebbe voluto andare lui a rioccupare la poltrona di ministro (tra l’altro, Mannino, negli anni ’80, ha ricoperto il ruolo di ministro dell’Agricoltura: per lui, insomma, sarebbe stato un ritorno). 

Non sappiamo se Mannino avesse tale ambizione. Ma sappiamo che lo stesso Mannino – che sulle spalle ha un’assoluzione dalle accuse di mafia in un processo durato quindici anni – sarebbe stato meno attaccabile di Romano. Ma forse la verità è che Berlusconi e i suoi da una parte e la magistratura dall’altra parte non possono fare a meno di scontrarsi. Chissà, magari i due ‘contendenti’ si tengono entrambi i forma…             


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Giulio Ambrosetti

Giulio Ambrosetti

Sono nato a Palermo, ma mi considero agrigentino. Mio nonno paterno, che adoravo, era nato ad Agrigento. Ho vissuto a Sciacca, la cittadina dei miei genitori. Ho cominciato a scrivere nei giornali nel 1978. Faccio il cronista. Scrivo tutto quello che vedo, che capisco, o m’illudo di capire. Sono cresciuto al quotidiano L’Ora di Palermo, dove sono rimasto fino alla chiusura. L’Ora mi ha lasciato nell’anima il gusto per la libertà che mal si concilia con la Sicilia. Ho scritto per anni dalla Sicilia per America Oggi e adesso per La Voce di New York in totale libertà.

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