Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti 30 anni fa
Ha scritto Giuseppe Vacca, gramsciano e autorevole storico della politica, che “quando un epoca finisce…chi continua a rappresentarla con i concetti del passato forse non lo sa, ma in realtà è intellettualmente morto insieme ad essa”. Oggi si fa anche di peggio: non solo i concetti del passato, ma la sua carne, i suoi umori, il suo alito sprigionano una coltre mortifera, che mai si disperde e sempre più ci invischia.
Oggi si parla ancora del Lodo Mondadori, cioè di una vicenda nata nell’Agosto del 1984, con l’ingresso di De Benedetti e Berlusconi nel capitale della Casa editrice. Quando i quarantenni di oggi si contavano i brufoli, i cinquantenni non potevano neanche votare per il Senato e i sessantenni erano appena in età da matrimonio. Cosa accadde? L’allora Amministratore delegato di Mondadori, Mario Formenton, per salvare l’azienda dai debiti aveva promosso l’ingresso dei due futuri nemici. De Benedetti, nel 1986, gli propone di incorporare l’Editoriale l’Espresso, di cui erano comproprietari “asimmetrici” Scalfari e il Principe Carlo Caracciolo e Repubblica, partecipata, fifty-fifty dallo stesso Espresso e da Mondadori. Formenton non è d’accordo. Solo che, nel marzo del 1987, muore prematuramente. Si formano, fra gli eredi, due cordate: una fa capo alla vedova di Formenton, Cristina Mondadori e al figlio Luca, che, nel 1988, si alleano con De Benedetti; l’altra, facente capo alla sorella della vedova, Mimma Mondadori e al figlio, Leonardo Forneron Mondadori che finiscono in minoranza, sta con Berlusconi. A questo punto il progetto di De Benedetti può spiccare il volo. L’incorporazione avviene: con L’Espresso, anche Repubblica cessa di avere un editore puro. Una volta persa la “purezza”, Scalfari e Caracciolo, proprietari di Repubblica, nell’Aprile 1989, vendono alla Cir di De Benedetti: all’uno vanno 90 miliardi, all’altro 300. La questione ora è fra Gruppi aziendali. E Berlusconi, come suo costume, non sta a guardare. E lancia la sua scalata. Infatti, poiché De Benedetti usa incisivamente del suo potere, il Vicepresidente della Mondadori, Luca Formenton, sentendosi emarginato, si riappacifica con la zia, Mimma e con il cugino, Leonardo Forneron Mondadori. Nel Dicembre 1989 chiede al Tribunale di dichiarare invalidi gli accordi eredi-Formenton De Benedetti e decaduto il Consiglio di Amministrazione presieduto da Caracciolo; e il Tribunale gli dà ragione. La nuova maggioranza, nel Gennaio 1990, elegge presidente di Mondadori Silvio Berlusconi. Si muove la politica. E nel Marzo 1990, viene approvata una Legge che impone al Cavaliere di cedere il Giornale. Nell’Aprile 1990, Berlusconi, per uscire dall’empasse politica e aziendale, propone di cedere Repubblica. Nel Giugno 1990, sull’accordo eredi Formenton-De Benedetti, un collegio arbitrale dà ragione a De Benedetti. Berlusconi impugna e la Corte di Appello, questa volta, dà ragione a lui. Tuttavia, anche per la fronda interna delle redazioni, nell’Aprile del 1991, mediatore Ciarrapico, tra De Benedetti e Berlusconi interviene un accordo, in base al quale al Cavaliere va il settore libri e periodici della Mondadori, compreso Panorama, a De Benedetti, L’Espresso e Repubblica. Qualche anno dopo, in seno al processo Squillante-Previti, si riterrà la decisione della Corte d’Appello frutto della corruzione, ad opera di Berlusconi, di uno dei magistrati che concorsero a pronunciarla. Da lì, sul presupposto che Berlusconi potè transigere, con il Lodo, da posizioni ingiustificate, la richiesta di risarcimento di cui ancora oggi si parla.
E se ne parla giacchè non la crisi finanziaria o la guerra in Libia o la questione energetica, ma quella vicenda, vecchia di ventisette anni, potrebbe simbolicamente suggellare la fine di Berlusconi. Alimentando quella dimensione straniata, tutta volta all’indietro, in cui non a caso cade il suo crepuscolo: politicamente sorto dall’innesto di una funambolica promessa d’avvenire, proprio su un passato che si volle seppellire con la messa nera di Tangentopoli e che, forse per questo, come un’anima dannata, non ha mai cessato di perseguitarci.
Più delle somme in gioco però, che pure non sono poca cosa, (circa mille e cinquecento miliardi delle vecchie lire), è il concerto di scricchiolii, di stridori, di mugugni, di sussurri, a fare da nuovo e sinistro controcanto a quest’ultima partita. Sì, perché lo stizzito defilarsi di Tremonti, i turbati imbarazzi della Lega, l’attonito stupore di molti dirigenti (compresi il neo Segretario Alfano e l’On. Avv. Ghedini), hanno lasciato il povero comma salva-Fininvest (persino Mediaset ridiventa Fininvest, in questo sortilegio diacronico), come un ospite che si scopre indesiderato, pur con l’invito ancora in mano. Ora, da questo mesto tramestìo risale tutto il tanfo di indimenticate movenze badogliesche. “Chiedete a Letta”, “non ne sapevo nulla”. Grandi (o forse piccole) manovre di preludio alla fuga. E come in ogni fuga, si forma la calca, la ressa, urla, spintoni. Così un ghigno resocontistico di Repubblica, riferisce e mostra che il Ministro Tremonti ha dato del cretino al Ministro Brunetta, persino indegno di essere solo ascoltato secondo il Ministro Sacconi.
