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Mao Zedong con Richard Nixon nel 1972
Tutto comincia in modo imprevisto il pomeriggio del 4 aprile 1971. A Nagoya è in corso il XXXI campionato mondiale di tennis da tavolo. Glenn Gowan, nazionale statunitense, sbuca sulla piazzola degli autobus. Ha approfittato dell’incontro casuale con un giocatore della squadra cinese, la migliore al mondo, per un allenamento fuori programma, ma adesso è in ritardo e ha davanti un dirigente giapponese che gli intima di spicciarsi verso il settore delle gare ufficiali. Il bus del suo team è partito, così non gli resta che infilarsi in quello dell’improvvisato trainer. I cinesi sono imbarazzati. Pechino e Washington non hanno rapporti diplomatici. Educati ai principi del maoismo, reduci dalla rivoluzione culturale che li ha imbottiti di slogan sull’”imperialismo americano”, sentono puzza di bruciato. Il giovane Zhuang Zedong impiega dieci lunghi minuti prima di rivolgere la parola al biondo capellone intruso. Quando scendono dal mezzo, i due stanno parlando alla grande. Nelle mani dell’americano la raffigurazione su seta dei monti Huangshan, regalo del collega. I fotografi e i reporter che seguono le gare li notano e impazzano.
Il giorno dopo i giornali gli danno dentro, sapendo di avere in mano un evento storico. I due si rivedono. Gowan regala a Zhuang una T shirt: bandiera rossa bianca e blu col Let it Be pacifista di John Lennon. A un giornalista che gli chiede se andrebbe volentieri in Cina, risponde che sì, che gli piace visitare ogni paese che non conosce e quindi una passeggiata alla Grande muraglia non sarebbe niente male e poi lì incontrerebbe “persone gentili come i cinesi”. Dietro le quinte, la “politica” sta muovendo le sue pedine: il coach esprime il desiderio di ricevere un invito. A Pechino l’apparato non ne vuole sapere, ma è Mao in persona a decidere, spiegando che l’atleta di Nagoya di diplomazia ne capisce più di tutti i mandarini di corte. Neppure un paio di giorni, e i dirigenti della Federazione cinese di ping-pong sono autorizzati all’invito ufficiale dei colleghi statunitensi. Il 10 aprile la delegazione sportiva statunitense muove su Pechino: c’è anche Judy Bochenski Hoarfrost, capelli castani occhi azzurri e solo 15 anni sulle spalle. La sua stretta di mano con il primo ministro Zhou Enlai fa il giro del mondo..
In una settimana, come scriveranno i libri di storia, “la pallina ha scosso la grande palla” (la sfera terrestre). A luglio il segretario di stato Henry Kissinger è in missione segreta in Cina. Dal 21 al 28 febbraio 1972, il presidente Nixon effettua a Pechino la visita ufficiale che apre il pianeta all’attuale realtà globalizzata. In aprile, Zhuang visita gli Stati Uniti con una delegazione della Federazione cinese di ping-pong. La gentilezza e gli scambi di cortesie tra due ragazzi sportivi tradottisi in “diplomazia del ping-pong”, hanno dato occasione di dialogo a due grandi stati abituati a guardarsi con ostilità. E’ importante richiamare quei fatti per la lezione su quanto le relazioni umane, in particolare quelle sportive, possano influenzare le relazioni internazionali. La Cina mostra di crederci, e non ha timore a ripetersi. In autunno apre a Shanghai l’Accademia di tennis da tavolo: arruolerà, a sue spese, i duecento migliori giocatori al mondo per allenamenti con i campioni del vivaio nazionale. Il paese, inchiodato alle contraddizioni del proprio sviluppo, richiesto dalla comunità internazionale di comportamenti all’altezza delle nuove responsabilità in materia di moneta, diritti umani, libertà commerciale, ambiente, sceglie ancora la diplomazia del ping-pong per la sua risposta. Intanto diffonde all’estero gli istituti che insegnano Confucio e lingua cinese.