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May 22, 2011
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Mahatma Obama

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

 

Per percepire il battito nel cuore del messaggio di Barack Obama rivolto alla “primavera araba” in Medio Oriente e agli effetti possibili nel processo di pace israelo-palestinese, il lungo discorso pronunciato al Dipartimento di Stato giovedì andrebbe riletto oltre che ascoltato. C’é infatti una linea guida nel ragionamento obamiano che si coglie con la riflessione della lettura.

La frase finora più analizzata è stata quella della “bomba” sul ritorno ai confini del ’67 di Israele per raggiungere l’accordo di pace con i palestinesi, perché era la prima volta che usciva in un discorso pubblico di un presidente americano (ma nelle trattative di pace questa posizione Usa é stata scontata in tutte le amministrazioni dal ’68 ad oggi, escluso forse solo quella di GWB).

Infatti anche venerdì, davanti alle telecamere, quella frase era al centro della “lezioncina” tenuta alla Casa Bianca dal premier Bibi Netanyahu sulla “indifensibilità” di Israele dentro quei confini. Il presidente ascoltava con l’espressione di chi avrebbe voluto replicare subito. Obama avrà poi sistemato il premier israeliano a porte chiuse e telecamere spente: indifendibili per Israele non sono quei confini, ma lo status quo che la lascia “indifesa” nel ruolo di paese occupante, una democrazia trasformata nel “secondino” di un altro popolo. Questa é l’indifendibile situazione che distrugge lentamente ma con certezza il futuro di Israele.

Infatti il messaggio “rivoluzionario” di Obama non puntava su quel ‘67 che diremo scontato e che solo grazie allo “spinning” del governo Netanyahu é passato come lo “scandalo” del discorso. Ma il messaggio “filosofico” di Obama, cioè di soluzione ad un problema esistenziale, era più rivolto ai palestinesi che agli israeliani.

 Leggiamo questo passaggio del discorso di Obama:
“I would not be standing here today unless past generations turned to the moral force of non-violence as a way to perfect our union — organizing, marching, and protesting peacefully together to make real those words that declared our nation: "We hold these truths to be self evident, that all men are created equal… the United States of America was founded on the belief that people should govern themselves. Now, we cannot hesitate to stand squarely on the side of those who are reaching for their rights, knowing that their success will bring about a world that is more peaceful, more stable, and more just”.

Obama “gandhianamente” indica ai palestinesi l’unica strada a loro disposizione per entrare nella “primavera araba” e per ricevere l’appoggio degli Stati Uniti: condurre la loro lotta con la forza morale della non violenza, cioè il satyagraha del Mahatma Gandhi, una forza che risulta invincibile soprattutto davanti all’innaturale oppressione esercitata da una democrazia. Ispirati da Gandhi, anche Martin Luther King cosí come Nelson Mandela lo dimostrarono, ma il popolo palestinese finora non aveva mai avuto un leader capace di guidarlo nell’invincibilità del satyagraha. Adesso non ha più nemmeno bisogno di quel leader: come in Tunisia e in Egitto, così come in Libia e in Siria, c’é la rete che lo sostituisce nelle capacità di forza aggregratrice.
Quindi e grazie ad internet, che i giovani palestinesi si rileggano il discorso del “Mahatma Obama”. Il loro successo sarebbe certo e la loro vittoria salverebbe anche Israele e la sua democrazia.
 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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