Torno a Bangkok nel pieno della campagna elettorale che sta preparando il paese alle elezioni del 3 luglio. Il nuovo governo dovrebbe mettere fine alla crisi aperta dalle violente proteste popolari della primavera 2010 che fecero più di novanta morti. Le sommosse di strada, gli scontri tra magliette rosse e militari che insanguinarono la capitale, appaiono obiettivamente lontani. Però non sono state superate le ragioni sociali di quel conflitto, e soprattutto non hanno trovato risposta le due questioni politiche che lo avevano innescato: la legittimità del giudizio di corruzione contro l’ex primo ministro il multimiliardario Thaksin cacciato nel 2006 dal potere dall’azione delle forze armate, l’opportunità del mantenimento del regime monarchico.
Difficile fare previsioni, né è certo che, come in precedenti tornate, deciderà il voto della megametropoli capitale. Così come non è scontato che nord e nordest votino a valanga Thaksin mentre capitale e sud si schierio per l’attuale partito di governo. La forza tuttora rilevante di Thaksin fa perno anche sul malcontento della campagna. Proprio dalla sterminata campagna tailandese fu sostenuto il movimento che lo scorso anno aggredì violentemente le istituzioni statali, pagando dividendi politici al Pheu Thai Party che ora candida a capo di governo la sorella minore di Thaksin, la quarantatreenne Yingluck Shinawatra.
Nel dibattito elettorale non stanno venendo fuori i grandi problemi del paese, il bisogno di riconciliazione nazionale, le ragioni delle grandi spaccature tra seguaci di Thaksin e gli altri, o tra i pochi ricchi e i troppi poveri. La posizione dei candidati guarda piuttosto ai due issue politici richiamati. A giocarsela con il Pheu Thai Party sta il primo ministro Abhisit Vejjajiva, incaricato nel 2008 dai giudici di assumere il potere per via dello scioglimento del governo Thaksin, ben rafforzato dal ciclo espansivo dell’economia e da misure populiste risultate gradite alle vaste masse di poveri urbanizzati.
Altri ceti si mostrano più interessati alla prospettiva dei diritti civili e dubitano di un governo che ancora recentemente ha chiuso tredici stazioni radio delle magliette rosse per un discorso ritenuto insultante verso l’istituzione monarchica, sanzionato con l’accusa di lesa maestà. E’ che i militari rifiutano l’idea di portare le istituzioni monarchiche dentro la competizione, e questo anche per ragioni legate all’attualità. Il re è molto amato dal popolo ma anche molto malato: in questi giorni si è fatto fotografare in carrozzella dopo l’intervento che gli ha ridotto il versamento di liquidi nel cervello, ultimo degli episodi che hanno minato la sua salute. Alle frontiere hanno ripreso a premere commando cambogiani, all’interno di un conflitto anche psicologico che la Tailandia può vincere solo nel segno dell’unità tra popolo e monarchia. La successione appare per lo meno problematica, visto che l’erede designato, anche lui avanti con gli anni, non sa piacere al popolo e non sembra dotato degli attributi che un sovrano dovrebbe saper mostrare.
I turisti e visitatori che incontro girovagando per Bangkok e dintorni non sembrano molto consapevoli della situazione. Vanno al mercato galleggiante sulle acque di Damnoen Saduak, a poco più di cento chilometri a ovest della capitale, visitano i templi coi Buddha ricoperti di oro, si spargono tra le migliaia di canali da dove guardano alla vita semplice della gente di pianura. Eppure il risultato delle elezioni inciderà moltissimo in una regione con una geopolitica già fortemente tormentata.