Le dimissioni da Banca Mondiale di Strauss-Kahn hanno tolto di mezzo l’uomo che stava costruendo l’uscita della Grecia dalla crisi finanziaria. Siccome le disgrazie non vengono mai sole, Standard & Poor’s ha subito declassato di due gradini il debito ellenico ad un B che lo getta tra la carta straccia e la spazzatura, e ora i Brics rivendicano il posto di direttore generale della Banca contestando la candidatura europea. A questo punto la memoria va inevitabilmente ai precedenti quattro default della Grecia moderna, per chiederci se la storia non sia pronta alla replica.
Atene sospese il rimborso del debito nel 1827, nel pieno della lotta per la sovranità nazionale: a pagare fu la finanza britannica. Nuova insolvenza nel 1843, sotto re Ottone di Baviera, per un debito contratto nell’anno dell’indipendenza, 1832. La soluzione apparve così incerta da spingere la finanza internazionale a chiudere ogni rifornimento sino al 1879. I canali si riaprirono con il primo ministro Carilaos Trikoupis, tanto che tra i nove prestiti negoziati a rendimenti altissimi per le banche francesi e inglesi nel pieno della grande depressione 1873-1895, otto sono ascrivibili a lui. Peccato che nel 1893 Trikoupis fosse costretto a pronunciare in Parlamento la frase che da allora rimbomba nelle orecchie dei greci come una minaccia: dystichòs, eptochèfiamen, “purtroppo siamo falliti!”. Secondo una ricostruzione storica apparsa lo scorso anno in “Formiche”, il paese fu rovinato dal crollo del prezzo dell’uva passa sultanina, all’epoca prima voce delle esportazioni. In realtà non ancora uscito dai costi del conflitto con gli ottomani, stava già riarmando per Creta come sarebbe risultato evidente nel 1897. Quella guerra sarebbe finita con l’occupazione turca della Tessaglia e l’affidamento della Grecia al Doe, “Commissione economica internazionale”, formata da sei stati tra cui l’Italia. Doe ottenne dal parlamento greco, nel 1908, il diritto ai ricavi dei monopoli di sale, petrolio, fiammiferi, carte da gioco, carta per sigarette, smeriglio di Nasso, e delle imposte su tabacco, marche da bollo, dazi della dogana del Pireo, sovrintendendo direttamente alle operazioni pubbliche di riscossione con poteri operativi e organizzativi. Per la cronaca solo nel 1978, un anno prima dell’entrata di Atene nella Comunità europea, sarebbe cessato il ruolo di Doe.
E comunque neppure Doe riuscì ad evitare la crisi di bilancio che esattamente novant’anni fa, nel 1921, portò all’ultimo default, nel 1932. Occasione l’ennesima guerra con la Turchia, conclusa, tanto per cambiare, con pessimi risultati. Sullo sfondo le cause strutturali del deficit finanziario ellenico: un’economia decentrata rispetto al cuore dello sviluppo europeo, un popolo corrotto dal ceto politico che lo ha abituato a vivere nella retorica e al di sopra delle sue possibilità, un paese che ha sofferto per secoli emorragia di forza lavoro (emigrazione di braccia e intelligenze) e capitali (i profitti dei noli marittimi, del minerario, del latifondo).
E’ curioso che il primo fallimento attribuito dalla memoria a stato sovrano sia avvenuto proprio in Grecia: nel IV secolo a.C. dieci delle tredici città-stato della lega Attica non ripagarono i prestiti ricevuti dal tempio di Apollo a Delo. E poi c’è chi non crede al Dna delle nazioni… Benché tecnicamente irrisolvibile (la Grecia non potrà mai pagare i debiti agli attuali interessi), il salvataggio europeo andrà avanti, perché l’euro non può permettersi altro. I debitori si accontenteranno di incassare meno, ma alzeranno il prezzo della loro influenza politica ed economica sul paese. I comportamenti non virtuosi costeranno alla democrazia ellenica ulteriore dipendenza dall’estero, proprio ciò che l’esasperato nazionalismo ellenico rigetta da sempre.