Se non si annusasse tanfo badogliesco avremmo potuto sentire e vedere altro. Per esempio, che la storia del lodo Mondadori, comunque vada a finire simboleggia, al sommo grado, il grumo di equivoci storico-politico-giudiziari che ci ha annodato ad un passato che non passa e, per questo, ne simboleggia il ricatto sul presente. Infatti, il comma, è stato certo scolpito sul profilo di Mediaset-Fininvest, parte in causa. D’altra parte, però, il presupposto dell’imponente risarcimento, cioè l’asserita corruzione di uno dei giudici che avrebbe innescato il lodo della discordia, non convincerà mai varie decine milioni di italiani della sua stessa fondatezza ed equanimità. Perché, se Berlusconi-Esecutivo è abnorme parte in causa, anche l’autorità giudiziaria, ancor più abnormemente, è ritenuta da quell’immenso osservatorio parte in causa per avere accettato, vistosamente, tenacemente, di rendere Berlusconi “suo” nemico. Come, e in termini formali, parte in causa è il Gruppo Espresso-Repubblica: media che pure si ostinano a presentarsi, anziché come house organs di una Holding che sta chiedendo di incassare quella somma, nella pretenziosa veste di “periodici autonomi”. Un simile, anomalo, sovrapporsi ed intrecciarsi di ruoli, di competenze, di diritti e di doveri, che dovrebbero rimanere nitidamente distinti, così sul versante di Berlusconi, come su quello del c.d. “partito dei magistrati, ormai non sfugge al buon senso di nessuno, neanche, sia pure a bassa voce, a quello di coloro che, all’aperto, parteggiano contro il Cavaliere (salvo, poi, a impantanarsi in cervellotiche quanto insulse giustificazioni di simili deragliamenti, come accade, valga per tutte, con la mai tramontata teoria del “potere supplente”). Se non ci fosse tanfo badogliesco, una classe politica non prona al miraggio dello strapuntino allora avrebbe dovuto affrontare un tale groviglio a viso aperto, non di soppiatto, non giocando ad un vile nascondino. Se non ci fosse tanfo badogliesco. Ma il tanfo c’è.
Come pensano di fare senza e dopo Berlusconi? Come pensano di liberarsi dall’infiltrazione di un passato canceroso? Di stabilire le condizioni per una vita associata più serena e, tuttavia, più pronta ad affrontare i marosi che, già oggi, corruscano all’orizzonte? Con labili alchimie tardo-dorotee, che sazino il cane leghista di effimeri bocconi fiscali? Che risolvano l’improprio assedio giudiziario delle istituzioni repubblicane con la definitiva legittimazione di un’irresponsabile satrapia? Che consolidino il potere parassitario delle lobbies editorial-finanziarie già autrici del miracolo euro? Pensano davvero che un’indistinta melassa centrista possa mettere tutto a posto, magari esorcisticamente sacrificando il Capro espiatorio di turno? Come con Craxi, come con la Prima Repubblica? Purtroppo c’è da temere che lo pensino sul serio. Perderebbero un’occasione storica per liberare l’Italia da quel ricatto. Avviandosi, invece, al dopo-Berlusconi, non solo Alfano (cui non manca lo spessore culturale e la sensibilità politica per riaversi dal quell’inappropriato imbarazzo), ma quanti vorranno cimentarsi nel “partito dell’onestà”, dovrebbero impegnarsi a declinare un simile impegnativo auto-attributo, in primo luogo, sul piano della consapevolezza storica, per “sistemare” il passato e non esserne sempre inseguiti.
Sistemare il passato, ovviamente, può solo significare affrontare i due reali snodi critici di questa irrisolta transizione italiana, germinata dal clima confuso e opaco del triennio 1992-1994, riverberatasi e amplificatasi lungo questi quasi vent’anni, fino ad imputridire nello stagno politico e sociale di oggi. Tali snodi sono lo squilibrio istituzionale magistratura-politica e la scompensata erosione della sovranità statale nelle politiche di bilancio, con la gestione del debito che costituisce un indomabile Cavallo di Troia per l’esercizio di unilaterali pressioni sistemiche e striscianti ostilità parabelliche (i ratings sono autentici raid aerei: colpiscono senza alcun rischio per l’assalitore). Sono snodi interconnessi e accresciuti da incroci finanziario-editoriali che agiscono da opinion maker, pur essendo essi stessi gangli di ben precise strutture di potere (con annesse aderenze nello scacchiere internazionale, raramente disinteressate verso le dinamiche economico-politiche italiane); che inquinano l’opinione pubblica, costringendo la vita associata in uno stato strumentale di permanente fibrillazione; che impediscono lo svolgimento di un confronto politico libero, presupposto indispensabile per la formazione di un’autorevole classe dirigente politica (Così, nel timore di poter essere distrutti in un attimo, personalmente e politicamente, pochi che abbiano reali qualità, e sempre meno, come si dice “ci si mettono”). L’uno di questi snodi risale a Maastricht; l’altro all’occupazione del proscenio politico da parte di un potere tecnicamente irresponsabile e tuttavia capace, con i suoi atti d’istituto, di provocare, a raggiera, effetti dirompenti e di lungo periodo sull’intera vicenda politica, istituzionale ed economica del Paese. Nessuno, né a Destra, né a Sinistra pensi di fondare un reale ed autonomo potere politico, l’unico potere di tutti per tutti, senza mettere mano a questi due bubboni. Dopo Berlusconi non ci saranno più alibi.