Per percepire il battito nel cuore del messaggio di Barack Obama rivolto alla “primavera araba” in Medio Oriente e agli effetti possibili nel processo di pace israelo-palestinese, il lungo discorso pronunciato al Dipartimento di Stato giovedì andrebbe riletto oltre che ascoltato. C’é infatti una linea guida nel ragionamento obamiano che si coglie con la riflessione della lettura.
La frase finora più analizzata è stata quella della “bomba” sul ritorno ai confini del ’67 di Israele per raggiungere l’accordo di pace con i palestinesi, perché era la prima volta che usciva in un discorso pubblico di un presidente americano (ma nelle trattative di pace questa posizione Usa é stata scontata in tutte le amministrazioni dal ’68 ad oggi, escluso forse solo quella di GWB).
Infatti anche venerdì, davanti alle telecamere, quella frase era al centro della “lezioncina” tenuta alla Casa Bianca dal premier Bibi Netanyahu sulla “indifensibilità” di Israele dentro quei confini. Il presidente ascoltava con l’espressione di chi avrebbe voluto replicare subito. Obama avrà poi sistemato il premier israeliano a porte chiuse e telecamere spente: indifendibili per Israele non sono quei confini, ma lo status quo che la lascia “indifesa” nel ruolo di paese occupante, una democrazia trasformata nel “secondino” di un altro popolo. Questa é l’indifendibile situazione che distrugge lentamente ma con certezza il futuro di Israele.
Infatti il messaggio “rivoluzionario” di Obama non puntava su quel ‘67 che diremo scontato e che solo grazie allo “spinning” del governo Netanyahu é passato come lo “scandalo” del discorso. Ma il messaggio “filosofico” di Obama, cioè di soluzione ad un problema esistenziale, era più rivolto ai palestinesi che agli israeliani.
Leggiamo questo passaggio del discorso di Obama:
“I would not be standing here today unless past generations turned to the moral force of non-violence as a way to perfect our union — organizing, marching, and protesting peacefully together to make real those words that declared our nation: "We hold these truths to be self evident, that all men are created equal… the United States of America was founded on the belief that people should govern themselves. Now, we cannot hesitate to stand squarely on the side of those who are reaching for their rights, knowing that their success will bring about a world that is more peaceful, more stable, and more just”.
Obama “gandhianamente” indica ai palestinesi l’unica strada a loro disposizione per entrare nella “primavera araba” e per ricevere l’appoggio degli Stati Uniti: condurre la loro lotta con la forza morale della non violenza, cioè il satyagraha del Mahatma Gandhi, una forza che risulta invincibile soprattutto davanti all’innaturale oppressione esercitata da una democrazia. Ispirati da Gandhi, anche Martin Luther King cosí come Nelson Mandela lo dimostrarono, ma il popolo palestinese finora non aveva mai avuto un leader capace di guidarlo nell’invincibilità del satyagraha. Adesso non ha più nemmeno bisogno di quel leader: come in Tunisia e in Egitto, così come in Libia e in Siria, c’é la rete che lo sostituisce nelle capacità di forza aggregratrice.
Quindi e grazie ad internet, che i giovani palestinesi si rileggano il discorso del “Mahatma Obama”. Il loro successo sarebbe certo e la loro vittoria salverebbe anche Israele e la sua democrazia.